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Thursday, 5 February 2009

archivio (55) Sera a Saigon

Lasciate che vi racconti della mia cena da solo a Saigon. Lo so che non e' ancora notte da voi, ma qui si, e io mi sento ispirato (/espirato). 
Un amica recentemente mi sciveva ti immagino sul mekong, seduto a gambe incrociate in una canoa, in maniche di camicia arrotolate, il fucile sulle gionocchia... Quasi giusto. A parte il fucile, che e' una cosa solo da Africa ormai. Ma qui e ora sono in citta', e che citta'. Quando ho finito di lavorare - da solo, in camera d'albergo - erano ormai le nove e mezza di sera. Non sono qui da solo: ci sono colleghi nello stesso albergo. Ma americani, australiani, indiani, inglesi e cinesi di Hong Kong hanno tutti una cosa in comune, culturalmente angli che non sono altri: cenano alle sette di sera. Spesso lo faccio anche io, per non essere antisocial, ma oggi proprio non ne avevo voglia. Quindi ho saltato il pranzo, e solo quando ho finito tutto quello che dovevo fare sono uscito. Saigon e' come Hanoi ma piu' americana. Sempre il fiume di motorini c'e' per strada. Sul marciapiede ho alzato una mano e si e' fermato un VinaTaxi. Gli ho dato il bigliettino del Pacharan e mi ci sono fatto riportare. Venti minuti forse, traffico ormai leggero, tre euro - cosi' sono i taxi in quasi tutto il mondo: moltissimi, disponibili, e non cari. Ma lasciamo perdere i pippotti...sono arrivato che erano le dieci, e sceso dal taxi mi sono trovato davanti la porta del night club accanto, e il fila sulla porta cinque zoccole in minigonna, ovviamente messe li' per attirare il pubblico...meno male che avevo troppa fame, ergo le ho ignorate. Il ristorante e' la porta accanto. Ignoro le zoccole ed entro nel ristorante spagnolo di Saigon. E' su tre piani, ad angolo in una piazza. Sotto il bar, sopra il ristorante vero e proprio (con un altro bar), e piu' sopra ancora terrazza. Pareti bianche, archi che ricordano l'Alhambra, echi di al-andalus. O sono io che dalla fame vaneggio, piu' probabile. Una ragazza mi accompagna al primo piano. 
- sei solo?
- si
- siediti qui, vedi la piazza e puoi fumare 
- e tu come lo sai che fumo? 
- hai fumato l'altra sera quando eri qui col tuo collega
(sorridendo alla mia faccia incredula - non me la ricordo assolutamente e sono venuto solo una volta prima)
- vuoi lo stesso vino?
(recuperando, maschera da KT su)
- si grazie 
Se ne va, vestita da Viet Cong in pigiama nero, sottile e flessuosa. Appoggio le sigarette sul tavolo, il portacenere c'e' gia'. Torna in dieci secondi con il menu'. Visto che sono gia' le dieci non voglio fare perdere tempo alla cucina, ordino subito. Una ciotola di olive cunzate (condite con olio, peperoncino, pezzi di cetriolini ed altre cose yummy), insalata di erba verde scura con su adagiate due fettone di meraviglioso, fantastico, orgasmevole queso de cabra, a cui si dovrebbe elevare un'ode. Poi stufato di puerco con ceci e altre cose buone. La ragazza sparisce di nuovo. 
Guardo la piazza. Sotto la finestra - che non e' una finestra, e' una vetrina, come quelle dei negozi, solo che invece di guardar dentro si guarda fuori - c'e' un semaforo, dozzine di motorini fermi al rosso. Mi hanno detto che a dicembre scorso hanno introdotto la legge sul casco, ed infatti tutti ne hanno uno: coloratissimi, a fiori, a forma di coccinella a pois, rosa, azzurri, gialli. Un bimbo, in piedi davanti al padre che guida, ne ha uno con un bellissimo paio di corna da diavoletto. Luminose, rosse. Penso che sia una figata. Al centro della piazza taxi parcheggiati - a Saigon i taxi sono di tutti i colori e forme, dall'altro lato della piazza i quattro piani in stile francese del Grand Hyatt, anche lui bianco.
La ragazza torna col vino. Semplice Vina Sol Torres, bianco. Nei paesi tropicali non ce la faccio a bere il rosso - troppo caldo. Mi mette anche il secchiello col ghiaccio per tenerlo fresco. Poi arrivano il pane e le olive, una baguette a fette calda calda. Mmmm.... fra me e me mugolo di piacere olfattivo e gustativo. Mangio, e bevo. Penso alla giornata e al Vietnam a come mi piacerebbe vivere qui, fra questa gente che al contrario dei cinesi con faccia torva o inscrutabile, sorride sempre. Poi arriva l'insalata (mi sono abituato a questa cosa che l'insalata la mangiano prima della pietanza). Il queso di cabra e' rustico come deve esserlo marieddu, e profumato come deve esserlo chi gli sta dietro. Al sapore e' come una crema densa con sentori di miele ma allo stesso tempo tagliente...non le so descrivere queste cose, ci vorrebbe la veronellite, che non ho. Col pane raccolgo l'olio - vero - e lentamente mi sento meglio. Al bancone del bar, dall'altro lato della sala, oltre gli archi, quattro turisti australiani vestiti da turisti - pantaloncini, magliette, sandali - bevono e si fanno fotografie con in testa i cappelli di paglia a forma di cono tradizionali, che devono avere comprato come souvenir. Li ignoro. 
La ragazza Viet Cong appare dal niente ogni volta che il bicchiere e' vuoto, non dice niente, lo riempie, e sparisce. Per rispetto a cotanta professionalita', ogni volta che ripete la procedura io appoggio la forchetta e smetto di mangiare, e quando ha finito le sorrido. 
Lo stufato di puerco non e' per fortuna tanto, ma i ceci sono buoni e con l'aiuto del pane anche questo e' finito in poco tempo. Fuori il traffico diminuisce. Due motorini si scontrano e finiscono a terra, ma andavano entrambi a due all'ora, quindi si rialzano, si scotolano, e ognuno per la sua strada. 
Ho finito e mi sento benissimo. Per puliziarmi 'a ucca, come si dice, chiedo un piatto di frutta. Arriva pulita, affettata e impilata. Il mango e' buono, l'anguria pure, la mela anche. Il dragonfuit non tanto, ma mangio tutto lo stesso. La solitudine non rovina la cena, per furtuna, se no in questi viaggi non mangerei mai. 
Si sono fatte le undici, e dietro di me stanno chiudendo la cucina. Chiedo il conto - roba da poco, anche col vino - pago, lascio la mancia alla Viet Cong (non lo faccio mai in Oriente, dove non se l'aspettano) e me ne vado. Esco sulla strada e per fortuna le zoccole non ci sono piu'. Sul bordo del marciapiede alzo una mano, e un taxi si ferma subito. Saluto l'autista, gli do' il bigliettino dell' albergo dove sto, poi mi appoggio allo schienale e chiudo gli occhi. In Italia sono le sei del pomeriggio, ma KT, nel Far Side of the World ora vuole solo dormire. Devo ricordarmi di dire a SonoEsa del queso de cabra...
..tutto questo scrivere mi ha messo fame, e sono le 18:15 a Saigon. Non ho pranzato, quindi esco e vado a cena qui vicino. Mi hanno detto che c'e' un ristorante Ceco che fa carne alla brace come si deve...

Wednesday, 4 February 2009

archivio (49) Posting Under Influence III

L'Osteria del Grillo. 

Avviso: scrivo sotto l'influenza dell'alcool. Meglio, sotto l'influenza di una bottiglia di Regaleali (e se non sapete cosa sia, poveri). Quindi, sono PUI*. 

L'Osteria del Grillo e' strana. Intanto nel conto c'e' scritto "ristorante la Terrazza". Pero' sopra l'ingresso c'e' il nome del Grillo. Penso che al Grillo piacerebbe il posto: e' un ristorante veronese tipico. Le pareti, imbiancate a calce, sono coperte di mensole ripiene di bottiglie, tutte vuote. Principalmente Masi, roba tipo amarone. Ce ne sono centinaia, coprono tutte le pareti. Poi stampe medioevali di Verona, poster moderni sulla vinificazione a Verona, cassette di legno di vino veronese. C'e' una bottiglia di Ferrari qui e li', e vicino all'ingresso una catasta di bottiglie (vuote) di Gaja. Forse si sono confusi. 

Il cibo e' decente, visto il posto. Stasera ho chiesto un piatto di affettati (cosa difficile da trovare) e mi hanno portato un piatto da pesce pieno di crudo, salame e (gaudio!) capicollo piccante, appena affettato, sottile e buonissimo. Mi sono sbafato il tutto in pochi minuti (a mia discolpa diro' che non avevo pranzato, ne' fatto colazione. Ma la colazione non la faccio mai...) afferrando l'affettato col pane e riempiendomene la bocca con gran gusto. Dopodiche', un piatto di ravioli all'aragosta, specialita' oriunda locale per accompagnare il Regaleali. Il pane era fresco, e non ho avuto bisogno di chiedere perche' ne arrivasse altro. Cosi' come per il vino: appena il bicchiere era vuoto arrivava una delle cameriere a riempirlo. Servizio perfetto, per un posto cosi' piccolo. 

Le cameriere del Grillo. In inglese c'e' un'espressione per definire donne cosi': achingly beautiful, che si puo' tradurre contanto belle da far male. Ce ne sono quattro, per un posto con forse dieci tavoli. Non hanno zone assegnate: ad una ad una ti servono tutte, chi il vino e chi il pane. Quella che piace a me e' la piu' grande, un caschetto nero su un sorriso da far venire fame anche a stomaco pieno. Ma serieta': sono tutte e quattro bellissime. Da noi sarebbero in televisione, altro che ristorante. E sorridono, e sono gentili. E ti riconoscono dopo mesi. Un piacere, mangiare dal Grillo e guardarle che lavorano. 

OK, lo ammetto. Credo di avere raggiunto l'eta' in cui le ragazze giovani le noto ani_biggrin.gif certo, non sono come alcune persone piu' mature che ho l' onore di conoscere, ma sono molto carine. E meglio che non dica piu' niente. Certo che non le cambierei. Non ancora, almeno. 
Il caffe' lo fanno con una macchina espressa Faema E61, circa 1965, acciaio e cromo. Questa si' che me la porterei a casa.
Conto decente: forse 20 euro, compreso il vino e una fettona di tiramisu' fatto li' stesso. La cameriera a caschetto: mi era sembrato che avessi fame, quindi ti ho portato una fetta grande. Sono contenta che l'hai mangiata tutta!.

Prima di andarmente sono andato in cucina (KT e' noto per prendere di queste iniziative). Il cuoco e' di Danang. Gli ho chiesto di Verona. Mi ha detto che il proprietario originale era un veronese, morto da qualche anno. Gli eredi hanno mantenuto la tradizione. 

Osteria del Grillo, Phom Vien Tuang 32, Hanoi, Vietnam. 

* Posting Under Influence (of alcohol)

archivio (40) La prima e ultima volta

(24 May 2005)

Yuck. 
Dopo tre giorni su e giu' per le montagne della Cordigliera Annamese finalmente un telefono. Comporre il numero 1269, password vnn1269. Connesso col modem, a 28.8 lumachesco. Ma tant'e'. 
Posta, alta posta, forum. 

Mi sento un po' di schifo stasera. E' stata la cena. In questi giorni fra i Hmong della provincia di Phu To ho mangiato accettabilmente, spesso seduto a gambe incrociate su un pavimento di bambu', caldo appiccicoso all'ombra dei tetti di palme. Maiale, manzo, verdure locali al vapore. Io ormai mangio tutto, e il vino di riso lo tollero, anche se e' ora di pranzo - tanto qui bevono sempre. Ma a quanto pare ai locali e' piaciuta questa cosa che uso i bastoncini e non rifiuto niente. E' da due giorni che mi ripetono appena torniamo in citta' ti portiamo a mangiare una cosa tradizionale nostra. Questi i vietnamiti, non i Hmong. 
Ora io non e' che mi scomponga per il cibo. In qusti anni in giro ho mangiato di tutto. Zebu' crudo, struzzo e gnu in Africa. Vermi, serpenti e scorpioni fritti in Cina. Vegetali bolliti a morte in Inghilterra. Eppure stasera, finalmente di ritorno nel capoluogo provinciale, la polvere della pista nel naso e nelle orecchie, mi hanno detto Alle sette si va a cena. Ti portiamo al ristorante dove cucinano il cane.

Sapevo di questa cosa che hanno i vietnamiti per la carne di cane. Speravo di evitarlo. E invece no, ospite e tutto quanto. Il locale e' un posto squallido, soffitto alto di plastica marrone, pareti spoglie, luci al neon e tavoli di formica. Siamo forse dieci. La collega nuova di Hanoi, donna indubbiamente intellettuale, cittadina e sofisticata mi fa Se non lo vuoi ti ordiniamo qualche altra cosa... Ma c'e' il segretario del Partito, il direttore dell'ufficio sanita', altra gente con cui sono stato in giro in questi giorni. Non posso sottrarmi. O meglio potrei, ma ci perderei la faccia. Faccio un patto con me stesso. 

La carne in se' e' cosi' cosi'. Sapore forte, ma mai buona come un castrato arrosto. La portano cotta a spiedini (Oh. E' la coda del cane a fette quella?), affettata al vapore (Ma era grasso questo cane. Certo non e' uno di quelli che abbiamo rischiato di investire attraversando i villaggi..), fatta a salsicce (!). E il fegato - di cane - con le cipolle, ovviamente. Magari sono stati i maledetti francesi a insegnarglielo. Per nascondere il sapore producono una salsina di gamberi, un'altra di pesce (Col cane? Salsa di gamberi? Sara' stato un pescecane...). Ridono, i folli, alle minchiate che dico per non pensare all'animale vivo, giocherellone, amichevole, scodinzolante. Mangiarsi il cane? Ma veramente avete le priorita' sottosopra voi ragazzi. Col porco che c'e' qui vi mangiate il cane? Ma nemmeno i cinesi, se possono evitare....
Per annaffiare, vino di riso. Il segretario del Partito tira fuori una fialetta di vetro dalla tasca, e vuota il contenuto nella bottiglia. Il liquido incolore diventa di un bel giallo piscio. Riempie bicchierini in giro, brindisi. Sa vagamente di limone. Yuck. E' bile d'orso. Buona per tutti i malanni. E meno male che sei un medico con laurea a Parigi, scemo di guerra, NON gli dico ma ci vado vicino, pensando all'orso della foresta chiuso in gabbia per anni con una ferita aperta nel ventre da dove ogni qualche giorno gli siringano via la bile per questi qui. 

Assaggio tutto, anzi mangio proprio. E bevo. Tutti contenti. Gli americani e gli inglesi non le mangiano queste cose, mi dicono tutti felici. E certo, penso io. Me lo vedo l'inglese che si mangia il cane. Come si mangiasse uno della famiglia, chesso', il cugino. Non riesco a togliermi dalla mente gli occhioni liquidi, orecchie e lingua penzolanti, il pelo lungo e la voglia di giocare con me che l'ultimo cane che ho avuto aveva. 

Finito, ultimo brindisi, saluti, si va. Per questa volta, e solo per questa. Datemi le uova delle formiche della foresta anche ogni giorno, come il mese scorso fra i Kachin. Ma il cane, mai piu'. E la prossima volta che tornero' qui - perche' devo - ve lo diro', cosa ne penso delle vostre preziose tradizioni. Mangiarsi il cane come se fosse una cosa speciale. Barbarico, da carestia infinita. Puah.

archivio (35) Lezioni di comunismo

Hanoi, 29 Ottobre.
Sono in macchina con Anh, che mi sta riportando all'aeroporto. Il traffico dell'ora di punta non e' diverso da qualunque altra citta', a parte il fatto che sono tutti motorini. Davanti a noi, incolonnato, un camion verde scuro, militare. Anh lo indica, tutto eccitato si gira, e con quel sorriso da ragazzone mi fa 'ZIL 131. Russia. Lo guidavo quando ero militare!'
Guardo mentre lo sorpassiamo, ed e' proprio lui. Sei ruotoni profondamente scolpiti, tamburo del freno a mano che sporge sopra la trasmissione dietro la cabina, cofano lungo.
'Anche io l'ho guidato, lo ZIL 131, quando ero in Africa'
Anh mi guarda di sfuggita con aria interrogativa. Io, uno straniero, guidare un camion militare russo?
'Si chiamava Hugo, ed era dipinto di giallo'
Anh non dice piu' niente. Probabilmente non mi crede. Io guardo fuori e penso che lo dovro' raccontare, il viaggio con Hugo.

Poco dopo passiamo a lato ad un piccolo parco: alberi grandi fanno ombra a bambini che giocano e a vecchietti seduti al fresco. Nel mezzo, sul piedistallo di cemento, la statua di bronzo di Vladimir Ilich Lenin ci guarda da sopra il pizzetto, il dito di una mano leggermente alzato come per dire di non correre. Anh mi indica il palazzo piu' grande fra quelli intorno al parco, quello dall'aria ufficiale piu' sinistra.
'L'ambasciata della Cina' dice, con un ghigno. 
L'ironia non mi sfugge, nonostante il suo accento terribile. 
'Avete messo la statua di Lenin di fronte all'ambasciata cinese? Cosi' che se la possano guardare tutte le mattine?'
Anh e' un autista, ma la rivalita' politica fra il comunismo russo e quello cinese ha ovviamente radici profonde nell'immaginario collettivo popolare, in Vietnam. Il ghigno gli si allarga in un sorrisone, e mi fa:
'Quasi giusto. I cinesi ogni mattina guardano il didietro di Lenin. 
Mi volto, mentre imbocchiamo un altro boulevard, e ha ragione. In piedi, il busto leggermente inclinato in avanti, Lenin mostra il culo all'ambasciata della Cina. 

archivio (34) Posting Under Influence II

Argh. 

OK, sono di nuovo PUI (posting under influence).

Non e' colpa mia. Sono ad Hanoi (se non sapete dove sia Hanoi sono cavoli vostri). Mentre camminavo dall'ufficio all'hotel, sovrappensiero, ho visto con la coda dell'occhio (nell'occhio???) un pezzo di legno appeso al muro: 'osteria', c'era inciso. E si che mi sono fermato. Dal vetro era il solito ristorante italiano all'estero: tovaglie a quadretti e stampe italiche appese ai muri. Vuoto, erano solo le sei e mezza. Ma era quasi ora di cena, e ho pensato di mangiare qui invece che dal vietnamita, dove ormai ceno tutti i giorni, da solo. Ho aperto la porta di legno e sono entrato. Nell'aria Lucio Dalla, 'com'e' profondo il mare'. Bene, ho pensato. Se non altro la musica mi piace. Mi ricorda di quella notte al castello di Castelmola, piu' di venti anni fa, con Anna la normanna, seduti sul papapetto del castello, gambe penzolanti sullo strapiombo sopra Taormina, Lucio Dalla in sottofondo. Quella sera siamo diventati amici per sempre. Il suo uomo ne e' gelosissimo..... 

Ma divago. Ho mangiato, formaggi italiani vari ed una normalissima cotoletta. Niente di che, come direbbe qualcuno. Ma d'altronde sul muro di fronte c'era appesa una stampa sulla produzione vinicola veronese, e dalla cucina venivano vociate con accento Camillesco. 
E pensavo. Tanto c'ero solo io. I Vietnamiti, dopo 100 anni e passa di francesi mangiano ad orari decenti, cioe' dalle venti in poi....sono io che sono troppo inglese...
Ah, e una bottiglia intera di Nero D'Avola, a 20 dollari. Ammazza. Pero' c'era un Barbaresco Gavi a 360 dollari...mi accontento del Nero. Tanto funziona. Come ora. 
(dov'e' Pinguino? Pinguinazzo, sono ubriaco....)
Certo che l'ho pagato io, il Nero. Lavoro per una ONG, e le direttive sulle spese permesse non 
ammettono alcool tranne quando si invita gente per lavoro. Giusto & Sacrosanto.
Divago ancora. Isomma, sono incazzato. Diciamo che scuoto la testa e mi dico 'ma non ascoltano???'

{Lucio Dalla: com'e' profondo il mare}

Insomma. La mia ONG lavora in Vietnam da cinque anni. Per tutto questo tempo il direttore dei programmi e' stato un americano, persona di esperienza con le agenzie dell' ONU, tipo UNDP e UNHCR. Cosa strana, visto che in tutti gli altri paesi dove lavoriamo ( Cina, India, Etiopia, altri) e' sempre una persona del luogo, per ovvi motivi di conoscenza e capacita'. 
Tre mesi fa l'americano se ne e' andato. Si e' licenziato, ha trovato un lavoro a casa sua. Il mio capo, da New York, mi telefona e mi fa 'Ti dispiace andare a dare un'occhiata al programma in Vietnam mentre noi cerchiamo un sostituto'

{...te ne sei andata via con la tua amica...}

'Certo' gli faccio io. Non l'avessi mai detto. Non che avessi scelta, badate. Da Hong Kong sono due ore scarse di volo, e non lui aveva nessun altro sotto mano. Per tacere della reputazione che mi hanno appiccicato addosso 'C'e' un problema? Manda KT...'

Insomma, ho scoperchiato un nido di vermi, e ancora sto scavando. L' americano ha fatto un sacco di michiate, ed e' riuscito a nasconderle bene. Il personale locale, vietnamita, e' in piena guerra civile, sorrisi come coltellate. I fondi destinati alle organizzazioni locali vanno da tutte le parti, passando da ministeri e uffici vari e perdendo la meta' del valore nel frattempo. Le scelte strategiche ( in quale settore investire, come spendere i soldi per ottenere risultati a favore degli strati poveri della popolazione) sono minchiate terrificanti. Errori da volontario irlandese ventenne in Africa. Il tipo non ha capito niente di come la pensa il governo locale. Il Vietnamita che ha assunto come suo vice e' praticamente una spia del ministero degli interni locale. E noi lo paghiamo. I progetti sono inutilmente complessi, gli obiettivi largamente irraggiungibili, il monitoraggio dei progressi (per chi ci da' i soldi) inesistente. Si fottono i soldi da tutte le parti. Ma sucaminchiadieva, come dicono alla Petriera, a Catania. E io che dovrei sistemare tutto. E lo faro', anche se mi ci vorra' un anno.

Per fortuna c'e' il forum per sfogarmi. In ufficio ho copiato i settings per la connessione internet via modem che usano (circa 1996), e ora dall'albergo la uso, attaccato al telefono.

Sigh. Non sono meglio di loro. 

Ciao va'.

PS le vietnamite sono come le cinesi, con la differenza importante che hanno i fianchi. Risultato: didietri bellissimi....

archivio (29) Il fiume di motorini

Il centro di Hanoi e' come il centro di Shangai, o come il centro di Dire Dawa, o come una qualunque cittadina francese vista in un libro: strade ad angolo retto, marciapiedi ammattonellati coperti dall'ombra delle file di alberi (e qui finisce l'analogia) che regolari fanno ombra ai mille negozi, una donna in pantaloni e sandali seduta o accovacciata accanto ad ogni soglia, circondata da mercanzia appesa tutt'intorno e sopra. L'effetto e' magnifico: sembra che la citta' intera sia permanentemente decorata come per una festa orientale. E per la strada, per le strade, un fiume di motorini, migliaia e migliaia, fatti in Cina, in Vietnam, in Malesia, rossi bianchi verdi e neri. Il traffico di due ruote e' uno spettacolo, riempiono la strada come un fiume dopo le pioggie, fra una riva di marciapiede e l'altra. Vanno tutti alla stessa velocita', comprese le rare biciclette. Le donne guidano col fazzoletto sul viso a coprire bocca e naso, gli uomini col casco appentolato in testa, tutti vestiti bene, belle scarpe puntate sui pedalini, bracciali d'oro sul manubrio, camicette chiare a coprire corpi slanciati, poco fumo dagli scarichi. Il caldo e l'umidita' della stagione bagnata stanno svanendo lentamente, e squadre di operai in elmetto giallo potano un platano dietro l'altro riempiendo il marciapiede sotto di foglie che sembrano cespugli, mentre il fiume gli gira intorno e prosegue per il suo corso fino al prossimo incrocio, dove il semaforo lo ferma per fare passare al traverso un altro fiume di metallo e plastica luccicante, che sembra scorrere placido ma profondo. Le poche automobili sembrano tronchi portati dalla corrente, solo il tettuccio appena visibile fra le onde del fiume, il guidatore invisibile segue la corrente di motorini, i quali, piu' veloci, lo sorpassano da entrambi i lati a dozzine e centinaia. Il bordo dei marciapiedi e' un infinito parcheggio lineare per due ruote, su ogni sellino un graffito di gesso: il parcheggio e' pagato. Ai lati del fiume, sopra i negozi, deliziose case a due o tre piani, vasti balconi ombrosi coperti da tende penzolanti sulla balaustra, piante e fiori nei vasi, tetti di tegole di colore familiare, tendine di chintz fermano l'occhio dietro le finestre. Peccato che abbia solo tre giorni: mi piace molto Hanoi. Un impiegato in camicia e cravatta e cartella in mano passeggia forse verso casa, la baguette sotto l'ascella. Massiccio deja vu...