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Monday, 2 March 2009

archivio (61) Una serata sportiva

Novembre 1991. Sono appena tornato in Ismailia dopo dieci miserabili mesi trascorsi in Italia, nelle colline metallifere fra Siena e il mare. 
Sono tornato in Ismailia a lavorare per una ONG inglese. Mi hanno preso perche' ho esperienza del paese. Se hanno dubbi sulla capacita' di un italiano ad accettare a adottare la loro etica lavorativa non lo danno a vedere.
Mi presento al lavoro il giorno dopo il mio arrivo. Il capo progetto e' una donna. Alza la testa dalla montagna di carte sul tavolo, si alza, mi stringe la mano, mi da' il benvenuto. Mi chiede se voglio un caffe'. Dico si, e mi mordo il labbro, ma e' troppo tardi. Lei stessa si alza e va in cucina (l'ufficio e' in una casa affittata nei suburbi della capitale). Torna con due boccali di plastica pieni di risciaquatura di piatti Nescafe'.
Mi aspetto un periodo di adattamento e di introduzione, ma sbaglio.
"Conosci l'ex caserma della Guardia Imperiale?"
"Quella fuori citta', sulla strada per Embo?"
"Quella. Vi abbiamo installato una clinica di emergenza tre mesi fa quando i Ghimbini sono entrati nella capitale. Ieri la nostra gente la' mi ha mandato questa lista di cose di cui hanno bisogno. Vai in magazzino, fai il carico e portaglielo. E quando torni dimmi cosa ne pensi".
"OK capo"
Sorride, ma non davvero. "Non mi chiamare capo"
Chiudo la bocca, mi ricordo che questa donna era qui da sola a tenere i progetti in funzione mentre le bombe esplodevano, le ambasciate evacuavano, i bianchi fuggivano e i ribelli Ghimbini marciavano sulla capitale, solo pochi mesi fa. Prendo la lista, annuisco e vado. Lei e' gia' concentrata su qualche altra cosa.
Il magazziniere dell'Organizzazione e' un vecchio Ismailita grinzoso con un sorriso grande come una casa. Mi presento, gli dico chi sono e che sono nuovo, gli do' la lista. Si siede al suo tavolino, inforca un paio di occhialoni a fondo di bottiglia e ridacchia fra se' e se' in Amende "Hihihi...troppo lavoro oggi, troppo lavoro per il vecchio Bekke..." si alza lentamente, si avvia verso gli scaffali. Prendo uno scatolone vuoto e lo seguo. Disinfettanti, bendaggi, garze, antiinfiammatori..lo scatolone e' presto pieno, ne prendo un'altro, poi un'altro ancora. Sembra che stia andando a rifornire un pronto soccorso. Antibiotici. Antimalarici. Vitamina A. Reintegratori salini per dissenteria, ancora antibiotici...Aureomicina. Questo vuol dire stafilococchi...quando il carico e' pronto il vecchio Bekke mi dice "Vai a farti dare una macchina"
L'autoparco e' una baracca di ferro ondulato in un angolo del cortile. C'e' una bacheca con numeri di targa, chiavi appese ed un registro. Non c'e' nessuno in giro, ma decido che non ho tempo da perdere. Prendo un mazzo di chiavi, firmo il registro, trovo la macchina, torno da Bekke, carico, firmo il suo registro, mi da' una copia dell'ordine e mi manda via. 

Il posto non e' a piu' di un' ora fuori citta', vicino. Lo scenario dell'altopiano e' familiare. Novembre e' tempo di raccolto: gialli covoni nuovi si ergono accanto alle capanne degli Ismailiti, i campi tosati da poco seccano al sole primaverile. In quasi ogni aia mucche e buoi legati assieme girano in tondo sulle spighe per terra, trebbiano come si trebbia da migliaia di anni. Le donne raccolgono le spighe in mucchi, gli uomini le alzano al vento con pale di legno intagliate a mano. La pula vola via come polvere ad ogni alzata di pala.
Mi scuoto. Ismailia e' bella. Guarda la strada. Stai portando medicine. Accellera. Sigaretta.
Arrivo alla caserma. E' chiusa da un alto muro. Le sentinelle sono Ghimbini, capelli afro, giacche mimetiche e sandali. Kalashnikov in braccio. Vedono il simbolo dell'organizzazione dipinto sullo sportello e mi fanno entrare senza fermarmi. Dentro, grandi spazi. lunghe baracche a dormitorio, a dozzine. Piazza d' armi. Mi guardo in giro, seguo le frecce dipinte a mano verso la clinica. 
Chi sono questi? mi chiedo. dozzine, centinaia di uomini. In stracci. Senza scarpe, tutti con cio' che rimane di una divisa addosso. Prigionieri, ecco cosa sono. Amende. Soldati dell'ex Repubblica Socialista di Ismailia, crollata pochi mesi fa come il Muro di Berlino poco prima, abbattuta dal crollo dell'Unione Sovietica, dallo scontento interno, dalla poverta' e dai Ghimbini, confermatisi guerrieri duri come i loro antenati.
Raggiungo la clinica, parcheggio accanto alle altre macchine dell'organizzazione. Ci sono due infermiere, una inglese ed una irlandese, piu' qualche civile Ismailita che lavora per noi. Una lunga fila di prigionieri aspetta fuori, snodandosi attorno alla baracca, tentando di tenersi all'ombra. Vedo bendaggi sporchi di sangue, intravedo moncherini coperti di garza. Un paio di guardie tengono d'occhio, ma tutti sembrano molto rilassati e tranquilli. 
Non faccio perdere tempo a nessuno, scarico e porto dentro il materiale. L' irlandese ha i capelli rossi ed e' grassottella, ma quando mi stringe la mano mi fa quasi male. Rapidamente controlliamo la consegna, firma, ciao, ci vediamo piu' tardi. 
Esco, risalgo in macchina, guido verso l'uscita, piano. Attraverso la piazza d'armi. Prigionieri ovunque. Mi rendo conto che sono tutti ufficiali e sottufficiali, non vedo nessun soldato semplice. Improvvisamente vedo qualcosa muoversi in un angolo della vasta piazza e mi fermo a guardare meglio. Hanno teso uno spago fra due baracche, e stanno giocando a pallavolo con una palla fatta di stracci. Ma si muovono in maniera strana. Guardo meglio. Due sono senza una gamba, saltellano su quella rimasta. Altri hanno un solo braccio. E c'e' uno seduto per terra, si muove sulle mani, rapido come un ragno, va sotto la palla, la colpisce. Non ha gambe.
Non resisto, me ne vado. Torno in citta'. 

Arrivo, riferisco alla capo. 
"Cosa ne pensi?"
"La clinica va bene, le infermiere sanno il fatto loro. I prigionieri non hanno niente da fare. Quando li lasceranno andare?"
"Chi lo sa? erano ufficiali, politicamente indottrinati. Vorranno essere sicuri di consolidare il controllo prima di lasciarli andare".
La guardo negli occhi. Difficile, feriscono lo sguardo da quanto sono azzurri. "Senti, ho visto che tentano di fare sport, giocano con palle di stracci come i bambini di strada. Potremmo dagli qualche palla vera?"
"Mmm...non vedo perche' no"

Passo il resto della giornata a capire come funziona l'organizzazione. Ragioneria, contratti, logistica, progetti, personale. Il tempo vola.
Alle cinque esco e vado in citta'. Se c'e' una macchina libera ho il permesso di usarla, la nafta e' a mio carico.
Trovo il negozietto dove ricordavo che fosse. Articoli sportivi, fatti in Cina. Compro una rete e due palle da pallavolo, una palla da calcio vera e una pompa a mano. Poi, sentendomi molto stupido, ritorno alla prigione. Arrivo poco prima del tramonto. Le guardie fuori sono le stesse e mi fanno entrare senza dirmi niente. Vado direttamente dove avevo visto che giocavano. Non c'e nessuno, ma c'e' lo spago. Ci vado sotto e lo guardo da vicino: strisce di stracci annodate. Torno in macchina, prendo la rete nuova che ho portato: e' un affare di nylon verde, niente di speciale ma regolamentare. Torno sotto lo spago, salto, lo afferro a due mani e lo strappo giu'. Poi procedo ad appendere la rete. E mi rendo conto di avere fatto una cosa stupida: non arrivo alla grondaia dove era appeso lo spago, e non ho scale...qualche prigioniero comincia a fermarsi per vedere cosa sta facendo questo stupido ferengi
Prendo la macchina, la parcheggio sotto la grondaia, salgo sul cofano, annodo la rete, sposto la macchina, annodo l'altro lato. Levo la macchina da mezzo i piedi. Che polvere. Sto facendo un rodeo fra le baracche, tutto da solo. Scendo, annodo la rete sotto, la tendo. Faccio qualche passo indietro, guardo. Va bene. 
Prendo la palla dalla macchina. Sono in jeans, scarponcini e camicia. Vado sotto rete, mi giro, alzo la voce "Chi vuole giocare?"
Ci sono una dozzina di prigionieri intorno. Uno si avvicina. Non e' Ismailita, nonostante abbia la divisa con le insegne dei carristi, seppure a brandelli. E' sudanese. Si vede dalla faccia, dal colore della pelle, dalla statura e dalle cicatrici tribali. Mi guarda, in perfetto inglese mi chiede: "Perche' stai facendo questo?"
"Perche' no?"
Gli passo la palla. Lui la prende al volo, la stringe fra le le mani, con un colpo di polso la fa roteare sul dito. Un sorriso bianchissimo gli si allarga sul volto.
"Giochiamo"
In pochi minuti abbiamo fatto le squadre. Con mia sorpresa gioco anche io. Avevo creduto di dar loro la rete ed andare, ma gli Ismailiti non accettano la carita' cosi' facilmente. Voglio che giochino? devo fargli vedere di essere in grado di farlo io stesso.
Ringrazio gli anni al liceo, quando il prof di educazione fisica faceva giocare invariabilmente solo a pallavolo perche' era un fissato...io la odiavo, all'epoca ero gia' un giocatore di basket...ho giocato a basket per quindici anni...comunque a pallavolo me la cavo. E meno male. Il sudanese non mi risparmia. Ha un alzatore con una gamba amputata sotto il ginocchio il quale gli mette la palla a filo di rete senza neanche guardarla. Il sudanese arriva da dietro raccolto come il leopardo, si alza, si stende, schiaccia come un martello. La palla alza nuvole di polvere da terra. A fare muro siamo io e un Ismailita coi baffi. Lui ha una mano sola, l'altro braccio gli manca dalla spalla in giu. Ma salta come un grillo, e con tre mani muriamo il sudanese efficacemente. 
La mia squadra ha il tipo senza gambe: sorride come un ragazzino a giocare con la palla vera. Ha il disotto dei pantaloni imbottito con stracci, si muove sulle mani, braccia gonfie di muscoli, va sotto i pallonetti, alza bene.
E' una partita vera: nessuno risparmia nessuno. Il sudanese ed io siamo gli unici ad avere tutti gli arti. Si suda, si grida, si combatte sotto rete. Mi alzano la palla, e dopo un paio di tentativi mosci mi ricordo come si schiaccia, e ci prendo gusto. L'altra squadra ha un tuffatore incredibile, arriva alle palle piu' lontane. Non ha le mani, colpisce di avambracci, giunti ai moncherini dei polsi, come se pregasse. Ma ha un sorrisone in faccia. Giochiamo fino a che fa buio. Vinciamo, la folla esulta. La folla?....mi guardo intorno: sembra che ci sia tutto il campo di prigionia a vedere la partita.
Suona la chiamata al rancio serale per i prigionieri. Do' loro le altre palle che ho portato, saluto, strette di mano, pacche sulle spalle mi piovono da tutte le parti. Il sudanese mi mostra il pollice alzato. Le guardie mi fanno segno di andarmene. 

Mi sono divertito moltissimo.


Monday, 16 February 2009

Libri volanti

Di questi tempi, sara' per il monsone, sara' per un periodo meno pieno di lavoro del solito, mi diletto a leggere piu' del solito ( ani_biggrin.gif ). Naturalmente KT non ha pretese culturali quando legge. Anzi: l'idea stessa di un libro culturale gli provoca una vaga repulsione, come avere in bocca un sapore di metallo marcio. Quest' analogia e' presa direttamente da Idoru, di William Gibson. Sulle orme del Cyberpunk, di cui Gibson e' stato dichiarato ufficialmente responsabile, Idoru e' un viaggio elettrico fra lo stardom moderno e gli ambienti giapponesi bagnati di pioggia e neon, sia virtuali che reali, che egli creo' per il primo suo romanzo del genere, Neuromancer. Uno stile sincopato fra virtualita' reale e personaggi da favola visti con gli occhi della quattrodicenne Chia McKenzie, fan del gruppo pop Lo/Rez alle prese con l'idea che il suo idolo Rez voglia sposare una donna virtuale, una idoru, fra mafiosi della Kombinat russa e la Citta' Murata virtuale dei teenager giapponesi, vale sicuramente la pena: gran libro. 

Naturalmente non leggo un libro alla volta: ne tengo alcuni aperti assieme per terra accanto al letto, altri sul divano, e altri in borsa: non si sa mai cosa mi senta di leggere. Finito ieri, di nuovo, History of Hong Kong, di Frank Welsh: visto che ci vivo mi piace sapere la storia del posto. Piacevolmente cross-referenced, vi ho trovato lo stesso Lugard, qui governatore agli inizi del novecento, che anni prima usava la mitragliatrice Maxim contro i seguaci del re del Buganda nell'opera seminale The Scramble for Africa di Thomas Packenham, ricostruzione accuratissima e non apologetica dei trent'anni alla fine dell'ottocento che videro il Continente penetrato e diviso fra le cancellerie e i ministeri d'Europa. Gran ritratto di Leopoldo del Belgio, re e sfruttatore, insieme con tantissimi altri personaggi. Stanley, gallese finto americano, Brazza, italiano finto francese, Emin Pasha', tedesco finto sudanese...per tacere di 'Cinese' Gordon, generale inglese e anima tormentata, la cui testa rimase a Khartoum. Non perdibile, cameo del giovane Winston Churchill, assistente del Segretario alle Colonie, il quale annotava ai margini di un rapporto ufficiale del governatore dell'alto Niger: Si invita l'estensore ad adattare il linguaggio in uso nei rapporti ufficiali: coloro non familiari con il gergo del ministero di Sua Maesta' potrebbero interpretare che il vostro incarico consista nello sparare agli indigeni e rubar loro le terre'ani_biggrin.gif

Cos'altro ho sulla stufa? Ah si: Chickenhawk, di Robert Mason. Gran libro: il Vietnam da un elicottero, fra dubbi, morte e la mancanza totale di logica tipica dei militari di qualunque nazione. Si fa leggere tutto d'un fiato. Nella borsa del portatile, appoggiata qui accanto a me in attesa della pausa pranzo, Donnerjack, ultimo romanzo del mai troppo compianto Roger Zelazny. Fra Virtu' e Verite' (mondo virtuale e mondo reale) si aprono porte inaspettate: l'amore fra gli abitanti dei due regni diventa occasionalmente e impossibilmente fertile, e chi ne risulta dovra' capire non solo come, ma anche perche', e cosa c'entri il Signore dei Campi Profondi, il quale divenne in esistenza l'istante che la prima cosa vivente mori'. Fra il castello in Scozia abitato da fantasmi ai quali piace odorare il whisky, il treno virtuale chiamato Il Babbuino d'Ottone che si crea la ferrovia fra i piani dell'esistenza al ritmo di Dixie, e umani diventati esseri mitologici per le intelligenze artificiali, John D'Arcy Donnerjack prima, e suo figlio Jay dopo attraversano le pagine come Mizar, il segugio fatto di pezzi di ricambio e moquette. Gran libro, grande scrittore.

Il mio amore era nera e cromo

Siamo rimasti insieme otto anni. La trovai in un angolo scuro del concessionario, con 17.000 chilometri, una patina di polvere, e una statuetta come quelle sul cofano delle jaguar saldata sul parafango davanti. Mi ricordo come mi si aprirono gli occhi. Era stata di qualcuno il quale se ne era andato a viviere a Durban. 250 chili, 2 cavalletti, 2 enormi cilindri, 2 borsoni neri, sella effettivamente omologabile per guidatore + tre ragazze, oppure per tre guidatori maschi, con una sola patente e un solo casco fra tutti e tre. Che ti si rallegra il cuore a girare l'angolo di una delle stradine del centro di Marina di Ragusa alle tre del mattino e trovarsi davanti un posto di blocco con almeno venti carabinieri e veicolame adeguato. Uno spiegamento di mezzi cosi' e' solo perche' cercano qualcuno che conoscono, non per fermare motoristi...
- ...E la moto a chi e' intestata?
- a me, brigadiere.
- ma guidava il suo amico.
- con la pancia che ha se sta seduto davanti e' meglio, brigadie'.
- e di patente c'e' solo quella del suo altro amico, giusto?
- si. e abbiamo un solo casco in tre. e siamo ad agosto.
- un solo casco? questo e' grave.
- e' vero, brigadiere. e' grave... e' un caso di emergenza. Le sembriamo gente che si diverte ad andare in giro in tre in moto di notte? Eravamo a Siracusa e si e' rotta la macchina del mio amico. Dovevamo tornare alla Salina, era tardi, non abbiamo avuto scelta...e lei lo sa che la Guzzi mille tre persone le porta in sicurezza.
- rimane un reato. E non condivido la sua opinione sicurezza sul motoveicolo per tre adulti e 200 chilometri da fare di notte.
- Ma scherza, brigadiere? E la squadra nazionale di acrobazia in moto dell'Arma? Quelli ci salgono in dodici, fanno la piramide e camminano su una moto come questa...
- Va bene. Dodicimila lire per guida senza patente, e ve ne potete andare. 

Appena la comprai cominciai subito a passarci un sacco di tempo assieme. Non le diedi mai un nome proprio, ma pensavo a lei come la Ragazza. Non volevo una moto per l'estate. Volevo una moto invece dell'auto. Dopo qualche mese avevo non solo trovato il meccanico filosofo e appassionato di Guzzi che tutti dovremmo avere, avevo anche sistemato la frizione, cambiato le marmitte con le Lafranconi (quelle con l'elichetta), e avevo comprato in gran segreto il tendicatena della distribuzione, inventato da qualche appassionato in Olanda, importato in quantita' limitate da un brianzolo, e gravemente disapprovato dalla Casa. Andavamo ovunque insieme. In altre parole ogni giorno mi portava al lavoro e mi riportava a casa, non lontano ma abbastanza da arricriarmi seduto all'aperto, muovermi sopra il mondo e vederlo fluire.
(ci vuole un abbigliamento adatto, altrimenti diventa una cosa miserevole, senti freddo e spesso ti sgocciola dietro giu' per il collo)
Con la ragazza vennero stivali, giaccone, guanti. Tenevo una valigia sola montata da un lato, dentro tuta da pioggia, triangolo e coprimoto rosso di nylon pesante. Cambiai i carburatori con quelli da 42. Raramente passavo i 150 all'ora: a quella velocita' rombava tranquilla in autostrada per le otto ore che ci volevano per salire da Catania a Roma. Con i 42 si poteva spingere fino a 180, ma senza borse e senza passeggeri.


Ci fiondavamo a Roma spesso con mia comare Anna in quegli anni. Principalmente per andare ai concerti, ma avevamo anche amici a Torpignattara ani_biggrin.gif No davvero. Marta non mi ricordo cosa facesse, assegnata allo staff della onorevole ministro. Mi ricordo il suo accento romanaccio ('KT, non ti fare fregare: il romanesco non esiste piu') quando un giorno spunto' arrivando dal lavoro imitandola: marcio' in casa sua agirando il braccio alla suffragetta, gridando 'Dio lo Vuole!' che si capivano le maiuscole. 

Anna: Ma davvero ha detto cosi? la Ministro?
Marta: dovevi vederla! c'erano i giornalisti all'entrata di palazzo coso, ma una dura non si fa impressionare, e' passata e quando e' arrivata in cima ai gradini si e' girata, ha alzato la mano, 'Dio Lo Vuole', ed e' sparita dentro...


Non mi ricordo per quanti sforzi faccia, di ricordarmi quale numero fosse questa particolare crociata. In quegli anni il Vaticano teneva ancora il catalogo aggiornato delle crociate ufficiali dalla prima ai giorni nostri. Quando Acri cadde ampliarono il catalogo delle crociate: la Reconquista, l'asservimento germanico degli stati Baltici pieni di brutti paganoni pelosi che sconoscono Dio e adorano gli alberi , l'introduzione della Civilta' Cristiana fra le Popolazioni Pagane delle Americhe...ai tempi di questo viaggio in moto avevano finito i soldi e chiuso questi uffici costosi e poco utili*. Poi Craxi fu votato al governo, anche grazie ai voti di tutta la Sicilia fino ad allora saldamente dicci', si mise gli stivali, fece l'otto per mille...
Io me ne andai in Africa, abbastanza disgustato da tutta la faccenda. Ma questa e' un'altra storia...

[MODE READ AGAIN. SHAKE HEAD. BE REPENTANT=ON] 
Scusatemi, divago a livelli. Sono questi fiorellini leggeri e leggerissimamente appiccicosi. Wow.
Funzionava cosi': partivamo dopo il lavoro da Catania, risalendo la costa lungo l' autostrada che va a Messina, a un'ottantina di chilometri. A sinistra l'Etna e' un gigante scuro, e vicino. Fuma leggero contro il rosso del tramonto. 
Passare sotto la rocca di Taormina erano due galleria veloci. Non si vedeva niente del movimento che sapevamo esserci a tutte le ore nella cittadina. Poi, galleria dopo galleria, montagne a sinistra e mare a destra, spiagge bianche di ciottoli sotto. Presto davanti a destra si intuisce la fine della Sicilia, e oltre il mare si vede, scuro e alto sull'acqua, l'Aspromonte. L'autostrada gira alta sul monte intorno a Messina, poi un ramo se ne stacca e precipita' giu, diventando presto un viale che scende verso il porto. I traghetti di Messina sono tanti, frequenti e veloci: forse venti minuti per la traversata vera e propria. Tempo per un caffe' ma il la macchina del caffe' del ponte passeggeri del Caronte la lubrificano con l'olio che sgocciola sul ponte veicoli durante la traversata. Lo bevono solo i forestieri e i turisti. 
Si romba giu' dalla rampa a Villa. Ero parcheggiato dietro sulla nave, c'e' gia' la colonna di macchine sulla strada fra i mare e il terrapieno della ferrovia che porta all'uscita delle darsene del Caronte. Se avessi voluto fare la fila mi sarei tenuto la macchina. Entro largo a sinistra della fila, che tanto non viene nessuno, apro la seconda di una manopolata e passo una dozzina di macchine. Come un elastico, chiudo il gas e rallento verso il semaforo rosso. Con una tallonata metto in folle. Rallento, due dita sulla leva del freno. La Ragazza naviga in avanti senza tentennare, mezza tonnellata di massa appesa al disco davanti, quello singolo. Luce verde. Tiro la frizione, do un calcetto verso l'alto al bilancino, do' gas una volta per fare alzare i giri al motore, e ci ributto dentro la seconda. Senza esitazione la Ragazza si avventa, danzando ai lati della scivolosa doppia linea bianca. C'e' la galleria. Chiudo il gas e tiro a me il manubrio sinistro ad altezza cintura. La Ragazza si piega di lato, una ruota alla volta, lemente, cambiando direzione sul posto. La assecondo che si rialza spostando la posizione del culo e siamo gia' nel tunnel, cambio di direzione 90 gradi. Mi viene il ghigno: saranno cinquanta metri di galleria sotto il doppio binario della linea per il nord, la fila di macchine che viene al traghetto ferme al semaforo all'uscita della galleria stessa, perche' due camion assieme questa curva non la possono fare, la banchina e' troppo vicina. Apro due terzi del gas alla seconda marcia e i bassi delle marmitte sono come un crescendo di organo nel tunnel. Schizziamo fuori dalla galleria al centro di un'onda concentrica di suono che si divide in filamenti, si avvita su se stessa e si perde fra gli alberi della piazza della Stazione. Imbocchiamo il viale e in fondo c'e' lo svincolo dell' Autostrada del Sole. Il cartello dice solo SALERNO 621. 
Oltre il cartello, l'autostrada si arrampica su per le Calabrie, fra i boschi e il mare.

Sostegno fatto. Puf puf. Dov'ero?

Ah si. L'autostrada sale sull fianco delle montagne, a picco sul mar Tirreno. Direttamente a ovest, invisibili, le Eolie. Sotto il viadotto, in basso in basso, Scilla, e poi Fiumara. Poi l'autostrada piega bruscamente ed entra nell'interno. Ormai e' notte. Presto troviamo l'agip dove ci fermiamo sempre. Faccio la fila dietro le macchine, a motore spento. Con Anna dietro e il carico la ragazza si fa spingere in avanti con un lavoretto leggero di punta-tacco nonostante che mezza tonnellata di peso ci sia tutta. La California non e' uno stupido chopper ad imitazione dell'Harley Davidson. Far from it, come dice Morpheus. Le Harley si guidano appesi al manubrio, per non cadere all'indietro. Prova a fare cosi' alla Ragazza, e vedi cosa ti fa. La ruota davanti si alza e la moto non si fa sterzare piu' finche' non la smetti di fare il cretino e ti siedi come ti pare ma col peso in avanti. Questo perche' il telaio della Cali II, come tutti i guzzoni mille, e' primogenito di quello del V7 Sport, tubazzi di acciaio che non si scompongono facilmente. Prova a mettere una Harley a passare la notte sull' elastico fra i 120 e i 150 e vdi cosa succede. Se Dio avesse voluto che le Harley andassero veloci avrebbe dato loro dei freni decenti, dice il proverbio. Ma (Coro)Dio c'ha la Ducati
24 litri e' pieno. Caffe'. Ci mettiamo le tute antipioggia sopra i giubbotti e i jeans, paracollo, casco. I guanti sempre alla fine...ripartiamo. Peso sul destro, colpetto in giu' in punta di stivale al pedale del cambio, lascia la frizione. Seconda di tacco sul bilancino, punta dello stivale comodamente appoggiata ai marciapiedi che sono le pedane, apri e sei gia' sulla corsia di accellerazione, porto la terza in coppia a 3800 giri e la tengo li, due dita sulla manopola. Entro in autostrada accenando una piega, metto la quarta, rilascio di colpo e la moto rimbalza dall piatto della frizione mentre arriva il gas. La Ragazza si fionda in avanti. Non c'e' nessun altra analogia per questo movimento. In stabilizzo 120 a 3800 giri, nel vertice della curva di coppia. Assesto il sedere sulla sella, sento Anna che viene piu' avanti per mettere tutta la testa nel bozzolo d'aria tranquilla generato dal paravento. Occhi sulla strada, poco al disopra del margine del paravento stesso. La California II va come un treno. Quelli del marketing alla Guzzi oggigiorno chiamano le sue discendenti cruiser, incrociatore. 
Le Calabrie non finiscono mai, e l'autostrada e' piena di camion. Si incrocia sul lungomare. Qui si va veloce, si cavalca il ritmo del traffico e non ci si distrae mai. L'adrenalina si sente gia'.

Mi ricordo di avere comprato, all'inizio, uno di quei cosi a batteria per parlarsi da dentro il casco, ma in autostrada non si poteva usare: occorreva rallentare sotto i cento perche' ci si capisse: troppo rumore di fondo. Lo buttai via presto. 

L'autostrada e' buia. Solo le uscite sono illuminate, ragni di luci gialle seduti sul nero degli oliveti. 
Ogni quaranta chilometri c'e' un'area di servizi, ma non ci fermiamo se non non arriviamo piu'. Cammino quasi al centro fra le due corsie, poco a destra delle strisce. La discesa e l'attraversamento della piana di Lamezia Terme passano come un sogno rettilineo: l'odore di bosco dell'interno ridiventa brevemente odore di limoni. Credo che per andare a Cosenza si giri a destra di qui, ma chi c'e' mai andato a Cosenza? L'unico cosentino che ho conosciuto fu quello che si dava arie in terza elementare perche' essendo di Cosenza, lui era del nord
Il paravento, la sella, le pedane e sopratutto il largo ma basso manubrio mi consentono di stare seduto col tronco eretto, ginocchio sinistro giu', stivale appoggiato in punta alla pedana e di tacco sul perno del bilancino. Piede destro appoggiato piu' avanti. Comodissimo. Naturalmente guido con due mani e tengo ginocchia e stivali ben dentro. Queste cose non si fanno durante le fiondate.

Dopo Catanzaro l'autostrada si spopola e sale veloce verso il Pollino. Di giorno si vede, di fronte, massiccio molto piu' grande dei vicini. Dall'altro lato, chissa' quanto lontano, le terre dei Lucani. L'autostrada gli sale sulle ginocchia e piega decisamente a sinistra, verso Napoli. Qui c'e' un benzinaio che mi piace, in una piazzola in bilico su una cresta spazzata dal vento. Davvero. Ci fermiamo per un caffe' e una sigaretta, ma io ho fame e mi prendo uno sfilone imbottito di fette sottile di capocollo piccante, che da queste parti e' buonissimo fin dal tempo dei Greci. Non mi viene in mente niente altro di positivo sui calabresi. Ha ragione Camilleri. 

Sposto la moto al riparo dal vento, sotto un camion di Comiso carico di ortaggi fermo per la notte, tendine tirate. Mi sgranchisco le gambe, Anna va in bagno. Casco sullo specchio, collo aperto, guanti fra il paravento e gli strumenti. Non c'e' freddo ma il vento e' fastidioso. Comincio ad arrotolare un pezzo di cartoncino fra l'indice e il pollice. Torna Anna, le do' il fitro gia' fatto, sorrido e vado a mia volta a lavarmi le mani per poi finalmente pisciare. Ahhhhhh... faccinarossa.gif

Dopo il Pollino l'autostrada ha alcuni dei suoi piu' bei viadotti e ponti, mentre sale verso il passo intorno ai mille metri che e' il punto piu' alto nel percorso da qui a Bologna. Naturalmente non ho idea di come si chiami il passo: non me lo ricordo piu'. Anna ha fatto la canna, ma qui se la fumerebbe il vento. Mettiamo in tasca e ripartiamo. C'e' freddo, e' tardissimo e non c'e' quasi nessuno. Meglio sbrigarsi. La lunga salita si fa sentire sulla quinta della moto carica. Scalo marcia e la riporto a regime in quarta, liscia come l'olio a 120. Oltre il passo, mentre la strada si abbiscia a curvoni fra le montagne e i viadotti, gallerie occasionali attutiscono l'oscurita'. Ma solo le entrate sono illuminate: in galleria ci vai coi tuoi fari. La Ragazza oltre al suo faro rotondo ne ha altri due piu' piccoli ai lati, rotondi e non spessi: luci di profondita'. Non le uso quasi mai.

Alle prime luci dell'alba siamo sopra Salerno, fuori dalle oppressive valli della Campagna. 
Qui c'e' la grande deviazione che con un largo giro all'interno evita le citta'. Si arriva oltre Napoli in fretta. Peccato che da questa autostrada Napoli non si veda. La Tangenziale invece, in moto e all' ora di punta e' una dose di adrenalina solo a passarci. 
Ma noi stiamo andando a Roma. Ci fermiamo per benzina e colazione con smorfie, perche' da qui il caffe' gia' non e' piu' buono, e camminiamo fino agli alberi a fumarci la canna in pace. Un attimo di rilassamento ci vuole, camminando sento ancora l'eco attutita del respiro del motore nelle orecchie, e nelle vene.

*disclaimer: il periodo precedente all'asterisco e' perfettamente verosimile, ma del tutto inventato, mancando l'autore della memoria adatta per ricordarsi queste cose esattamente, ma in compenso dotato di ottima pigrizia selettiva. ani_biggrin.gif

Storia forumistica personale (3)

Politicaonline fu una rivelazione e un casino: come capitare in una grande citta' sconosciuta senza nessuno che ti faccia da guida e nemmeno una copia del libro apposito di Lonelyplanet. Mi impressionarono subito due cose: l'altissima percentuale di spostati, estremisiti della mennulata, cretini totali e gente convinta che vi postava, e la presenza di un gruppo di gente con evidenti problemi di iperegomia, i quali avevano un forum tutto loro, snobbavano i forumisti normali come un qualunque Lord inglese snobba i laburisti, e passavano il tempo seduti nelle poltrone di pelle del club, sotto ritratti di nobili antenati deceduti, facendo quello che tutti i nobili sono autorizzati a fare: giocare a carte e sprecare il tempo tongue.gif 

POL duro' poco: dopo pochissimi mesi che lo frequentavo, prima che avessi avuto il tempo di conoscerlo bene, affondo'. Se volete la storia di quel primo naufragio dovete chiederla altrove: io ero troppo nuovo, e passavo il tempo a leggere l'inimitabile Brunik che prendeva per il sedere i 'pollisti' come nessuno, o a iniziare i primi timidi tentativi di feroce litigio online con nick ormai dimenticati. 

La cosa diversa su POL fu fare conoscenza con Roberta Medusa. Conoscenza superficiale, giusto qualche messaggio privato, ma abbastanza da farmi scoprire una volta per tutte che c'e' gente vera, con sensibilita' ed emozioni profonde, dietro i nick. Cioe', dietro alcuni dei nick. Dietro molti altri c'e' il vuoto, apparentemento pieno dei bytes colorati dello schermo. 

Non ricordo nemmeno piu' come fu che POL riapri' e poi riaffondo' dopo pochissimo. Mentre ero li' in acqua che galleggiavo perplesso passo' Roberta su una scialuppa di salvataggio, mi vide e mi lancio' un email salvagente con scritto 'iscriviti a Letterealdirettore e Spazioforum

Kod feci, audax viator, et terrestre centrum attinges*

....e il resto (del cazzeggio) e' in archivi consultabili tuttoggi. 

Postilla: 
Dopo qualche tempo mi riiscrissi alla nuova POL, solo perche' li' c'e' un forum di appassionati di aerei, e a me, come passeggero, la cosa interessava. L'ho visitato occasionalmente in questi ultimi paio di anni, ma recentemente ho scoperto che la politica di POL e' di non ammettere link ad altri fora nelle cose che si scrivono. Non lo sapevo, e non mi sono trovato d'accordo, quindi mi sono cancellato. 

referenze: nessuna faccinarossa.gif 


* Verne: 'viaggio al centro della terra'

Storia forumistica personale (2)

Nick: fin dagli inizi nel TT scelsi KT e non l'ho piu' cambiato, ne' ho mai avuto cloni, con l'eccezione di uno per partecipare alle ultime ore di LaD, da dove mi ero cancellato qualche settimana prima, prima che sapessi che stava per chiudere. Killing Time (l'ho gia' detto, ma ripeto) e' il nome di una nave in un bellissimo romanzo dello scozzese Iain M. Banks intitolato Excession (ignoro il titolo della traduzione italiana). La nave KT e' testarda, presuntuosa ma interamente dedicata a quello che fa, e all'epoca, appena letto il romanzo, mi venne cosi' di sceglierlo come nick. Da notare che io sono invece testardo, presuntuoso MA pigro. 

...Ah. Tutte le navi nei romanzi di Banks sono senzienti. 

Passai almeno un anno sul forum Off Topic (OT) di HWupgrade, come visitatore occasionale. La maggior parte dei forumisti erano ovviamente gente capitata li' perche' interessati ai computer, quindi spesso giovani o giovanissimi, ancora piu' spesso ignoranti del mondo e delle sue cose, ma tremendamente bene informati sui problemi e i casini che avere un 'puter comporta. Su OT c'erano anche adulti, e le discussioni erano spesso interessanti e bene articolate. Li' incontrai un tal Shambler, che non so pero' se sia lo stesso che si vede ancora in giro. Il problema fondamentale del forum di HWupgrade era che non appena un forumista proponeva un problema capitato al suo computer, il suggerimento immediato era 'formatta!'. Questa cosa, a me immigrato precario in Albione, non andava affatto bene. Avevo un sacco di cose nell'hard disk, compresi i miei archivi del lavoro Africa, e a fare il back-up su dodicimila dischetti prima di formattare non ci pensavo nemmeno. Un giorno vidi passare un tal Billow, guru italo-sloveno del software, e lo seguii nel forum del suo sito, questo pero' dedicato ai programmi e non ai componenti del computer: Wintricks.it.

C'era un forum anche su Wintricks (c'e' ancora), con il suo bravo sottoforum OT. Molti forumisti di HWupgrade passavano di la', ma c'era anche una nutrita rappresentanza autoctona, teste parziali (come dice Camilleri) ai programmi e ai linguaggi di programmazione, quindi capaci di risolvere i problemi senza formattare, cliccando qui e li' nel sistema, e occasionalmente modificando -con cuidado - il registro di Windows. Molti di costoro avevano un certo interesse per affari correnti, politica e cazzeggi vari. Saggiamente il Billow (Yoda) diede la moderazione del forum OT al duo di pistolere composto da Daniela e Trinity, le quali abilmente (frusta e cioccolato) riuscivano a tenere tutti buoni. Da notare che non scrivo piu' in nessuno dei forum qui citati da molto tempo, tranne il TT, ma ogni tanto ci passo a vedere se ci sono ancora... 

Fino a questo punto la mia partecipazione al forum era sempre stata esterna. Scrivevo e leggevo cioe', ma non mi era mai capitato di diventare particularmente amico, o in confidenza privata con nessuno degli altri forumisti. Cioe',forumiste.

Un giorno, era forse l'anno 2000 e comuque si avvicinavano le elezioni politiche, io ero sempre a Londra, o forse in posti come la Cambogia o l'India del sud, e avevo sviluppato di nuovo un certo interesse per quel che succedeva in Italia - politicamente, dico. Il forum OT di HWupgrade era il piu' animato, ma molto presto, sull'onda di guerre forumistiche politiche eccessive, la proprieta' dopo molti tentativi di moderazione e richiami al self-control (caduti nel vuoto data la demografia dei postanti), le proibi' completamente. Dopo poco Shambler mi mando' un inaspettato pvt dicendo "vieni su POL! Li' si che ci si diverte!'

(2) 
referenze: Il forum di Wintricks

Storia forumistica personale (1)

Non so quanto possa interessare, ma l'altra sera ricostruivo per me stesso il percorso forumistico (si puo' dire 'percorso forumistico'?) che mi ha portato infine a fare un blog. Ho pensato di scriverlo, in breve (liar!), memore della dichiarazione di Maestro Titta (di Spazioforum) che 'ognuno ha il suo forumismo', o forse 'un forumismo per ciascuno non fa male a nessuno'....o qualcosa del genere comunque... tongue.gif 

Era il 1997, credo. Da qualche parte nel Corno D'Africa, dove le dita montuose dell'altopiano abissinico si appoggiano a mano aperta sulle sabbie calde dei bassopiani somali. La Telecom locale ('Telecom' e' un nome generico per definire qualsiasi autorita' governativa preposta alle telecomunicazioni) aveva appena installato il suo primo server ad accesso pubblico nella capitale, e noi (io e Pietro - vedi storie su SF) facemmo l'abbonamento. Si andava a modem, naturalmente. Credo riuscissimo a connetterci a 28.8Kbs , a notte fonda, fra una sessione e l'altra di Doom. Il problema era che dovevamo fare la telefonata interurbana per accedere al server nella capitale (il modem attaccato al filo del telefono di bachelite nera con rotella), e questo faceva salire moltissimo i costi. Quindi per qualche mese ci limitammo a sperimentare con la posta elettronica, che funzionava gia' bene. Poi conoscemmo per caso un bandito eritreo, nipote di camicia nera, orecchino d'oro come quelli che, da quelle parti, possono vantarsi di avere ucciso il leone. Lui invece di professione faceva il tecnico telecom. Dopo qualche serata a carne arrosto (zil zil tibs) e birra Harar, alle nostre rimostranze sul costo, disse semplicemente 'perche' non chiamate direttamente il server? vi costa come una chiamata locale..."...e ci disse come fare. 

Da quel momento potei passare piu' tempo in rete, e infinite possibilita' si spalancarono. 

Cercando notizie per un viaggio overland che stavamo organizzando, capitai sul sito di Lonelyplanet, all'epoca editore australiano di guide per viaggiare a basso costo, ed ora pure ma molto di piu'. Sul quel sito c'era il primo forum che io avessi mai visto, The Thorn Tree, 'l'albero spinoso', cosi' chiamato in memoria dell'acacia nel giardino dell'hotel Stanley di Nairobi, dove per lunghi anni i viaggiatori lasciavano biglietti e messaggi per amici, compagni di viaggio, o anche solo suggerimenti e avvisi per chiunque si accingesse a fare la stessa strada. 

Il Thorn Tree (TT) fu il mio primo forum. All'epoca si poteva postare senza iscrizione, ma quelli iscritti apparivano con il nick (che in inglese si chiama 'handle') in un bel blu profondo, gli altri in nero. TT aveva varie sezioni geografiche dedicate al viaggiare - Africa, Asia, Americhe, ed anche una zona che noi chiameremmo oggi 'community', che da loro si chiamava 'lobby', con forum dedicati ai viaggiatori anziani, a quelli disabili, a coloro con bambini, ai gay, e - il mio preferito - 'women travellers'. Il software del TT di Lonelyplanet e' diverso da questo e dagli altri comunemente usati, sviluppato da loro stessi. C'erano i messaggi privati e la funzione ricerca ma non si potevano editare i post. C'erano gia' forse 12000 iscritti, ma la maggior parte si iscriveva solo per chiedere notizie di questo o quel posto ('c'e un ponte fra l'Australia e la Nuova Zelanda? Sono pericolosi i canguri? Cos'e' questa faccenda del visto di Isreale? e cosi' via) Nel forum 'women travellers' si formo' in breve una comunita' di donne (e qualche uomo, ben accetto) da tutto il mondo, con una larga rappresentanza di australiane, inglesi e naturalmente americane, ma anche dall'India e dal nordeuropa. Questa distribuzione geografica creava l'effetto 'turno': ad una certa ora erano sveglie le australiane, poi le europee, e piu' tardi nella stessa giornata le americane, quando in australia era gia' notte. I topic spaziavano dai consigli di viaggio ('vado in Tailandia per un mese. Mi porto i Tampax o li trovo li?' 'Che ne pensate della depilazione brasiliana prima di partire per l'Africa?' 'Vado a Parigi e Roma. Che vestiti mi porto? E che scarpe?') alle discussioni tipo Donna Letizia, popolarissime e occasionalmente creanti megathread con migliaia di risposte ('Credevo mi amasse ma mi ha tradito. Ora dice di essere pentito e che ama solo me. Cosa faccio, lo lascio o gli do' una possibilita'?). Il TT era divertente, sopratutto per la diversita' dei partecipanti e dei loro punti di vista. C'era un immane cazzeggio of course ('ho fame. ho cioccolato nel cassetto ma poi devo fare un'ora in piu' in palestra....consigliatemi! Dissuadetemi! Convincetemi!!!), litigi fra i vari gruppi di amiche che si formavano naturalmente, e fra individui in disaccordo. La moderazione era moderata essa stessa: intervenivano principalmente sui post contenenti razzismo, sciovinismo, ed altre tendenze contro il politically correct.

Ingenuamente, o forse perche' all'epoca, dopo anni lontano dall'Italia alle cose italiane pensavo ben poco, non mi venne mai in mente di vedere se ci fosse una cosa simile in italiano. Leggevo la Repubblica online e basta. 

Solo un paio di anni dopo, trasferitomi in Inghilterra, capitai per caso nel forum Off Topic del sito italianissimo Hardware Upgrade. E li c'era la guerra fra le fazioni politiche, giusto come ora. Scoprii l'esistenza di cose come il bannaggio e la sospensione. 

(1) 

referenze: 
The Thorn Tree a Lonelyplanet.com (sempre lo stesso, terza versione)
forum di hwupgrade.it (Off Topic c'e' ancora, non credo ammettano piu' discussioni politiche)

Friday, 13 February 2009

Il vero nemico dell'uomo

Lo temevo. E' arrivata anche in Italia la nefasta influenza della SEAG (Societa' Ecumenica Anti Goduria). 
Esistono rapporti cosidetti 'grigi', non pubblicati, sulla SEAG. Si possono trovare avventurandosi nei bassifondi di internet, nascosti dentro immensi database contenenti gli elenchi del telefono mondiali o tutte le possibili permutazioni dei fiocchi di neve descritte in codice binario. Scritti in linguaggi esoterici e oscuri per evitare le sentinelle cibernetiche della SEAG, questi pochi e sparsi resoconti sono sopravvissuti ai loro autori, cacciati come conigli e messi a tacere per sempre. 
La SEAG e' - apparentemente - una congiura mondiale, una societa' segreta anonima e potentissima creata secoli fa. Il suo solo intento e obiettivo e' impedire che gli uomini si facciano le seghe. 
Secondo Neal Stephenson i membri della SEAG sono insospettabili: suore, mamme, sorelle, zie, vicine di casa, mogli, preti, conoscenti bigotti e membri di societa' cattoliche. Milioni di donne e qualche uomo traviato, unite da una missione da loro considerata sacra: preservare il seme maschile per l'uso del genere femminile, e allo stesso tempo limitare le tentazioni e la deriva dei maschi verso le cattive compagnie ed abitudini che (dicono) la pratica di seghe inevitabilmente produce. Inutile fare rilevare l'egoismo immenso della SEAG. La loro missione ha un fondamento concettuale terribilmente sbagliato: l'idea che i maschi non possano disporre del loro piacere solitario come credono. Intanto, da sempre membri sotterranei della SEAG rivoltano lenzuola, frugano nei cestini per fazzoletti bagnati, criticamente esaminano mutande da lavare, spiano dalla finestra o dal buco della chiave, toccano i muri comunicanti per tremori sospetti, ventiquattro ore su ventiquattro ed in tutto il mondo, assicurandosi che gli uomini soggetti dello scrutinio sospettino di essere sorvegliati senza averne la certezza, innescando la spirale di dubbio e autocastrazione del desiderio manuale che tutti gli uomini conoscono e che cosi' tanti danni causa alla stima che ciascuno di noi ha per se stesso, forzandoci a rimetterci alla disponibilita' dei membri stessi della SEAG - le donne! per assicurarci l'emissione agognata, pena dolori fisici e sofferenze mentali, instabilita' emotiva e polluzioni notturne, non assistite e pertanto non godute. 
Insomma ce n'e' abbastanza da rabbrividire. Altro che il grande vecchio. Altro che Protocolli di Sion. La SEAG e' il nostro nemico. Guardiamocene.

(Liberamente tratto, tradotto & adattato da 'Cryptonomicon', by Neal Stephenson) 

Carrying the Saint

L'acchianata di Sangiuliano

Stanotte, la notte del 5 febbraio, il carro ('a Vara) della santa, pesantissimo, con baldacchino sorretto da colonne, candele enormi, oro a tempesta, gioielli donati, la Legion D'Onore di Bellini spillata sul busto della Santa, risalira' tutta la via Etnea, tirata a braccia da centinaia di devoti in tunica bianca, fino a piazza Borgo, antico confine della citta', dove sara' accolta da quarantacinque minuti di fuochi artificiali come in nessun posto nell'isola, e migliaia e migliaia di persone che sfidano il freddo di febbraio per vederli. 
Piu' tardi il carro, preceduto dalle dodici candelore, una per ogni corporazione di artigiani, ridiscendera' la stessa via Etnea, di cui scrisse non ricordo chi

dritta come una freccia
da Porta Uzeda al Tondo
s'innalza una delle piu' belle vie del mondo


verso le due del mattino, fra due ali di folla e sotto l'illuminazione a mille colori, il carro arrivera' al quadrivio con la via Marchese di Sangiuliano. Questa e' una strada settecentesca, facciata dopo facciata di palazzi barocchi, sentore dei Vicere' e pietra lavica nera, balconi di ferro battuto e giganteschi portoni di legno antico.

La via di Sangiuliano si diparte da via Etnea verso ovest, in leggera salita per un centinaio di metri. Poi di colpo sale ad angolo acutissimo, l'asfalto cede il posto alle basole di lava liscia, duecento metri di erta che sale verso il colle dei Benedettini, strada che le automobili devono fare in seconda, se c'e' fila in prima, scaldando le frizioni.

Stanotte la salita e' sgombra: aspetta il carro. Le basole sono lisce, la cera di innumerevoli candele da cento chili offerte alla santa le rende trappole pericolosissime a camminarci. I devoti devono tirarsi il carro fino in cima. 

Mentre il carro arretra nella parte bassa della strada, dall'altro lato del quadrivio dei quattro canti, per permettere ai devoti di srotolare l'intera lunghezza delle due gomene da nave che lo tirano, le candelore salgono ad una ad una, il ritmo dei passi dei portatori scandito dalla folla, i colpi di mano del capo portatore sulla stanga di legno che guida il trasporto e il respiro della folla. Sulla salita delle candelore si scommette molto denaro: vince quella che ci mette piu' tempo a salire. Si, quella i cui portatori soffrono piu' a lungo, il sudore che bagna a rivoli spalle e braccia, le vibrazioni dei passi che fanno tintinnare i cristalli appesi al pesante oggetto votivo, le soste a mezza salita tenendo il ritmo e il passo, senza mai appoggiare il mostro per terra. 

Ci vuole piu' di un'ora perche' tutte le candelore salgano, ad una ad una. La folla ondeggia ai lati della strada, i balconi straripano, i bambini sulle spalle dei genitori guardano questa sfida di forza fisica, devozione e pazzia religiosa con occhi sgranati.

Poi tocca al carro. I devoti si radunano tutti per questa parte della celebrazione. E' noto che pregiudicati e mafiosi latitanti diventano intoccabili per una notte, se hanno la tunica bianca e tirano il carro. Le due gomene vengono alzate e imbracciate da due lunghe file di uomini. altre cinque file si formano: tre fra le gomene, e due esterne ad esse, ai lati. Metodicamente, braccia e spalle si allacciano in una falange umana lunga duecento metri e larga sette uomini. Quelli esterni passano le braccia sulle spalle di quelli che reggono le corde, quelli interni li abbracciano ai fianchi e fra di essi, legati in nodi di muscoli e devozione. La salita si fa di corsa, per vincere il peso immane del carro. Chi dovesse cadere sarebbe perduto, schiacciato da centinaia di piedi e dalle ruote. Non c'e modo di fermarsi a mezza salita.

Quando la falange e' formata, scandita dal suono delle campanelle dei diaconi sul carro, la folla si azzittisce. Con un urlo in crescendo i devoti si lanciano come un solo uomo verso la salita, tirandosi dietro il carro. Il serpente, il coccodrillo umano divora le basole sotto i piedi, a un metro dalla folla assiepata. Il carro vibra, trascinato da forza irresistibile. Le decorazioni e gli ori tintinnano, le candele ondeggiano come al vento, la massa umana sale, teste abbassate all'unisono, foresta di spalle e muscoli che scorrono davanti a te che guardi, le voci di tutti che urlano lo sforzo e la passione, i rombo di centinaia di piedi sulla lava nera....

In un attimo e' finito. Il carro arriva al piano in cima alla collina, si ferma lentamente, il nodo umano si scioglie, le grida ei cori di 'viva!' diventano gioiosi: nessuno e' caduto, nessuno e' scivolato, la santa li ha protetti, come sempre. 

Il carro svolta a sinistra lentamente, giu' per la Via dei Crociferi, si lascia ai lati chiese e chiostri, la salitina per la solitaria e bella Piazza Asmundo, passa sotto l'arco del convento, continua la strada verso il Duomo. 

Oggi, il cinque febbraio. Ogni anno cosi'.

Monday, 9 February 2009

archivio (60) I tassisti di Shanghai

(originale postato su SF nell'aprile 2003)

In questi giorni ho dovuto usare il taxi spesso. Non e' una cosa che di solito mi piaccia fare: da noi i tassisti parlano troppo, ed in generale sono una brutta razza, costretti come sono a sedere nel traffico tutto il giorno e a mangiarsi il fegato come conseguenza. Qui a Shanghai muoversi in taxi e' stata una rivelazione: meta' delle automobili sono infatti taxi. Tutte sono Volkswagen familiari a quattro porte. Basta alzare una mano, o anche guardarne uno mentre passa ed alzare un sopracciglio perche' esso si fermi davanti a te con grande stridio di freni e grande sorriso in bocca al tassinaro. 

I sedili sono rivestiti di cotone bianco, il che da' una gradevole sensazione di pulito. Il tassista abbassa la levetta del tassametro sul cruscotto, ingrana la marcia e si va. Una vocina metallica che parla inglese con accento cinese (pensate a Titti del gatto Silvestro) da il benvenuto in macchina e invita a pagare l'importo indicato dal tassametro a fine corsa, e a non dimenticare lo scontrino automatico. Questo perche' nessun tassista ovviamente parla inglese: a Shanghai c'e' un gran consumo di bigliettini prestampati bilingui (inglese e mandarino) da tenere nel taschino della camicia o della giacca: "per favore portami all'aeroporto" "al Bund" "al museo della Scienza" "all'albergo Tale". Una volta seduti in macchina, si tratta di pescare il giusto bigliettino e di passarlo al tassista al di sopra dello schermo arrotondato di plastica trasparente che lo separa dai clienti. La funzione di questo schermo non e' chiara, in quanto si tratta di un affare di plastichina tenuto su da un paio di pezzi di ferro saldati al sedile di guida. C'e' in effetti un sacco di spazio sopra e sotto per raggiungere il tassinaro: si puo' facilmente passare la mano sopra lo schermo e grattagli la testa, oppure dargli calci da sotto il sedile e persino infilare una mano di lato e fargli il solletico sotto l'ascella, se mai uno ne sentisse il bisogno. Dopo una settimana di taxi, sono giunto alla conclusione che lo scopo principale dello schermo e' di impedire allo sputo di raggiungere il tassinaro. Calcoli balistico-salivari da me effettuati per passare il tempo nel traffico provano che non si puo' assolutamente sputare al tassinaro se non di rimbalzo, in quanto lo schermo protegge da tutte le traiettorie, comprese quelle paraboliche, e lo sputo - come tutti sanno - non rimbalza. Quindi bisogna accontentarsi di soffiare il fumo della sigaretta verso il soffitto dell'auto, cosi' che l'onda azzurrina passi al di sopra dello schermo e si depositi sui capelli del tassinaro, ove si amalgama con la di lui brillantina, creando favolosi effetti iridescenti tipo olio sull'acqua. 

Qualcuno si chiedera' che bisogno ci sia di sputare al tassinaro, o di sottoporlo a torturette simili. Ebbene, dopo il primo giorno di scarrozzamento a Shanghai, sputare e' una delle due possibili reazioni del passeggero. L'altra (la mia preferita, anche a causa dello schermo) e' di girare la testa, nascondere la bocca con la mano, mettere l'altra mano sotto il braccio opposto, e ridere ridere ridere. Ridere per come guidano. Non solo i tassinari, ma tutti. 

Guidare automobili e' un mestiere nuovo in Cina. Fino a dieci anni fa tutti i mille milioni di cinesi sapevano andare in bicicletta. Immaginatevi una citta' piena di biciclette: masse di biciclette ferme al semaforo, masse di biciclette che partono tutte assieme al verde, masse di biciclette che procedono tutte piu' o meno alla stessa velocita', un fiume di biciclette che ogni tanto si apre al centro per superare quella lenta col cestino sul manubrio carico di spesa. Ho reso l'idea? Ecco, oggi succede esattamente la stessa cosa, solo che ora sono in quasi tutti in macchina. Ed ecco scene inenarrabili presentarsi all'occhi attonito del viaggiatore. Quando sono arrivato ho preso il primo taxi all'aeroporto, e mi sono fatto fatto portare in citta' (avevo il bigliettino). L'autostrada nuova a otto corsie era quasi vuota, dato che a causa SARS, nessuno viaggia quasi piu'. Il tassinaro ha cominciato a spostarsi da una corsia all'altra ondeggiando come un giunco al vento, tracciando lunghe S sulla carreggiata. Dato che non c'era quasi nessuno non mi sono preoccupato: andavamo a novanta o giu' di li'. Ogni tanto un tipo in bicicletta spuntava da dietro un pilastro ed attraversava l'autostrada con i polli appesi alla sella. Il mio tassinaro era bravissimo a passagli ad un metro, dietro la bici, e non davanti. Arrivati in citta' il traffico e' aumentato, tutte le corsie piene. La scena e' fluida, quasi da cartone animato: nessuno si cura delle strisce per terra, e tutti sterzano a destra e a sinistra come all'autoscontro, tessendo un disegno astratto fra le corsie, evitando di portarsi via a vicenda i paraurti per caso piu' che per disegno. 
Le marce non sanno a cosa servano: tutti i tassinari mettono la quarta, e la tengono i qualsiasi circostanza. Si sente il motore gorgogliare, semisoffocato da una boccatona di benzina a venti all'ora, mentre il tassinaro stringe lo sterzo con due mani e fa movimenti renali per spingere la macchina in avanti. Una volta che ero seduto a fianco al tassinaro mi sono sporto dal finestrino ed ho cominciato a frustare l'aria sul cofano, come se ci fossero cavalli da spronare, gridando "giddap" e "yahoo", con grande sollazzo del tipo, il quale mi ha offerto una delle sue sigarette. Ai semafori la situazione e' babilonica: le biciclette, ormai esiliate sui marciapiedi, attraversano sulle strisce pedonali mentre le macchine sono ferme al rosso, e gli sconsolati pedoni camminano nella cunetta fra il marciapiede e la carreggiata. Mi viene troppo da ridere...se potessi gli sputerei alla siciliana, al tassinaro, dicendo "ma come guidi? puh!"...ma c'e' lo schermo... 

Stamattina mi sono fatto riportare all'aeroporto. Imboccata l'autostrada, il tassinaro si e' trovato dietro a tre macchine le quali procedevano parallelamente e lentamente sulle tre corsie di destra. Invece di spostarsi a sinistra e sorpassare, il mio inarrivabile chauffeur si e' piazzato dietro la macchina a destra, si e' appoggiato al clacson, ed e' rimasto cosi' per cinque minuti buoni, sbuffando come un toro, mentre il poveraccio davanti altamente se ne fotteva (e anche se avesse voluto fare qualcosa non avrebbe potuto, con una macchina a sinistra e il guard rail a destra...). E io giro la testa, mi metto la mano davanti alla bocca e l'altra mano sotto il gomito, e sghignazzo...

archivio (59) Et dona ferentes

Ero a Kunming nello Yunnan qualche mese fa per una conferenza. Stavamo in uno dei molti alberghi moderni che sono sorti come funghi negli ultimi anni. Una sera c'era in programma di andare a cena fuori dopo il lavoro. Io ero in camera che mi cambiavo quando squilla il telefono.
"Hello, sono Wu"
"oh..er.. salve Wu"
"Dobbiamo incontrarci ora al secondo piano, davanti al barbiere"
"Ora? ma non stavamo andando a cena?"
"Si, ma non ci vorra' molto. E' importante. Ti aspetto"

Perplesso, finisco di vestirmi e scendo al secondo piano. Wu e' uno degli ospiti della conferenza, un cinese del nord, imprenditore, grande e grosso, con occhialoni e vestito italiano elegantissimo. Abbiamo finora parlato di lavoro. Cosa vorra' mai? dal barbiere poi...

Arrivo, e lui e' li che mi aspetta, fuori dalla bottega. Mi prende per il braccio e mi accompagna dentro.
"Ti ho fatto una prenotazione per dopo cena. offro io, e' mio piacere".
sempre piu' perplesso, lo guardo e dico:
"Wu...non ho bisogno di tagliarmi i capelli. vedi che sono gia' corti?"
Lui mi guarda da sopra gli occhiali. Ride.
"ahahah. non capelli: guarda queste donne qui" e mi indica tre ragazze sedute in uniforme nella bottega "sono pulitissime, ho gia' provato io: servizio completo: sesso normale, orale, quello che vuoi".

A questo punto sono nei guai: non voglio offenderlo rifiutando il regalo, ma non voglio neanche accettare perche' cosi' facendo mi troverei in una posizione di obbligo nei suoi confronti (senza contare che le cinesi non mi attirano). Decido di dirgli la verita'.
"Wu, grazie, sei molto gentile ma non posso accettare assolutamente"
"...perche' no? guarda che le ho provate io, sono brave"
"perche' sono monogamo"
"??...cosa vuol dire monogamo?"
"vuol dire che sono legato alla mia donna e non vado con altre"
"really? e' forse qualche forma religiosa occidentale?"
"in un certo senso" gli dico. "hai indovinato, e' un fatto religioso. Ti sono davvero grato, ma ora andiamo o perderemo la cena" e cosi' dicendo lo tiro via dal banco prenotazioni dove una delle tipe ci guarda senza capire. Lui mi segue giu' per le scale, ma ancora non capisce. "preferisci i ragazzi? hanno anche quelli! la Cina e' ormai orientata verso il consumatore"
"Wu, sei veramente un amico. hai provato anche i maschi?"
"Oh no! io vado solo con donne! tante donne!"
"E tua moglie cosa ne pensa?"
"ahahaha sei divertente tu! mia moglie non lo sa!"
"sai Wu, potresti essere un occidentale tu"
"ahah! io sono stato a Milano, a Torino! ho amici in Italia. ma sei sicuro? guarda che quelle ragazze hanno tutte il test per l'AIDS ogni mese".
"Wu sei un amicone. vieni, andiamo a cena che ti offro da bere..."

archivio (58) Storiella africana

Qualche anno fa guidavo lungo la ex-strada imperiale che porta ad Harar. Bellissima strada, ancora perfetta dopo piu' di sessanta anni. Certo, non c'e' asfalto, ma il profilo della carreggiata e' ancora buono, le curve non hanno mai meno di ottanta metri di raggio, e il panorama e' degno: prima l'altopiano, poi il deserto, poi la savana, poi ancora le montagne. 560 chilometri da sogno, che di solito si potevano fare in otto ore, spingendo. 
Era ormai tardo pomeriggio, e dato che non volevo farmi sorprendere dal buio ancora sulla strada, andavo veloce. Traffico non ce n'era. Mentre risalivo sulle larghe curve che dalla valle di Irna portano sul Cercér orientale, da un lato la montagna e dall'altro la scarpata e poi giu' la valle, un gregge di pecore spinte da un pugno di pastorelli che risalivano la scarpata irruppero sulla strada trenta metri davanti a me. 
Di sterzare, non se ne parlava: da un lato mi sarei frantumato, dall'altro sarei volato. Di frenare, neanche: trenta metri andando ad ottanta sulla ghiaia...tanto varrebbe buttarsi di sotto... 
Per fortuna i ragazzini erano tutti dietro il gregge, ancora giu' sulla scarpata, e sulla strada c'erano solo pecore. Quindi scalai di marcia per mantenere la strada, diedi gas, e la vecchia Jeep Wagoneer del 1973 piombo' in mezzo al gregge come un rapace. Fu un attimo. Mi fermai ad un paio di centinaia di metri oltre, e lentamente tornai indietro. 
Che scena. Quattro pecore giacevano in mezzo alla carreggiata. 
Il resto del gregge, in preda al terrore, si era disperso belando selvaggiamente qua e la'. Uno dei ragazzini stava accoccolato vicino alle pecore che avevo investito. Aveva gli occhi umidi. Lo mandai a chiamare suo padre. In pochi minuti si raccolse una piccola folla di valligiani. 
Quando arrivo' il padrone delle pecore ci sedemmo sul bordo della strada. Ci trovammo d'accordo nel ringraziare Dio che i bambini non erano stati coinvolti, dopodiche' cominciammo a discutere sul compenso. Sapevo che in citta' una pecora da arrostire costava almeno 100 Birr, ma in campagna i prezzi erano inferiori, quindi fui contento quando ci accordammo per 240 Birr per tutte e quattro. 
Pagai, ed uno dei ragazzini venne a dirci che uno degli animali era ancora vivo. Gli occhi di tutti i presenti si illuminarono. Quelle popolazioni sono infatti Cristiani Ortodossi, e seguono i precetti antichi, secondo i quali l'animale, per essere mangiato, deve essere sgozzato da un cristiano. 
Velocemente comparve una lama, una mano sicura verso' il sangue li' sulla strada, e con me al seguito - diventato un ospite, dato che stavo pagando per la festa - andammo alla vicina casa del pastore, dove l'animale fu arrostito e mangiato, innaffiato con birra locale, con grande soddisfazione di tutti, bambini compresi. 
Molto piu' tardi mi rimisi in macchina per proseguire. Come addio, uno dei bambini mi mise in mano un cane di legno, intagliato ovviamente da lui stesso. Delle altre tre pecore - che non poterono essere mangiate perche' uccise dalla macchina e non dalla lama di un cristiano - restavano sulla strada solo batuffoli di lana. Le tracce insanguinate di iena sparivano nella macchia.

archivio (57) Limoncello micidiale

Qualche anno fa la mia donna, dopo una vacanza ad Amalfi, decise di fare il limoncello a casa - quando stavamo a Londra. Aveva riportato con se' dalla costa i limoni (che noi giu' chiamiamo cedri) e la ricetta tradizionale. 
Ando' in farmacia a comprare l'alcool. Solo che - scoprii dopo - in UK le farmacie non vendono alcool etilico, in quanto se lo vendessero gli inglesi se lo comprerebbero a bidoni, per aggirare le tasse sugli spiriti. Il farmacista le vendette una bottiglia di alcool metilico, pensando che servisse come detergente. 
Tornai a casa la sera. La scorza era nell'alcool come descritto nella ricetta, ma l'odore non era giusto. Lei non si era accorta della differenza, dato che di solito non beve e in ogni caso di alcool medicinale non ne capisce, pur essendo inglese essa stessa.
Dubbioso, cercai la bottiglia. "Methyl Alcohol CH3OH" con teschio e tibie. Effetti: avvelenamento, cecita', crisi epatica...
Buttai via tutto. Lei era cosi' imbarazzata che si vergogna ancora oggi...Ci consoliamo con quello (scarso) importato che compriamo nei negozi...

Friday, 6 February 2009

Casa di Bambole

Nubi di segatura mista a scaglie di pittura marrone si levano a sbuffi dal legno e mi si appiccicano sulle mani e sulla faccia. La mascherina protettiva mi fa prudere il naso, gli occhi mi lacrimano, e sono sicuro che sia vernice al piombo, questa che mi sto scartavetrando addosso.
La zia Petunia, alla quale tutti vogliono bene, dice che il bisnonno la costruì subito dopo la guerra, per lei bambina. È una casa di bambole fatta di legno comune, a due piani: cucina e bagno sotto, camera da letto sopra. Il tetto è spiovente come una baita, la carta sulle pareti ingiallita e sbriciolata, una striscia di giardino attorno, e il retro aperto per giocarci. Dentro, tavoli sedie e letti fatti dal bisnonno al tornio. È in condizioni pietose, dimenticata per cinquanta anni in soffitta. L'ha ritrovata e me l'ha data come regalo di Natale per la bimba. L'ho ringraziata, ma il sorriso mi è venuto legnoso.
È notte in garage. Carta vetrata grossa e fine, stucco, attrezzi e pennelli, una luce forte e io, imbacuccato ché fuori è dicembre. Tutto coperto da una patina polverizzata di vernice al piombo - sicuramente cancerogena. Farò verde e a fiori la striscia di giardino, il tetto rosso, i muri bianchi come d'estate. Dentro userò il rotolo di carta da parati che mia madre conservò, rivernicerò i mobili, e metterò anche i tappeti. Lascerò i vetri alle finestre, e per le tendine qualcuno mi aiuterà. Ci vorrá ognuna delle notti che mancano a Natale, e mi dovrò inventare un trucco per aiutare Babbo Natale a farla passare dal camino, ma le piacerà moltissimo.

Thursday, 5 February 2009

archivio (56) Sogno

Stanotte ho sognato che camminavo lungo via Lago di Nicito, scendendo verso Piazza Santa Maria di Gesu'. Quando passo accanto ad uno dei ficus millenari che ci sono nella piazza un boa nero scivola dal ramo sopra e mi attacca. Constrictor! penso nel sogno, mentre gia' le spire mi avvolgono e mi sollevano da terra. Mi balena in mente Karaghiosis alle prese col boadillo... Inspiro, gonfio il petto e l'addome per non farmi stritolare subito, mentre con gli occhi cerco la testa: se riesco ad affondagli le mani e gli avambracci fra le mascelle potrei riuscire a fargli mollare la presa prima che mi uccida...
...poi apro gli occhi e c'e' la piccola spalmata su di me che mi coccola e allo stesso tempo mi urla all'orecchio: 'Papa' svegliati, it's time for work!'... turning.gif

Orazio il tuffatore

Catania divide la sua costa in colori forti: a sud della citta' la plaia, la spiaggia si estende bianca e lucente in un arco gentile per dozzine di chilometri fino ai contrafforti rocciosi del siracusano. 
A nord della citta' invece, dal lato della montagna, il lato dell'Etna, chilometri di rocce laviche nere scolpite dal mare seguono il percorso della storia e del mito. Porto Ulisse, i faraglioni di Polifemo, la casa del nespolo, le fortezze normanne, le citta' chiamate come la ninfa Aci si susseguono fra i fichidindia e i cespugli di cappero che macchiano la roccia nera. La "scogliera", che d'estate si riempie delle migliaia di persone che non sopportano la sabbia nel costume. 
Il re incontrastato della scogliera era 'Arazio. Nessuno sapeva chi fosse veramente o quale fosse il suo cognome. Fisico asciutto, bassino, muscoli come corde bagnate, perennemente superabbronzato, capelli imbionditi dal sole, 'Arazio passava la vita a prendere il sole sulla scogliera. A Febbraio lo si trovava gia' li', in uno dei suoi posti preferiti, difendendosi dall'aria fredda con un fuoco acceso con i pezzi di legno gettati dal mare invernale sugli scogli, per i quali l'inglese ha una parola bellissima, driftwood. L'asciugamano rosso sbiadito e la scatola grande di Nivea, 'Arazio era sempre al mare, da solo, ogni giorno di sole dell'anno. 
'Arazio parlava solo il catanese. Non aveva studiato ne' aveva velleita' culturali di alcun tipo. Pero' sorrideva sempre ed era gentile con tutti. 'Arazio non si muoveva troppo dal suo asciugamano, e quando lo faceva sembrava una lucertola al sole, lento e ponderato. 
'Arazio era il tuffatore per antonomasia. Strabiliava tutti con la sua capacita' e abilita' di tuffarsi da qualunque punta della scogliera, a prescindere dall'altezza e dalla profondita' dell'acqua sotto. 
All'epoca, con un paio di miei compagni di ginnasio e qualche altro amico cominciavamo ad andare al mare ad Aprile, quando il sole era abbastanza caldo da scaldare la lava solidificata della scogliera, anche se l'acqua era ancora fredda. Prendevamo il 32 dal centro e in mezz'ora arrivavamo al Selene, tratto di scogliera libera cosi' chiamato dal ristorante omonimo affacciato sul blu del golfo, venti metri sopra il mare. Sapevamo nuotare, essendo cresciuti alla plaia, ma ci tuffavamo solo a piedi in avanti oppure a bomba, e mai da piu' di un paio di metri di altezza, magari anche turandoci il naso. Facevamo un sacco di confusione e spruzzi, e ci divertivamo moltissimo. 
Per qualche motivo rimasto ignoto, 'Arazio, dopo qualche tempo passato ad osservare - appoggiato su un gomito - i nostri miseri tentativi, decise di insegnare a noi pischelli a tuffarci. Comunicazione era un problema: il suo catanese era stretto e il nostro italiano ginnasiale: eppure bene o male ci riuscimmo. 
"Coordinazione costante" erano il suo mantra, nonche' le uniche parole in lingua che conoscesse. Nel corso di un'estate calda, tenedoci praticamente per mano, ci insegno' a non avere paura, e ad entrare in acqua sempre perfettamente. In pochi lo seguimmo sempre piu' in alto sugli scogli, mentre altri, soddisfatti di avere imparato la tecnica di base, rimasero in basso. 'Arazio conosceva tutti i posti giusti per tuffarsi su e giu' per la scogliera, e ci dava appuntamento per il giorno dopo "sotto la tavenetta" oppure "alla nave di pietra", dove passavamo la giornata a studiare la sua tecnica e a tentare - poveramente - di imitarla. Ma lo seguimmo a tutte le altezze di scoglio, anche quelle che quando la folla di bagnanti come gabbiani sulle rocce lo vedeva salirci, si ammutoliva, si sedevano eretti sugli asciugamani, inforcavano occhiali da sole per vedere bene o allungavano le mani nelle borse per prendere le macchine fotografiche. 
'Arazio saliva agilmente ma lentamente sullo spuntone o sulla cima di roccia nera piu' alta che ci fosse in giro. Passava gran tempo a trovare la posizione di appiglio per le dita dei piedi, fondamentale per superare gli scogli sotto e le lame di lava che spuntavano ovunque dagli scogli. Perche' la lava nera si alliscia coll'azione del mare giu' dove le onde incessantemente la lambiscono, ma sopra, a dieci o quindici metri di altezza, dove gli spruzzi arrivano solo con le mareggiate di scirocco invernali, la lava e' una grattugia: si mangia suole e pelle di piedi solo a camminarci sopra. E 'Arazio aveva una predilizione per rocce non a picco. Rocce cioe' dove occorreva tuffarsi spingendosi molto in avanti per evitare di cadere sulla lava sottostante. 
Una volta trovata la posizione, 'Arazio stava per parecchi minuti immobile, eretto, braccia piegate ai gomiti e mani davanti al petto, come in preghiera, guardando le onde che pigramente arrivavano dal largo e si perdevano nella cala sotto, molto sotto di lui. 
Poi, come una molla, si lanciava verso il sole, braccia improvvisamente aperte, un riflesso color cuoio nuovo contro il blu del cielo...arrivato all'apice della spinta il torace e la testa si piegavano come un coltello a serramanico verso il basso, le braccia si chiudevano in avanti, e le gambe seguivano la direzione imposta dalla gravita' rialzandosi verticalmente dietro ed in alto, il tuffo carpiato perfetto da venti metri di altezza, il corpo ancora librato in aria, sospeso come il fiato di tutti i presenti. E poi giu' giu, a picco, coordinazione costante, contro lo sfondo di roccia nera, talloni uniti, braccia e mani pronte a rompere il pelo dell'acqua, per un tempo che non sembrava non finire mai, fino a sparire con piccolo spruzzo ed un piccolo splash nel verde-blu del mare sotto, entrando in acqua - orrore supremo - esattamente nel metro e mezzo di mare disponibile fra due scogli affioranti. 
Solo allora gli astanti respiravano. Quando riemergeva, applausi e voci lo accompagnavano al suo asciugamano sbiadito, dove si stendeva ad asciugarsi, un pezzo di sorriso all'angolo della bocca e una innata modestia che gli impediva di riconoscere le emozioni che dispensava. 
Le storie su di lui erano tante: che era un ex-calciatore, che fosse del rione San Cristoforo, covo di amici e di donne dagli occhi di bragia, che vivesse mantenuto da una donna...nessuno di noi volle mai sapere davvero chi fosse o cosa facesse: era 'Arazio il tuffatore, leggenda della scogliera, pelle di serpente e sorriso costante. 
Per quanto ne sappia, e' ancora li' che si spalma di nivea ed insegna ai ragazzini come non farsi male nel passaggio fra la roccia, il cielo e il mare. 

archivio (55) Sera a Saigon

Lasciate che vi racconti della mia cena da solo a Saigon. Lo so che non e' ancora notte da voi, ma qui si, e io mi sento ispirato (/espirato). 
Un amica recentemente mi sciveva ti immagino sul mekong, seduto a gambe incrociate in una canoa, in maniche di camicia arrotolate, il fucile sulle gionocchia... Quasi giusto. A parte il fucile, che e' una cosa solo da Africa ormai. Ma qui e ora sono in citta', e che citta'. Quando ho finito di lavorare - da solo, in camera d'albergo - erano ormai le nove e mezza di sera. Non sono qui da solo: ci sono colleghi nello stesso albergo. Ma americani, australiani, indiani, inglesi e cinesi di Hong Kong hanno tutti una cosa in comune, culturalmente angli che non sono altri: cenano alle sette di sera. Spesso lo faccio anche io, per non essere antisocial, ma oggi proprio non ne avevo voglia. Quindi ho saltato il pranzo, e solo quando ho finito tutto quello che dovevo fare sono uscito. Saigon e' come Hanoi ma piu' americana. Sempre il fiume di motorini c'e' per strada. Sul marciapiede ho alzato una mano e si e' fermato un VinaTaxi. Gli ho dato il bigliettino del Pacharan e mi ci sono fatto riportare. Venti minuti forse, traffico ormai leggero, tre euro - cosi' sono i taxi in quasi tutto il mondo: moltissimi, disponibili, e non cari. Ma lasciamo perdere i pippotti...sono arrivato che erano le dieci, e sceso dal taxi mi sono trovato davanti la porta del night club accanto, e il fila sulla porta cinque zoccole in minigonna, ovviamente messe li' per attirare il pubblico...meno male che avevo troppa fame, ergo le ho ignorate. Il ristorante e' la porta accanto. Ignoro le zoccole ed entro nel ristorante spagnolo di Saigon. E' su tre piani, ad angolo in una piazza. Sotto il bar, sopra il ristorante vero e proprio (con un altro bar), e piu' sopra ancora terrazza. Pareti bianche, archi che ricordano l'Alhambra, echi di al-andalus. O sono io che dalla fame vaneggio, piu' probabile. Una ragazza mi accompagna al primo piano. 
- sei solo?
- si
- siediti qui, vedi la piazza e puoi fumare 
- e tu come lo sai che fumo? 
- hai fumato l'altra sera quando eri qui col tuo collega
(sorridendo alla mia faccia incredula - non me la ricordo assolutamente e sono venuto solo una volta prima)
- vuoi lo stesso vino?
(recuperando, maschera da KT su)
- si grazie 
Se ne va, vestita da Viet Cong in pigiama nero, sottile e flessuosa. Appoggio le sigarette sul tavolo, il portacenere c'e' gia'. Torna in dieci secondi con il menu'. Visto che sono gia' le dieci non voglio fare perdere tempo alla cucina, ordino subito. Una ciotola di olive cunzate (condite con olio, peperoncino, pezzi di cetriolini ed altre cose yummy), insalata di erba verde scura con su adagiate due fettone di meraviglioso, fantastico, orgasmevole queso de cabra, a cui si dovrebbe elevare un'ode. Poi stufato di puerco con ceci e altre cose buone. La ragazza sparisce di nuovo. 
Guardo la piazza. Sotto la finestra - che non e' una finestra, e' una vetrina, come quelle dei negozi, solo che invece di guardar dentro si guarda fuori - c'e' un semaforo, dozzine di motorini fermi al rosso. Mi hanno detto che a dicembre scorso hanno introdotto la legge sul casco, ed infatti tutti ne hanno uno: coloratissimi, a fiori, a forma di coccinella a pois, rosa, azzurri, gialli. Un bimbo, in piedi davanti al padre che guida, ne ha uno con un bellissimo paio di corna da diavoletto. Luminose, rosse. Penso che sia una figata. Al centro della piazza taxi parcheggiati - a Saigon i taxi sono di tutti i colori e forme, dall'altro lato della piazza i quattro piani in stile francese del Grand Hyatt, anche lui bianco.
La ragazza torna col vino. Semplice Vina Sol Torres, bianco. Nei paesi tropicali non ce la faccio a bere il rosso - troppo caldo. Mi mette anche il secchiello col ghiaccio per tenerlo fresco. Poi arrivano il pane e le olive, una baguette a fette calda calda. Mmmm.... fra me e me mugolo di piacere olfattivo e gustativo. Mangio, e bevo. Penso alla giornata e al Vietnam a come mi piacerebbe vivere qui, fra questa gente che al contrario dei cinesi con faccia torva o inscrutabile, sorride sempre. Poi arriva l'insalata (mi sono abituato a questa cosa che l'insalata la mangiano prima della pietanza). Il queso di cabra e' rustico come deve esserlo marieddu, e profumato come deve esserlo chi gli sta dietro. Al sapore e' come una crema densa con sentori di miele ma allo stesso tempo tagliente...non le so descrivere queste cose, ci vorrebbe la veronellite, che non ho. Col pane raccolgo l'olio - vero - e lentamente mi sento meglio. Al bancone del bar, dall'altro lato della sala, oltre gli archi, quattro turisti australiani vestiti da turisti - pantaloncini, magliette, sandali - bevono e si fanno fotografie con in testa i cappelli di paglia a forma di cono tradizionali, che devono avere comprato come souvenir. Li ignoro. 
La ragazza Viet Cong appare dal niente ogni volta che il bicchiere e' vuoto, non dice niente, lo riempie, e sparisce. Per rispetto a cotanta professionalita', ogni volta che ripete la procedura io appoggio la forchetta e smetto di mangiare, e quando ha finito le sorrido. 
Lo stufato di puerco non e' per fortuna tanto, ma i ceci sono buoni e con l'aiuto del pane anche questo e' finito in poco tempo. Fuori il traffico diminuisce. Due motorini si scontrano e finiscono a terra, ma andavano entrambi a due all'ora, quindi si rialzano, si scotolano, e ognuno per la sua strada. 
Ho finito e mi sento benissimo. Per puliziarmi 'a ucca, come si dice, chiedo un piatto di frutta. Arriva pulita, affettata e impilata. Il mango e' buono, l'anguria pure, la mela anche. Il dragonfuit non tanto, ma mangio tutto lo stesso. La solitudine non rovina la cena, per furtuna, se no in questi viaggi non mangerei mai. 
Si sono fatte le undici, e dietro di me stanno chiudendo la cucina. Chiedo il conto - roba da poco, anche col vino - pago, lascio la mancia alla Viet Cong (non lo faccio mai in Oriente, dove non se l'aspettano) e me ne vado. Esco sulla strada e per fortuna le zoccole non ci sono piu'. Sul bordo del marciapiede alzo una mano, e un taxi si ferma subito. Saluto l'autista, gli do' il bigliettino dell' albergo dove sto, poi mi appoggio allo schienale e chiudo gli occhi. In Italia sono le sei del pomeriggio, ma KT, nel Far Side of the World ora vuole solo dormire. Devo ricordarmi di dire a SonoEsa del queso de cabra...
..tutto questo scrivere mi ha messo fame, e sono le 18:15 a Saigon. Non ho pranzato, quindi esco e vado a cena qui vicino. Mi hanno detto che c'e' un ristorante Ceco che fa carne alla brace come si deve...

archivio (54) Cinitalia

L'unica liberta' che i cinesi moderni non hanno e' quella di scegliersi il governo. Non che in Italia sia molto diverso, al massimo possono scegliersi un partito. Tutte le altre liberta' personali che noi prendiamo per garantite ci sono anche in Cina, e da anni ormai. Ne cito solo alcune cosi' la finiamo con questa farsa, e facciamo invece raccolte di firme per le cose importanti che ci riguardano direttamente, come i vergognosi lager in Puglia per i lavoratori immigrati, per i quali nessuno naivemente si agita o raccoglie firme, e nessuno si dichiara d'accordo. 

In questo momento, un cinese medio, uomo o donna, di qualunque estrazione sociale, istruito o no, puo' liberamente scegliere, solo ed esclusivamente sulla base di preferenze personali, e ovviamente di quanti soldi abbia, una, alcune o tutte le scelte seguenti:
- dove vivere
- se e cosa studiare, e dove
- che lavoro fare: operaio, impiegato, imprenditore, commerciante, statale. 
- da chi farsi raccomandare per favori, promozioni, carriera
- che taxi o autobus o metropolitana prendere per spostarsi
- cosa mangiare, quando, e cosa scegliere. E la scelta e' infinita.
- cosa bere, e lo fanno in quantita', in compagnia e con gusto.
- se, dove e con chi sposarsi. Chi invitare, che vestiti indossare, e se fare il servizio fotografico vestiti entrambi stile belle epoque o in stile giapponese in kimono, entrambi al momento di moda. 
- quando divorziare
- se e quando risposarsi
- quando fare un figlio, o non farlo
- da quale medico o in quale ospedale farsi curare. 
- dove e quando andare in vacanza, compreso all'estero
- che regali comprare e a chi, e in quale ricorrenza
- che vestiti, accessori, orologi, profumi comprarsi ed indossare o usare. 
- che telefonino comprare, quale network scegliere, e quanto pagarlo
- dove andare per parrucchiere, sauna, massaggi
- che automobile comprarsi, comprese BMW, Merc e Lexus. 
- dove andare il venerdi' sera e tutte le altre sere
- dove andare la domenica, compreso in chiesa o allo stadio
- che amici/ amiche avere, e chi evitare
- dove andare al bar
- dove andare a giocare a carte o a majong
- cosa leggere fra tutta la roba stampata disponibile, comprese migliaia di traduzioni, ufficiali e no, di testi stranieri.
- che canale televisivo guardare fra le dozzine disponibili (OK, non la BBC o la CNN. Ma la televisione di stato fa propaganda a chi comanda, esattamente come da noi, quindi si regolano su cosa credere, proprio come noi) 
- quale forum, chat room, o blog seguire (e le notizie sui giornali del governo che controlla internet sono esagerazioni - ci sono 500 milioni e piu' di persone che usano internet in Cina - lo farebbero forse se non ci fosse niente? Googlate 'circumventor')
- quale mostra d'arte andare a vedere, e che tipo di arte comprarsi per decorare la casa
- a quale conferenza, seminario, congresso o altra riunione professionale, domestica o internazionale, partecipare. 
- cosa fotografare e quando, a parte le zone militari
- quando scioperare
- quando cambiare lavoro (sia la scelta che le opportunita' sono senza fine)
- che pensione privata scegliere, e quando mettersi in pensione
- chi lasciare l'eredita'
- che domestica assumere, se filippina o indonesiana.
- quanto pagarla in nero
- quanto pagare di tasse, e quanto cercare di evadere
- quando e' il caso di lamentarsi per la corruzione dei governanti locali, e quando e' il caso di sfruttarla.
Ce ne sarebbe di piu' ma non e' che possa perdere troppo tempo con queste favole della Cina orco dell'era moderna.

Wednesday, 4 February 2009

Caffe'

Sono le sette di mattina e sono in piedi in cucina, il gomito sinistro appoggiato al muro, un piede incrociato sull'altro. Aspetto che la caffettiera si sbrighi, guardo giu' dalla finestra il traffico mattutino su Electric Road, il cervello ancora spento e addormentato. 

Con un fruscio arriva la mia piccola gia' vestita per scuola. Passa sotto l'ascella e mi da' un grande abbraccio attorno alla pancia, stringendomi ad occhi chiusi e sorridendo, come fa lei sempre. 
Abbasso la testa per darle un bacio sui capelli, e arriccio il naso. 

Piccola, cosa e' questo odore?
Lei fa un passo indietro, alza la testa, assume un'espressione afflitta.
La mamma mi ha comprato lo shampoo al pineapple. Come si dice pineapple?
- Uhm...ananas? 
- Ecco si. Ananas. E anche il conditioner - il balsamo - e' di pineapple. E siccome non ne ho altri devo lavarmi i capelli con questo per forza. 
- Dai, non e' tanto male...

Mi interrompe, la voce piu' alta di un'ottava:
Papa'! ma tu non sai che il body wash che ho e' al mango!
- Mango. Giusto. Uhm...e quindi...? 
- Papa'!! E quindi vuol dire che odoro come una Macedonia di Frutta!! Grrrrr!!
- Oh. I see... Capisco. Uhm... Guarda, troveremo sicuramente una soluzione. Nel frattempo, quando ti fai la doccia vai a prendere il mio sapone e usa quello.
- Oh posso? Davvero? Grazie papa'. Bacio, devo andare adesso o perdo l'autobus...
- Ciao maced...ehm.. *smuak*

Mi guarda con i fulmini negli occhi ma sorride, e scappa via.