Wednesday 4 February 2009

Il cibo degli dei

[Circa 1988]
Cosa mangiano gli dei quindi?
 Questo pensiero mi gira in testa ininterrottamente, costretto a ruotare come un tuppetto dentro la forma del casco. Davanti, la ruota anteriore si piega a destra poi a sinistra poi di nuovo a destra, portandosi dietro manubrio, sella e G., seduta dietro di me. La conversazione e' impossibile coi caschi, ma non serve: la moto danza la strada al rombo del bicilindrico e noi danziamo con lei, le pieghe si susseguono una dopo l'altra sull'asfalto liscio. Piu' avanti, con un guizzo rosso, il Le Mans II di Enrico scompare dietro la prossima curva. 
E' gia' scuro nella valle. Boschi su entrambi i versanti, e la strada - un serpente grigio stretto e veloce - segue a mezzacosta il tracciato del torrente a tratti visibile a fondovalle. E' tardi, ma dobbiamo arrivare a Olimpia e da li' a Patras: il traghetto per Brindisi sara' domani mattina presto. 
E' facile perdersi appresso a pensieri sugli dei in Argolide. Tutta la mattina fra vecchie pietre: le mura di Tirinto, immagini di Schliemann col frock coat nero a code fra blocchi di pietra. Poco piu' in la' , in testa alla valle, Micene con i due leoni rampanti a rilievo sull'architrave della porta. Ercole passava di qua spesso, figlio naturale di Zeus. Questo pantheon locale di dei che si comportano in tutto e per tutto come esseri umani mi e' sempre piaciuto. Litigano, piangono, amano, si tradiscono, si invidiano...proprio come noi. Ma cosa mangeranno mai? A me la storiella dell' ambrosia mi e' sempre sembrata una fesseria. Questi erano gente come noi, questi dei. Invidiosi, gelosi, spesso pieni di risentimento per gli umani. Cosa mi rappresenta quindi quest'ambrosia se non un glorificato miele, e per giunta con un nome milanese? No, no, mangiavano sicuramente altro. Ma cosa? 

La valle gira a nord ed un paesino appare piu' avanti, un gruppo di case a cavallo della strada. Certo, c'e' la teoria che mangiassero cioccolato, gli dei. Mi piace come idea. Ma il cioccolato arrivo' da noi dopo Colombo, come le patate e il mais - gli dei non lo potevano conoscere. 

E' la fame che mi guida i pensieri. Dopo Micene ci siamo messi subito sulla strada, con giusto un σουβλάκι nello stomaco. La strada attraversa tutto il Peloponneso da est a ovest, una statale che si arrotola su se stessa mentre sale e scende. Non abbiamo incontrato quasi nessuno. Ora e' quasi notte, e abbiamo fame. Enrico rallenta all'entrata del paese, il rimbombo degli scarichi del Guzzone quando chiude il gas rimbalza dai muri delle prime case. Faccio lo stesso - abbiamo il motore uguale - e la musica si abbassa e finisce con quest'ultimo duetto. 
Il posto e' piccolo. Meta' delle case a monte della strada, meta' a valle. Muri bianchi e tegole rosse, antichi uomini in nero sui due marciapiedi. C'e' una piazzetta in mezzo al paese, e li' parcheggiamo. Quattro alberi, panchine, tavolini e sedie di fronte ad un ouzeri, vista sulla valle. Scendere dalla moto dopo ore in sella, sbottonar giubbotti e toglier caschi non e' cosa veloce. G & G (hanno lo stesso nome) spariscono alla ricerca di un bagno, Enrico e io ci sediamo ad un tavolino, stendiamo le gambe, accendiamo. E' un bel posto, certo un poco fuori mano. 

Un greco greco (pelle, capelli, baffi, camicia bianca, pantaloni neri) arriva al volo e ci mette davanti due bicchierini di ouzo e un vassoietto di mezedes. Ma prima la sigaretta, per rallentare il flusso di adrenalina e uscire dal ritmo del motore. 
G & G tornano e scendono sugli antipasti come avvoltoie. I peperoni arrostiti e le melanzane spariscono in un lampo, cosi' come le olive. Il tempo che Enri ed io finiamo di fumare, sul vassoietto ci sono due pezzetti di formaggio. Piegandoci in avanti sulle sedie ne prendiamo uno a testa, e ce lo mettiamo in bocca. 

L'illuminazione non e' istantanea, ma mi si scioglie sulla lingua, saporita e affilata, profumata ed intensamente morbida, come una donna. So cosa mangiano gli dei: questo pecorino. Incontro gli occhi di Enri e ci capiamo - ci alziamo all'unisono senza una parola, lasciando G & G attonite, attraversiamo la strada ed entriamo nell' ouzeri. 

Ci vuole un po' a farci capire. Il banco e' di legno, tagliato da un tronco solo. Ci sono tavolini e uomini che giocano a carte, ma noi siamo concentrati sul greco greco dietro il banco. Vogliamo ancora di quel formaggio, ma lui capisce male. Produce un pezzo di feta su un piatto. Scuotiamo la testa come disperati, il sapore ancora sulla lingua, visioni dell'Olimpo attraverso le papille. Siamo entrambi mangiatori di formaggio per cultura e tradizione, ma un pecorino cosi', mai. Il greco greco si gratta la testa - non ci capiamo. Cinque minuti frustrantissimi, fin quando un vassoio per qualcun altro appare dalla cucina. Puntiamo col dito all'unisono: quello!
Ahhh! Kefalotiri!! dice il greco greco. I presenti gli fanno l'eco, annuendo con le carte in mano: Kefalotiri! 
Kefalotiri. Ora sappiamo il nome del cibo degli dei. Ne compriamo una forma intera ciascuno e mentre lo arrotolano in carta oleata e carta marrone ne mangiamo un'altra fettona divisa in due li' in piedi al banco, G & G dimenticate al tavolino. 

Quando ripartiamo, il kefalotiri - almeno due chili ciascuno - e' conservato gelosamente nel bauletto posteriore del mio Cali II, ed Enri questa volta mi segue, vocalmente preoccupato che possa fermarmi e mangiarmelo tutto da solo mentre lui ignaro va avanti. Che lo farei anche se non avessimo un traghetto da prendere ed una notte sulla strada. Gli dei sono con noi, ma il kefalotiri non arrivera' a nemmeno a Brindisi. 

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