Wednesday 14 December 2011

In amore ci vuole coraggio...


(postato originariamente su una discussione sul coraggio in amore su Spazioforum e ricopiato qui per motivi sentimentali...)


Siete troppo filosofici, mistici, estetici. 
D'altronde ognuno e' a modo suo.
Fino a qui ci siamo perfettamente dentro, ai commenti banali.
I miei, dico. 


Il coraggio? Ci vuole. Magari non tutto il tempo.
Magari solo per un istante. Ma ci vuole.
Mi spiego con un esempio...


E' buio e caldo sotto il duvet. La sento moltissimo, vicina. Come ogni volta che siamo assieme, da mesi ormai.
Sento il suo corpo, il suo odore, il suo respiro.
Lei. Lei mi invade il sensorium come fosse acqua che mi riempie, mi scende dal naso e dalla gola. Ma invece di soffocare respiro profondamente, e ne voglio ancora.
Non mi ricordo di cosa stavamo parlando. Era pomeriggio, questo si che me lo ricordo.


Trova il coraggio, e nel mezzo della conversazione mi dice:
"...perche' io mi sono un po' innamorata di te..."
Non l'aveva mai detto prima. 
Non ho il tempo di pensare o riflettere dopo questa affermazione. 
Lo sentivo, lo sapevo, lo supponevo. Sesso di questa qualita' e potenza non nasce dal solo odore, o dai feromoni.


Qui si che serve il coraggio. Il coraggio di ignorare com'e' messa la nostra rispettiva vita quando non siamo assieme come ora: come se ci fosse una bolla attorno a noi, e tutto quello che non e' lei ne e' fuori, invisibile, inaudibile, inesistente. Le nostre vite, gli impegni, la transitorieta', il fatto che me ne dovro' andare prima o poi, come mi disse lei la prima volta.
Ma come faccio a non dirglielo? 
Eppure mi ci vuole almeno un secondo per trovare il coraggio - il famoso coraggio - e canalizzarlo alle corde vocali. Prendendolo a calci per farlo muovere. 
E per quel secondo, ho paura. Non di cio' che mi ha detto. Ma di cio' che devo dirle.
Ma il ritornello "La paura uccide la mente..." funziona per me, qui e ora, come in letteratura. 
E la mia mente non si fara' fermare dalla paura. Non questa volta, non oggi.
"Anche io mi sono innamorato di te".
Al diavolo la paura, e all'inferno le conseguenze. 


Nel frattempo pero' non posso trattenermi, e aggiungo: "Ma come sarebbe a dire, 'un po'?" 
Ride, e viene piu' vicina. 

Sunday 26 June 2011

A casa di mio padre 1

E insomma, io non avrei dovuto farlo. 
Avrei dovuto pensarci. 
Che mio padre non sarebbe stato contento. 

Ma tant'e'. 
Due mesi di una dieta siciliana estiva schifosamente salutare nonche' deliziosa. Pesce e cose di mare tutti i giorni, che' al Nonno piace. 
Sughetti per la pasta fatti ogni due giorni, sempre diversi. Insalata fresca due volte al giorno, cosi' come il pane caldo. Caponatine ed involtini di spado. Pesche tabacchiere locali, sublimi. Angurie gia' dolci, dove il talento dell' houseboy di mio padre rifulge: non sbaglia mai un'anguria o un melone. E' quasi due mesi che aspetto che torni con un melone non eccellente, e sto ancora aspettando. 
E insomma, considerato che sono qui per fargli compagnia, dopo tanta assenza, non posso dire di avere problemi. 
Tranne quando me li vado a cercare come l'altro pomeriggio.

'Papa' vado al mare'
'Ah. Al mare vai?' mi guarda da sopra gli occhiali.
'Dai che te l'avevo detto. C'e' il ragazzo qui'.
(Lal) 'Io essere qui Nonno' 
'Vai vai. A che ora torni?'
'Per cena, lo sai. Ti devo cucinare la pecora'
'E che ora e' "per cena"? Dimmi un orario!'
'Ma che domande mi fai? Non si cena alle otto ogni sera qui a casa tua?
'E quindi a che ora torni?'
'Uh...alle sette e mezza?'
'Eh no! Se devi cucinare la pecora devi tornare alle sei!'
'...Papa'...sono le quattro. Se non vuoi che vada al mare perche' tu non ci puoi venire dimmelo e non ci vado nemmeno io...'
'Io! Al mare! Ma stai scherzando! Vattene va', spostati fammi vedere la televisione...'


E insomma, torno a casa verso le sette e mezza, condisco le costolette d'agnello con aglio e rosmarino, sale e olio, e le arrostisco sulla piastra di ghisa. IN venti minuti sono pronte. Un profumino che non vi dico. Ma KT ha sviluppato una certa preferenza per la pecora nel corso degli anni e dei posti dove le pecore le mangiano tutti i giorni, senza dimenticare gli avi da parte di madre, tutti pastori di Sorso e dintorni.

Mio padre invece no. 

Intanto ha fatto una faccia e non ha toccato la forchetta. 
'Che carne hai detto che e' questa?'
'Pecora, papa'. Buona dai'
.........
'Ma e' pelle questa?'
'Papa', sono costolette. Forse e' grasso?'
'Ma infatti, e' grasso. Sono troppo grasse'
'Ma l'Ada Boni ha scritto nel 'Talismano della Felicita' che le carni dell'agnello di buona qualita' "devono essere sostenute e grasse"'
'Sara'...ma non mi piace tanto. Dammi l'insalata, dai...'
'Eccotela papa'
'E condita?'
'Lo sai che te la condisco nel piatto...ogni sera, aggiungerei...'
'Ah vero' dice 'Me lo ero dimenticato'

'Lal! Vuoi pecora?'
'Oh no Sir, io c'e' pesce Sir'

Quindi KT si e' pappato un mucchio di costolette d'agnello tutto da solo. 
Forse e' un buon segno :)

Thursday 14 April 2011

Ricordo d'amore

(South India, 2003). 
La notte e' calda fuori dalla finestra. Le luci della citta' si susseguono fra gli alberi dei giardini e dei viali. Il fiume e' una pozzanghera allungata, pigro di macchie di luce riflessa dalle finestre delle case bianche e dalle tante bancarelle che vendono cibo e bevande ai passanti e ai perditempo seduti sui motorini e sui muretti. L'odore di curry sale dalla strada, voci allegre e pigre si rincorrono fra gli alberi e sotto le foglie. Chissa' cosa dicono. 
Dal corridoio dell'albergo, attraverso la porta, sale la musica del trio che suona ancora nel ristorante: lei in sari, microfono fra le mani, voce dal ventre da blues, loro due quasi vecchi e grassottelli, in giacca nera con barba e baffi Tamil tiravano fuori dalla chitarra e dalla tastiera tutte le piu' belle canzoni d'amore che mi potessero venire in mente, senza che glielo dovessi chiedere. Kisses and loves and I'm waiting for you, da Elton a Frank, suonate con una vita, due vite di passione, le note che una dopo l'altra si inseguivano nel cavernoso semibuio del ristorante, incuranti dei camerieri in giacca rossa. 
Ed io pensavo e penso ancora adesso alla sua voce quando mi canta canzoni come queste all'orecchio, penso al suo petto che si alza e si abbassa sotto la maglia melange, ai suoi occhi, e mi fa male quanto mi manchi. E la malinconia, questa sconosciuta, mi ha preso piano piano. E' arrivata col ritmo della musica battuto dal mio piede sotto il tavolo, con la distanza, con la sua lettera non d'amore che porto sempre con me perche' parla d'amore. Ed e' ancora con me questa malinconia stanotte: speravo che se ne andasse dalla finestra aperta, che scivolasse giu' lungo il fiume fino all'oceano e che mi lasciasse finalmente pensare a lei come faccio sempre, felice, un po' cretino, mentre l'aspetto.

Thursday 31 March 2011

Cuzco

E' domenica mattina presto, tanti anni fa. Bella giornata. Vedo i tetti rossi delle case di Cuzco dall'alto della collina. Sono seduto su uno dei pietroni di Sacsahuaman, e mi sto fumando una sigaretta guardando la citta' e la valle che la contiene. Anzi, mi sto facendo una canna. L'erba che mi hanno regalato a Lima un paio di settimane fa e' scura e odora leggermente di ammoniaca - il che vuol dire che ci hanno pisciato i topi mentre seccava in qualche soffitta - ma mischiata con la Camel si puo' fumare, e da' un colpo immediato al sensorium. Gomito appoggiato al ginocchio guardo la citta' attraverso il teleobiettivo della macchina fotografica. Le due chiese sulla Plaza de Armas (che una volta si chiamava Plaza Mayor) mi sembrano due pastori erti drammaticamente in mezzo al gregge di case bianche a due piani. Buona quest'erba. Alzo la mira e lontano nella valle distinguo l'aeroporto. Lo guardo fisso per un po', aspetto che parta l'aereo solitario in mezzo alla pista. Non distinguo la livrea, neppure col 200mm, ma so che e' un volo Aeroperu' per Lima, e su di esso c'e' Veronique che se ne torna a casa, vacanze finite. L'ho incontrata quattro giorni fa ad Arequipa, disperata perche' non trovava alloggio, gli alberghi riempiti da un convegno di ingegneri peruviani. Abbiamo trovato una camera doppia e abbiamo deciso - dopo notevoli discussioni - di dividerla, visto che era l'unica in tutta la citta'. Parlando in un bastardissimo misto di italiano inglese spagnolo e francese (che io non so) abbiamo negoziato per almeno mezz'ora alla reception dell'albergo.
- Dividiamo camera e costo ma letti separati.
E io:
- Va bene. Non abbiamo scelta.
- Hai capito, vero?
- Si, stai tranquilla, e' solo per convenienza.
- Guarda che io sono in vacanza da sola ma non voglio storie.
- Va benissimo ho detto. Tanto io domani parto per Puno.
- Puno? Anche io vado a Puno. Ma per stanotte dobbiamo essere chiari.
- Tranquilla, sono qui per vedere il Peru' non per cercare storie.
- Bene. Io ho deciso d'impulso di venire in Peru' perche' ho litigato con il mio ragazzo a Parigi.
- Non mi devi spiegare niente...
- Sappi che comunque sono lesbica.
- Allora posso stare tranquillo...e anche tu.
- Si ma e' meglio essere chiari...
- ....Piu' chiaro di cosi'...

La notte passo' senza eventi, e l'indomani mattina, con cautela reciproca decidemmo di andare a vedere lo sterminato convento di Santa Catalina. Fu una giornata piacevole, e la sera ci ritrovammo sulla stessa corriera per Puno ed il lago Titicaca.
La notte fu durissima, per il freddo. La corriera si arrampico' tutta la notte sui gradini della cordigliera, e a mano a mano i passeggeri, quasi tutte donne locali in bombetta aggiungevano strati al vestiario. Noi avevamo giubbotti e maglioni ma non bastavano. Fuori c'era solo l'altopiano, terroso e rosso. Alla fine, durante una sosta notturna durante la quale la pipi' gelo' prima ancora di arrivare a terra, Veronique si arrampico' sul tetto, tiro' fuori il saccoletto dal suo zaino, e lo usammo come coperta per entrambi, riuscendo a sopravvivere.

A Puno prendemmo alloggio al vecchio hotel Ferrocarril, di fronte alla (singola) linea ferroviaria.
- Possiamo dividere una camera doppia se vuoi, ma valgono le stesse regole.
- Va bene per me.
- Non pensare che avere diviso il mio saccoletto sul pullman ti autorizzi a considerarti amico intimo.
- Non ci penso nemmeno! E' stato un fattore ambientale a costringerci a stare vicini.
Dopo avermi fissato aggrottosamente dal basso in alto con quei grandi occhi blu decise che forse poteva fidarsi.
- Ricordati che sono lesbica.
- Non potrei MAI dimenticarlo.

Cenammo nell'albergo stesso. Un paio di tavoli con locali, qualche turista, e una tristissima banda andina che suonava El Condor Pasa a ritmo di veglia funebre.
Quella notte stetti male. Molto. Qualcosa nel cibo, passai la notte abbracciato alla tazza del cesso. Stavo cosi' male che non mi preoccupavo nemmeno della figura che stavo facendo. L'indomani mattina Veronique usci' presto, mentre io, sfatto, deliravo nel dormiveglia. Be' forse 'deliravo' e' eccessivo. Torno' poco dopo con il pacchetto del farmacista all'angolo.
- Mate de coca. Eccellente per lo stomaco. Ti fara' bene, vedrai.
- Ahhhhhhhhh.....("voglio morire").
Fu un'infermiera perfetta. Fece il mate a piu' riprese, me lo fece bere, mi toccava la fronte per vedere se avessi febbre, rimboccava le coperte, mi trovo' dei limoni da succhiare per ristrizzare l'intestino in condizioni normali. Funziono'. Lo stesso pomeriggio stavo gia' meglio, e uscimmo per andare a vedere le Chullpas a Sillustani. Ci arrampicammo sulle torri in rovina, facemmo foto, chiacchierammo. Sembrava felice che stessi meglio e io non sapevo come ringraziarla per la gentilezza.
Quella sera decisi di non cenare per sicurezza, e continuai a bere mate per reidratarmi. Veronique ando' a mangiarsi una pizza da qualche parte in citta', ma torno' subito.
- Volevo essere sicura che stessi bene.
- Sto benissimo ora, grazie. Sarei potuto uscire ma sai, per sicurezza preferisco rimanere vicino al bagno..
- Bene.

Come la prima notte ad Arequipa ando' in bagno a spogliarsi, torno' con una lunga maglietta per pigiama e pudicamente si corico' nel letto accanto. Io andai a farmi una doccia per liberarmi dell'odore di sudore e di febbre. Ci misi molto tempo, e poi silenziosamente mi coricai.
Devo essermi addormentato quasi subito. Ma poco dopo mi sveglio' il suo odore. Era nel letto con me. Confuso, allarmato, stavo quasi per cadere dal letto dalla fifa ("cosa ho fatto?") ma lei mi tenne con la mano sul braccio.
- Cosa succede?
- Je....avec vous.
- Ma tu hai detto che...
- Sshhhhh...étreignez-moi...

L'indomani andammo a Copacabana, in Bolivia, giusto dall'altra parte del confine, un oretta di minibus. La situazione in quel paese era brutta. Soldati ovunque, scritte contro il governo sui muri ancora di piu' e la moneta cosi' svalutata che la gente al bar pagava con mattoncini di banconote legati con lo spago, estraendoli dal cestino della spesa o dalla sporta. La banca mi diede mezzo milione di pesos, in mattoncini legati con lo spago, per un dollaro. E un dollaro non bastava di certo. Considerammo la possibilita' di comprare una carriola per portare i soldi con noi, ma sarebbe costata svariati milioni di pesos e non avevamo fisicamente dove metterli: chili e chili di carta. Ce ne tornammo a Puno, al Ferrocarril

- Ma non avevi detto di essere lesbica?
- Je suis une....quand I want to...pourquoi demandez-vous?
- Oh... (damn) Je suis très...confuso?
- Non ti piaccio?
- Oh, si...
.........
- Vieni a Cuzco con me? Col treno?
- Sono gia' stata a Cuzco. Devo tornare a Lima, and je partirai pour Paris en trois jours.
- Ohhh...torna a Lima da Cuzco
- Non mi bastano i soldi.
- Te li do' io....poi me li ridai.
- J'aime cette idée...

Questo fu due giorni fa, credo. Il treno era pieno di viaggiatori in zaino come noi che andavano a Cuzco, l'ombelico del mondo. La ferrovia e' qualcosa di speciale: finita nel 1908 raggiunge i 4000 e passa metri fra Puno e Cuzco, e nel vagone ristorante avevano le sogliole...appena arrivati Veronique ando' a farsi il biglietto dell'aereo, e stamattina mi ha salutato e se ne e' andata. Io sono salito a Sacsahuaman.

L'aereo decolla, sale lontano, poi gira e gia' in quota mi passa sopra. Gli faccio una foto contro il cielo blu. Poi finisco la canna, raccolgo la borsa con la camera e me ne scendo in citta'. Devo organizzarmi per il sentiero degli Inca.

Non l'ho mai piu' rivista.

Thursday 27 January 2011

PUI

E quindi, a ottobre vi avevo lasciato sulla strada per Kampala, su un bus. La cosa fu tanto priva di eventi da indurmi a lasciarla a meta'. Ora che a Kampala ci sono di nuovo vale come continuazione. Non che ci sia molto da dire...dovrei occuparmi di strategie megagalattiche (o almeno cosi' dice la job description) e mi trovo ad insegnare come fare un budget con Excel - perche' ho scoperto che nel mio ufficio qui non lo sanno fare. Cioe', alcuni di essi non hanno mai provato ad impararlo - o forse non hanno mai avuto occasione. Li ho gettati in acqua direttamente - tutto il weekend a fare budget in Excel. Lavorare il weekend! Avresti dovuto vedere le loro facce. Mai successo credo. A Nairobi dicono che gli ugandesi siano pigri...

Dopo un sabato e una domenica dedicati a farlo assieme (il budget) su un laptop, ora vanno da soli. No, quelli che mi fanno incazzare sono coloro, a Londra, che negli ultimi anni hanno avuto la responsabilita' di questi colleghi. Senza controllare che fossero pronti hanno affidato loro - a questi ragazzi e ragazze di qui - un programma di tre anni, regionale, con soldi della commissione europea, e quindi con la mole di lavoro da dedicare a servire il finanziamento in tutti i suoi aspetti. E pagandoli pochissimo, anche per standard locali. Coincidenza interessante: l'ex CEO di questa organizzazione, la responsabile ultima dei casini che sto trovando, e' la stessa donna la quale, in quel del Natale 2002, divenne mio capo a Londra - altra organizzazione - e io, pieno di orrore all'idea, me ne scappai a lavorare in Cina. Forse qualcuno ricorda, anche se la storia non fu raccontata qui.

La padrona dell'albergo che ho trovato e' una signora molto simpatica, chiaramente la boss di tutto il personale e di suo marito anche. E' Ismailita, seguace dell' Aga Khan. Mi ha dato un appartamento in cima, dal lato della valle, con un grande balcone intorno. Ovviamente a me basta una camera - del bagno principale non so che farmene, basta quello in camera, e la cucina ha 2 frighi. Ho rubato la scrivania dal salotto, e ho spostato gli agganci della zanzariera. Sono a posto. E percio' la signora dell'albergo stasera mi chiede com'e' andata la giornata - che io mi collego dal business centre dell'albergo, e l'ufficio suo di lei e' di fronte. E' gentile, educata, materna quasi. Ma e' anche chiaramente una femmina alfa. Io per non sbagliare sono sempre polite con tutti, quindi ci troviamo congeniali. La ringrazio per avermi fatto sistemare una luce sul comodino, mi chiede come funziona l'internet - bene, qui in questo ufficio e basta...figurati se arriva al terzo piano. Groan.

18 Jan 2011 22:52 Kampala time dice il display in basso a destra. Dovrei andare a letto. Magari un sostegno, prima. Ah gia', non ve l'ho detto: ho trovato le canne in Uganda! Il tipo che mi e' venuto a prendere all'aeroporto, lo chaffeur dell'ufficio, mi ha indicato il palazzo presidenziale sulla collina che domina l'aeroporto. Giusto per fare conversazione ho detto "Ah bello. Conveniente per il presidente Museweni, ci potrebbe andare anche a piedi, all'aeroporto..." al che Jamil, serio "Si, anche di corsa ci potrebbe andare". Grande risata. Ma queste sono quisquiglie, pinzillacchere. Mai come il didietro di Lenin mostrato all'ambasciatore cinese...ma non divaghiamo.

L'ho fatto.

Era la fine della riunione alla scuola delle suore (ordine locale, fondato nel 1910). Avevamo parlato tutti in abbondanza, e c'era un accordo. Tutti contenti, e suor Immacolata mi fa "Please di' la preghiera per la fine della riunione". Ho pensato che un'occasione cosi' non mi sarebbe capitata piu'. Quindi mi sono alzato in piedi e ho detto: "Non sono molto bravo a parlare con Dio ma faro' del mio meglio". Silenzio. Trenta ugandesi in piedi attorno alla stanza. Quattro o cinque pinguini. Genitori, insegnanti, rappresentanti di altre organizzazioni che aiutano questa scuola (e nemmeno pochi: noi (UK), una ONG italiana, una koreana, e una olandese. Ma i rappresentanti tutti ugandesi. Dovrei precisare che questi ragazzi qui sono spaventosamente religiosi, tutti. Domenica mattina una setta battista si e' messa a cantare sotto la mia finestra dalle dieci alle due. Ci sono chiese ovunque. O l'ho gia' detto? E comunque ho tirato fuori dal cassetto la mia similitudine dell'albero, gia' usata con successo nel Turkestan Orientale. Alle genti agricole piace. E bla bla, la collaborazione e' come un albero, i frutti, il sole, l'acqua nella buona volonta' di tutti eccetera. Penosa, really. Poi, ispirato, allargo leggermente le braccia, alzo la testa e proclamo: "Che la benedizione del Signore e la Forza siano con Voi"
E tutti: "Amen!"

("May the blessing of the Lord and the Force Be With You")