Thursday 26 February 2009

Philip José Farmer, 1918 - 2009

Avevo una ventina d'anni quando, rovistando fra gli scaffali etichettati 'fantascienza' nella semioscurita' nel retro della libreria Lapaglia mi trovai fra le mani un volume edito dalla Nord: Fabbricanti di universi. Lo presi, e non ne tolsi il naso per le ventiquattro ore successive. Quello fu il mio primo incontro con Philip Jose' Farmer, autore di FS avventurosa, immaginifico, magnifico, pieno di sorprese. Tornai presto a cercare altre cose col suo nome. Scoprii che, primo fra gli autori americani della sua generazione, aveva un punto di vista molto originale su cose come religione e sesso, ma queste cose passavano in secondo piano dietro alla sua immaginazione, e alla capacita' di creare storie avventurose ed impossibili da mettere giu' fino alla conclusione. Presto cominciai a leggere la serie del Mondo del Fiume, dove i personaggi sono tutti gli esseri umani che siano mai vissuti sulla terra, fra i quali PJF muove gente realmente esistita come Samuel Clemens e Richard Burton, perfettamente credibili in un'ambientazione tanto colossale ed ambiziosa da lasciare a bocca aperta. 
Seguii Farmer per molti anni, sempre con piacere. E conservo tuttora quei libri, anche se da allora sono riuscito a leggerli in originale. 
Ieri PJF se ne e' andato, presumibilmente per raggiungere il mondo del fiume, e risalirne il corso infinito con Clemens e gli altri. Si divertira' sicuramente. 
Mi manchera'.

 
 

Monday 23 February 2009

No, il walkathon no.

Dovrei saperle queste cose, e intanto ci casco sempre. Domenica la scuola della piccola_di_KT aveva organizzato un walkathon, una camminata di beneficienza. Gli introiti al 25% a qualche organizzazione caritatevole, e il 75% per la scuola stessa, che dice di averne bisogno per le infrastrutture ecc ecc. Che poi non ho motivo di dubitarne: e' una buona scuola, per gli standard locali. Anche se e' controllata e diretta esclusivamente da donne. Non si puo' avere tutto. 
E insomma, in un periodo remoto dell'anno scorso, preso alla sprovvista e probabilmente anche distratto, avevo dato il mio assenso alla partecipazione al walkathon. E me n'ero prontamente dimenticato, ovviamente. Immaginate la mia faccia quando giovedi' mi arriva l'email della scuola con tutti i dettagli sull'organizzazione (i partecipanti saranno divisi in gruppi A B C D e partiranno scaglionati ad intervalli di 15 minuti), sul supporto (i boy scout saranno disponibili lungo il percorso per aiutare con l'orientamento), per poi passare agli ordini (e' assolutamente necessario che i partecipanti tengano addosso durante il cammino il numero che sara' loro attribuito) e alle minacce (si raccomanda di non abbandonare il percorso designato perche' l'assicurazione NON coprira' alcuna deviazione). Per poi passare alla descrizione del 'fun day' successivo alla camminata, a scuola: musica, canti, cibo, bevande, zucchero filato, pesche di beneficienza e cosi' via'. 
Mentre leggevo questo orrore di tipo anglosassone sentivo un brivido giu' per la schiena. E come se non bastasse, avrei dovuto essere li', pronto ad essere numerato e pungolato alle otto del mattino di domenica. 
Sono pazzi. Ed infatti, la domenica mattina ho invocato il mio normalmente ignorato ius domini, e mi sono rifiutato non solo di andarci, ma financo di alzarmi dal letto. 
- No, andateci voi, andate. Divertitevi.
- Non puoi non venire! Avevi detto che avresti camminato anche tu!
- Mi sono ricordato che odio camminare. Andate, andate. Io penso al pranzo. 
E cosi' e stato. Bella sensazione fare il capofamiglia, evitare la panzata di folla, la camminata, e dormire fino alle 11.  

 
 

Thursday 19 February 2009

Wrestling with the PC (3)

Il rischio c'e' che l'argomento diventi tecnico. Ma e' un rischio infinitesimale, a me i tecnicismi mi danno fastidio, come i broccoli. Pero' la procedura, ah la procedura e' la parte migliore. Quella che in inglese si chiama the process. Suona come un film con James Stewart. Prima di accingermi all'opera accendo la memoria a lungo termine. Il cervello. Il mio. Che' nel corso degli anni da quando questi affari sono diventati indispensabili, non e' la prima volta che mi capita di doverne aprire uno, ergo, conviene ricordarsi come fare e cosa non fare. Una vaga memoria mi dice che prima di installare questa scheda devo togliere quella vecchia, e disinstallarne il software. Mi sembra logico. Solo che il PC una scheda come questa non ce l'ha. Quelle poche capacita' grafiche che possiede sono integrate, cioe' costruite nel PC stesso, non in una scheda a parte. Hmmm...
Googliamo. Da varie ed oscure sigle sul pezzo di silicone scopro marca e modello della scheda. Incrociando la googlata fra queste informazioni e la stringa 'come installare', con un paio di click sono nel posto giusto: un forum di discussione dedicato a questo genere di cose. Perche' qualcuno che questa operazione non solo l'ha gia' fatta ma l'ha anche descritta c'e' sicuramente. E infatti c'e', perfino la scheda e' uguale. Mi appunto la procedura - a matita - preparo il tavolo operatorio (che poi e' il tavolo da pranzo coperto di giornali), tiro fuori un cacciavite piccolo. Poi vado a fumarmi una sigaretta alla finestra per stimolare la concentrazione, prima di procedere. Non arrivero' a dire che il momento e' solenne, perche' sarebbe una minchiata turning.gif  
E comunque. Chiudo tutti programmi, poi vado nel Control Panel, System, Hardware. Trovo la linea corrispondente alle capacita' grafiche esistenti, e la disabilito. Poi spengo il PC e lo faccio ripartire direttamente nel BIOS (che si fa tenendo premuto Del mentre il PC parte - nel mio). Questo e' il menu' di base del computer, dove si interviene solo in casi come questi. Cambio un paio di settaggi come istruito dalle mie note, poi spengo tutto. Sposto la scatola stessa del PC da sotto il tavolo, stacco tutti i cavi e cavetti da dietro e porto la scatola sul tavolo. Gosh quanta polvere. E' sempre un problema, la polvere. Io ODIO la polvere. Svito le due vitine dietro che lo tengono chiuso, tolgo il pannello ed ecco che the innards, le interiora sono rivelate. O meglio, la polvere che le ricopre. Qui urge intervento. Vado a prendere l'aspirapolvere e UUUUUUUUUUUUUUUUUUUHHHHHHHHHHHH. 
Fatto ora posso lavorarci. Non che ci voglia molto. Con le quattro pagine di manualetto che venne col PC individuo lo slot, o come si dice in italiano, dove va la scheda. La inserisco gentilmente ma decisamente fino a quando non e' entrata tutta con un soddisfacente 'twunk'. Il piu' e' fatto. Ora si tratta di riconnetterlo e riaccenderlo. Per scaramanzia lo riconnetto ancora aperto, giusto in caso che non funzioni. 
E infatti lui, esso, parte, ma che abbia infilata una scheda nuova dentro non se ne accorge proprio. Anzi, mi dice che non ha capacita' grafiche e mi fa vedere tutto al minimo della capacita' colori e della grandezza di schermo. Per forza, la sua gliel'avevo disattivata io prima, e quella nuova e' come se non ci fosse. Qui ci vuole un'altra sigaretta. 
Fuori dalla finestra, molto in basso, Electric Road e' sempre li', i fanalini dei taxi blinkano, rassicuranti. 
E' chiaro che o e' la scheda ad essere fasulla, o c'e' qualche conflitto di software ad un livello cosi' profondo che non ho speranza di trovarlo da solo. Quindi spengo, tolgo la scheda, richiudo, riattacco tutto e rimetto tutto com'era prima. Devo riavviare almeno tre volte, ma il mio PC (beddu di papa') si riavvia di solito in trenta secondi, quindi no problem there. La scheda gliela riportero' al bottegaio domani. In tutto questo, non so come, Google Earth funziona meglio di prima lo stesso.
Mi viene in mente Elwood, e quoto: The Lord works in mysterious ways.



Wrestling with the PC (2)

Dov'ero rimasto? Ah si. La graphic card, scheda grafica. A Hong Kong c'e' il mercato di computer usati (o pezzi thereof), ma e' a Sham Shui Po, dal lato di Kowloon, nemmeno tanto vicino. Ma chi ci va mai, dal lato di Kowloon? E' come abitare a Manhattan e considerare l'idea di andare nel New Jersey. O le stesse implicazioni semantiche di 'south of the river' quando lo si sente dire a Londra. Ci deve essere sicuramente una soluzione migliore. Poi mi ricordo del negozio di computer di quartiere, all'angolo di Oil Street. Che piu' che un negozio e' una bottega artigiana. Il tipo vende pezzi di computer e accessori, ma sopratutto li ripara, li aggiorna, cambia componenti, ogni tanto mette il cartello 'torno subito' e sparisce, sicuramente ad occuparsi della clientela corporate nella zona. Comunque sia, ci passo. Il posto e' piccolo e lo spazio e' poco, i volumi invasi da scaffali colmi di pezzi di elettronica e di scatole colorate con sigle misteriose. Per terra, rimasugli della sua lotta col computer - viti, tracce di vita silicea. Per rompere il ghiaccio mi compro un mouse - che quello vecchio e' caduto per terra cento volte e ogni tanto occorre fargli il trattamento alla Fonzie per rifarlo funzionare. Poi gli racconto del mio predicamento, e gli chiedo se per caso ha una scheda AGP. Non ce l'ha (me l'aspettavo) ma mi dice che se voglio, me la puo' ordinare, che qualche magazzino sicuramente avra' ancora di queste cose vecchie. Gli chiedo quanto tempo ci vorrebbe, e lui, come ispirato (funziona!) mi dice 'Unless you want a second hand one'. Cerrrto che me ne va bene una di seconda mano. E voila', ne tira fuori una da un cassetto, me la fa vedere, mi istruisce su come trovare in rete il software necessario e me la da. 
'E se non dovesse funzionare?
'Me la riporti'
La sera stessa, a casa, quando le ombre della sera sono gia' abbondantemente calate su Electric Road, mi accingo all'opera. 
'Chiamatemi Fran-ken-stin'

Wrestling with the PC (1)

Il computer di casa e' relativamente nuovo, ma non un fulmine di guerra come capacita' grafiche. Non essendo un gamer dedicato, non ne ho mai avuto bisogno. Il PC stesso me lo feci costruire l'anno scorso al computer centre di Wan Chai: scelsi un negozio a caso delle centinaia che ci sono annidati nei cunicoli dell'edificio, con la signorina discutemmo le specifiche che avevo in mente (cose noiose come la RAM, il processore, la capienza del disco fisso), ci accordammo sul prezzo, dopodiche' mi disse 'Torna fra due ore. Io mi feci un paio d'ore di passeggiata lungo i negozi di mobili cinesi di Johnston Road, e quando tornai era li' pronto, assemblato nei meandri oscuri del computer centre e consegnato al negozio. Me lo portai via cosi' com'era, un paio di giri di cordino di nylon a fare da maniglia. A casa vi attaccai i pezzi che avevo gia' - tastiera, schermo, stampante, connessioni - e voila', computer nuovo.  

Ora pero' mi sono reso conto che la capacita' grafica non e' all'altezza di un programma come Google Earth. Oh, per funzionare funziona, ma si muove lentamente e a scatti, ben lontano dalla resa del MacBook della figlia_grande_di_KT, dove GE funziona come i suoi creatori intendevano. 

Quindi negli ultimi giorni ho passato un po' di tempo ad esaminare i manuali delle interiora del PC, e chiedendo a Google la strada che porta a gente che ha avuto simili esperienze. Risultato, devo installare una scheda grafica - un pezzo di silicone verde con su vari microprocessori, connessioni, e pefino un ventilatorino tutto suo, per liberarsi del calore che genera. Il problema e' che, mentre il PC ha la presa per una simile scheda, questa deve essere di un tipo specifico - AGP - che non e' piu' il top of the range delle schede. Ergo difficile da trovare nei negozi, specialmente a Hong Kong, dove vecchio e' sinonimo di inutile e senza valore, e solo il nuovo conta. Ma ovviamente un componente simile era esso stesso top of the range non piu' di diciotto mesi fa, quindi KT, il quale non e' prono ad isterismi consumeristici si e' messo alla caccia di una scheda AGP, anche di seconda mano. Che' Google Earth val bene una scheda. 
 

Tuesday 17 February 2009

Google Mars

Google Earth e' una di quelle cose che quando uno scrittore l'immagino' nelle pagine di un libro a me venne immediatamente voglia di averlo. Fast Forward una dozzina di anni e BANG, esiste. 
Ma andiamo con ordine. Prima Neal Stephenson lo mise, chiamandolo solo 'Earth', nel suo seminale Snow Crash, e qualche anno dopo lo zio Google si compra un'idea simile appena sviluppata, la trasforma in Google Earth, e la mette a disposizione di tutti. Google Earth (o GE, come lo chiamano gli amici) non e' cosa che interessi a tutti. Bisogna essere appassionati di geografia, storia, scienze, del mondo che ci circonda, di mappe, me fondamentalmente occorre l'interesse negli esseri umani, e in quello che essi fanno con e al mondo. E dalla versione corrente (GE 5.0) anche di Marte. Non mi dilungo, perche' se GE non ce l'avete gia' vi sto annoiando...ma poter volare su Marte cosi com'e', anche senza trovarci John Carter non e' affatto un disappunto. 
  

Monday 16 February 2009

Libri volanti

Di questi tempi, sara' per il monsone, sara' per un periodo meno pieno di lavoro del solito, mi diletto a leggere piu' del solito ( ani_biggrin.gif ). Naturalmente KT non ha pretese culturali quando legge. Anzi: l'idea stessa di un libro culturale gli provoca una vaga repulsione, come avere in bocca un sapore di metallo marcio. Quest' analogia e' presa direttamente da Idoru, di William Gibson. Sulle orme del Cyberpunk, di cui Gibson e' stato dichiarato ufficialmente responsabile, Idoru e' un viaggio elettrico fra lo stardom moderno e gli ambienti giapponesi bagnati di pioggia e neon, sia virtuali che reali, che egli creo' per il primo suo romanzo del genere, Neuromancer. Uno stile sincopato fra virtualita' reale e personaggi da favola visti con gli occhi della quattrodicenne Chia McKenzie, fan del gruppo pop Lo/Rez alle prese con l'idea che il suo idolo Rez voglia sposare una donna virtuale, una idoru, fra mafiosi della Kombinat russa e la Citta' Murata virtuale dei teenager giapponesi, vale sicuramente la pena: gran libro. 

Naturalmente non leggo un libro alla volta: ne tengo alcuni aperti assieme per terra accanto al letto, altri sul divano, e altri in borsa: non si sa mai cosa mi senta di leggere. Finito ieri, di nuovo, History of Hong Kong, di Frank Welsh: visto che ci vivo mi piace sapere la storia del posto. Piacevolmente cross-referenced, vi ho trovato lo stesso Lugard, qui governatore agli inizi del novecento, che anni prima usava la mitragliatrice Maxim contro i seguaci del re del Buganda nell'opera seminale The Scramble for Africa di Thomas Packenham, ricostruzione accuratissima e non apologetica dei trent'anni alla fine dell'ottocento che videro il Continente penetrato e diviso fra le cancellerie e i ministeri d'Europa. Gran ritratto di Leopoldo del Belgio, re e sfruttatore, insieme con tantissimi altri personaggi. Stanley, gallese finto americano, Brazza, italiano finto francese, Emin Pasha', tedesco finto sudanese...per tacere di 'Cinese' Gordon, generale inglese e anima tormentata, la cui testa rimase a Khartoum. Non perdibile, cameo del giovane Winston Churchill, assistente del Segretario alle Colonie, il quale annotava ai margini di un rapporto ufficiale del governatore dell'alto Niger: Si invita l'estensore ad adattare il linguaggio in uso nei rapporti ufficiali: coloro non familiari con il gergo del ministero di Sua Maesta' potrebbero interpretare che il vostro incarico consista nello sparare agli indigeni e rubar loro le terre'ani_biggrin.gif

Cos'altro ho sulla stufa? Ah si: Chickenhawk, di Robert Mason. Gran libro: il Vietnam da un elicottero, fra dubbi, morte e la mancanza totale di logica tipica dei militari di qualunque nazione. Si fa leggere tutto d'un fiato. Nella borsa del portatile, appoggiata qui accanto a me in attesa della pausa pranzo, Donnerjack, ultimo romanzo del mai troppo compianto Roger Zelazny. Fra Virtu' e Verite' (mondo virtuale e mondo reale) si aprono porte inaspettate: l'amore fra gli abitanti dei due regni diventa occasionalmente e impossibilmente fertile, e chi ne risulta dovra' capire non solo come, ma anche perche', e cosa c'entri il Signore dei Campi Profondi, il quale divenne in esistenza l'istante che la prima cosa vivente mori'. Fra il castello in Scozia abitato da fantasmi ai quali piace odorare il whisky, il treno virtuale chiamato Il Babbuino d'Ottone che si crea la ferrovia fra i piani dell'esistenza al ritmo di Dixie, e umani diventati esseri mitologici per le intelligenze artificiali, John D'Arcy Donnerjack prima, e suo figlio Jay dopo attraversano le pagine come Mizar, il segugio fatto di pezzi di ricambio e moquette. Gran libro, grande scrittore.

Leggere

Avevo quattro anni quando mia mamma, stufa di aspettare che si facesse tempo di mandarmi a scuola, mi insegno' a leggere Topolino, seduti assieme sul divano. Non l'avesse mai fatto: all' asilo la maestra, torturatrice, mi mandava ogni tanto col libro in mano giu' per il corridoio pieno di echi fino in seconda classe, dove la sua collega mi faceva leggere davanti a tutti, per farli vergognare. Oh, come me la fecero pagare, nei corridoi, quegli ignavi. 

Ricordo ancora, ragazzino, le occhiataccie delle mie zie quando, alla domanda 'che hai fatto con i soldi che ti abbiamo regalato?' rispondevo che avevo comprato libri. Non lo capivano, non sembrava loro una cosa normale. 'Ma vai a divertirti, comprati vestiti, vai al cinema invece'. Come avrei potuto spiegare ad esse, gran lavoratrici e amabilissime zie, ma profondamente chiesastriche ed ignoranti di tutto cio' che non fosse la loro immediata vita, che non c'era divertimento piu' grande, durevole e delizioso che navigare con Yanez verso Labuan, o cacciare lamantini fra le mangrovie vicino a Maracaibo. 

La stessa tristezza - lieve ma certa - quando penso alla scuola, al ginnasio: ogni classe aveva un armadio pieno di libri, romanzi e saggi. Mi diedero la chiave ed un quaderno per scrivere chi prendesse cosa, e quando lo ritornasse. Alla fine dell'anno, forse in tre-quattro, su quasi trenta, avevamo preso in prestito libri per leggerli. Tutti gli altri leggevano solo quello che dovevano leggere. Il liceo fini' con me e pochi altri che avevano letto tutto, tranne Manzoni. Perche' si doveva leggere. 

Felicita' fu lavorare in libreria per qualche anno, ogni anno, a luglio e agosto, e parte di settembre fino all'inizio della scuola. Anche se il grosso del lavoro erano i libri di scuola, gli scaffali, la polvere, l'odore, e sopratutto il potermi portare a casa qualunque libro, leggerlo in una notte, e riportarlo l'indomani. A quel punto pensavo fosse normale che fossimo in pochi a leggere, e che non avessi nessuno con cui parlare dei libri che mi piacevano. E normale lo era.

Immaginate lo scioccamento quando mi resi conto, anni dopo, che ci sono paesi dove tutti leggono. Ricordo ancora la mia prima volta nella metropolitana di Mosca, un inverno di tanti anni fa: fra l'architettura da fare storcere il collo, le teste di tutti i russi col colbacco di pelo, ma proprio tutti, o il fatto che ognuno di essi uomini e donne soldati e civili fosse immerso in un libro, un'intero treno di pendolari che leggeva. Non seppi che pensare, mi ricordo pero' che il freddo dell'inverno russo, la' sotto, non c'era. 

E poi la perfida Albione. Tutto quello che volete, ma un mercato immenso, qualita' media elevatissima, un sacco di gente in fila alla cassa nelle librerie, tutti i giorni, perfino nella pausa pranzo. Piu' il loro sistema di biblioteche pubbliche rionali: posti bellissimi e luminosi, accoglienti e pieni di tutti i libri piu' recenti, e posti per sedersi a leggere, o una tessera magnetica per portarseli a casa. Gratis. E i treni dei pendolari, il 7:13 per Charing Cross? Come a Mosca. Senza i colbacchi. 

A volte penso che, furbi come ci sentiamo, noi italiani in realta' siamo stupidi.

Il mio amore era nera e cromo

Siamo rimasti insieme otto anni. La trovai in un angolo scuro del concessionario, con 17.000 chilometri, una patina di polvere, e una statuetta come quelle sul cofano delle jaguar saldata sul parafango davanti. Mi ricordo come mi si aprirono gli occhi. Era stata di qualcuno il quale se ne era andato a viviere a Durban. 250 chili, 2 cavalletti, 2 enormi cilindri, 2 borsoni neri, sella effettivamente omologabile per guidatore + tre ragazze, oppure per tre guidatori maschi, con una sola patente e un solo casco fra tutti e tre. Che ti si rallegra il cuore a girare l'angolo di una delle stradine del centro di Marina di Ragusa alle tre del mattino e trovarsi davanti un posto di blocco con almeno venti carabinieri e veicolame adeguato. Uno spiegamento di mezzi cosi' e' solo perche' cercano qualcuno che conoscono, non per fermare motoristi...
- ...E la moto a chi e' intestata?
- a me, brigadiere.
- ma guidava il suo amico.
- con la pancia che ha se sta seduto davanti e' meglio, brigadie'.
- e di patente c'e' solo quella del suo altro amico, giusto?
- si. e abbiamo un solo casco in tre. e siamo ad agosto.
- un solo casco? questo e' grave.
- e' vero, brigadiere. e' grave... e' un caso di emergenza. Le sembriamo gente che si diverte ad andare in giro in tre in moto di notte? Eravamo a Siracusa e si e' rotta la macchina del mio amico. Dovevamo tornare alla Salina, era tardi, non abbiamo avuto scelta...e lei lo sa che la Guzzi mille tre persone le porta in sicurezza.
- rimane un reato. E non condivido la sua opinione sicurezza sul motoveicolo per tre adulti e 200 chilometri da fare di notte.
- Ma scherza, brigadiere? E la squadra nazionale di acrobazia in moto dell'Arma? Quelli ci salgono in dodici, fanno la piramide e camminano su una moto come questa...
- Va bene. Dodicimila lire per guida senza patente, e ve ne potete andare. 

Appena la comprai cominciai subito a passarci un sacco di tempo assieme. Non le diedi mai un nome proprio, ma pensavo a lei come la Ragazza. Non volevo una moto per l'estate. Volevo una moto invece dell'auto. Dopo qualche mese avevo non solo trovato il meccanico filosofo e appassionato di Guzzi che tutti dovremmo avere, avevo anche sistemato la frizione, cambiato le marmitte con le Lafranconi (quelle con l'elichetta), e avevo comprato in gran segreto il tendicatena della distribuzione, inventato da qualche appassionato in Olanda, importato in quantita' limitate da un brianzolo, e gravemente disapprovato dalla Casa. Andavamo ovunque insieme. In altre parole ogni giorno mi portava al lavoro e mi riportava a casa, non lontano ma abbastanza da arricriarmi seduto all'aperto, muovermi sopra il mondo e vederlo fluire.
(ci vuole un abbigliamento adatto, altrimenti diventa una cosa miserevole, senti freddo e spesso ti sgocciola dietro giu' per il collo)
Con la ragazza vennero stivali, giaccone, guanti. Tenevo una valigia sola montata da un lato, dentro tuta da pioggia, triangolo e coprimoto rosso di nylon pesante. Cambiai i carburatori con quelli da 42. Raramente passavo i 150 all'ora: a quella velocita' rombava tranquilla in autostrada per le otto ore che ci volevano per salire da Catania a Roma. Con i 42 si poteva spingere fino a 180, ma senza borse e senza passeggeri.


Ci fiondavamo a Roma spesso con mia comare Anna in quegli anni. Principalmente per andare ai concerti, ma avevamo anche amici a Torpignattara ani_biggrin.gif No davvero. Marta non mi ricordo cosa facesse, assegnata allo staff della onorevole ministro. Mi ricordo il suo accento romanaccio ('KT, non ti fare fregare: il romanesco non esiste piu') quando un giorno spunto' arrivando dal lavoro imitandola: marcio' in casa sua agirando il braccio alla suffragetta, gridando 'Dio lo Vuole!' che si capivano le maiuscole. 

Anna: Ma davvero ha detto cosi? la Ministro?
Marta: dovevi vederla! c'erano i giornalisti all'entrata di palazzo coso, ma una dura non si fa impressionare, e' passata e quando e' arrivata in cima ai gradini si e' girata, ha alzato la mano, 'Dio Lo Vuole', ed e' sparita dentro...


Non mi ricordo per quanti sforzi faccia, di ricordarmi quale numero fosse questa particolare crociata. In quegli anni il Vaticano teneva ancora il catalogo aggiornato delle crociate ufficiali dalla prima ai giorni nostri. Quando Acri cadde ampliarono il catalogo delle crociate: la Reconquista, l'asservimento germanico degli stati Baltici pieni di brutti paganoni pelosi che sconoscono Dio e adorano gli alberi , l'introduzione della Civilta' Cristiana fra le Popolazioni Pagane delle Americhe...ai tempi di questo viaggio in moto avevano finito i soldi e chiuso questi uffici costosi e poco utili*. Poi Craxi fu votato al governo, anche grazie ai voti di tutta la Sicilia fino ad allora saldamente dicci', si mise gli stivali, fece l'otto per mille...
Io me ne andai in Africa, abbastanza disgustato da tutta la faccenda. Ma questa e' un'altra storia...

[MODE READ AGAIN. SHAKE HEAD. BE REPENTANT=ON] 
Scusatemi, divago a livelli. Sono questi fiorellini leggeri e leggerissimamente appiccicosi. Wow.
Funzionava cosi': partivamo dopo il lavoro da Catania, risalendo la costa lungo l' autostrada che va a Messina, a un'ottantina di chilometri. A sinistra l'Etna e' un gigante scuro, e vicino. Fuma leggero contro il rosso del tramonto. 
Passare sotto la rocca di Taormina erano due galleria veloci. Non si vedeva niente del movimento che sapevamo esserci a tutte le ore nella cittadina. Poi, galleria dopo galleria, montagne a sinistra e mare a destra, spiagge bianche di ciottoli sotto. Presto davanti a destra si intuisce la fine della Sicilia, e oltre il mare si vede, scuro e alto sull'acqua, l'Aspromonte. L'autostrada gira alta sul monte intorno a Messina, poi un ramo se ne stacca e precipita' giu, diventando presto un viale che scende verso il porto. I traghetti di Messina sono tanti, frequenti e veloci: forse venti minuti per la traversata vera e propria. Tempo per un caffe' ma il la macchina del caffe' del ponte passeggeri del Caronte la lubrificano con l'olio che sgocciola sul ponte veicoli durante la traversata. Lo bevono solo i forestieri e i turisti. 
Si romba giu' dalla rampa a Villa. Ero parcheggiato dietro sulla nave, c'e' gia' la colonna di macchine sulla strada fra i mare e il terrapieno della ferrovia che porta all'uscita delle darsene del Caronte. Se avessi voluto fare la fila mi sarei tenuto la macchina. Entro largo a sinistra della fila, che tanto non viene nessuno, apro la seconda di una manopolata e passo una dozzina di macchine. Come un elastico, chiudo il gas e rallento verso il semaforo rosso. Con una tallonata metto in folle. Rallento, due dita sulla leva del freno. La Ragazza naviga in avanti senza tentennare, mezza tonnellata di massa appesa al disco davanti, quello singolo. Luce verde. Tiro la frizione, do un calcetto verso l'alto al bilancino, do' gas una volta per fare alzare i giri al motore, e ci ributto dentro la seconda. Senza esitazione la Ragazza si avventa, danzando ai lati della scivolosa doppia linea bianca. C'e' la galleria. Chiudo il gas e tiro a me il manubrio sinistro ad altezza cintura. La Ragazza si piega di lato, una ruota alla volta, lemente, cambiando direzione sul posto. La assecondo che si rialza spostando la posizione del culo e siamo gia' nel tunnel, cambio di direzione 90 gradi. Mi viene il ghigno: saranno cinquanta metri di galleria sotto il doppio binario della linea per il nord, la fila di macchine che viene al traghetto ferme al semaforo all'uscita della galleria stessa, perche' due camion assieme questa curva non la possono fare, la banchina e' troppo vicina. Apro due terzi del gas alla seconda marcia e i bassi delle marmitte sono come un crescendo di organo nel tunnel. Schizziamo fuori dalla galleria al centro di un'onda concentrica di suono che si divide in filamenti, si avvita su se stessa e si perde fra gli alberi della piazza della Stazione. Imbocchiamo il viale e in fondo c'e' lo svincolo dell' Autostrada del Sole. Il cartello dice solo SALERNO 621. 
Oltre il cartello, l'autostrada si arrampica su per le Calabrie, fra i boschi e il mare.

Sostegno fatto. Puf puf. Dov'ero?

Ah si. L'autostrada sale sull fianco delle montagne, a picco sul mar Tirreno. Direttamente a ovest, invisibili, le Eolie. Sotto il viadotto, in basso in basso, Scilla, e poi Fiumara. Poi l'autostrada piega bruscamente ed entra nell'interno. Ormai e' notte. Presto troviamo l'agip dove ci fermiamo sempre. Faccio la fila dietro le macchine, a motore spento. Con Anna dietro e il carico la ragazza si fa spingere in avanti con un lavoretto leggero di punta-tacco nonostante che mezza tonnellata di peso ci sia tutta. La California non e' uno stupido chopper ad imitazione dell'Harley Davidson. Far from it, come dice Morpheus. Le Harley si guidano appesi al manubrio, per non cadere all'indietro. Prova a fare cosi' alla Ragazza, e vedi cosa ti fa. La ruota davanti si alza e la moto non si fa sterzare piu' finche' non la smetti di fare il cretino e ti siedi come ti pare ma col peso in avanti. Questo perche' il telaio della Cali II, come tutti i guzzoni mille, e' primogenito di quello del V7 Sport, tubazzi di acciaio che non si scompongono facilmente. Prova a mettere una Harley a passare la notte sull' elastico fra i 120 e i 150 e vdi cosa succede. Se Dio avesse voluto che le Harley andassero veloci avrebbe dato loro dei freni decenti, dice il proverbio. Ma (Coro)Dio c'ha la Ducati
24 litri e' pieno. Caffe'. Ci mettiamo le tute antipioggia sopra i giubbotti e i jeans, paracollo, casco. I guanti sempre alla fine...ripartiamo. Peso sul destro, colpetto in giu' in punta di stivale al pedale del cambio, lascia la frizione. Seconda di tacco sul bilancino, punta dello stivale comodamente appoggiata ai marciapiedi che sono le pedane, apri e sei gia' sulla corsia di accellerazione, porto la terza in coppia a 3800 giri e la tengo li, due dita sulla manopola. Entro in autostrada accenando una piega, metto la quarta, rilascio di colpo e la moto rimbalza dall piatto della frizione mentre arriva il gas. La Ragazza si fionda in avanti. Non c'e' nessun altra analogia per questo movimento. In stabilizzo 120 a 3800 giri, nel vertice della curva di coppia. Assesto il sedere sulla sella, sento Anna che viene piu' avanti per mettere tutta la testa nel bozzolo d'aria tranquilla generato dal paravento. Occhi sulla strada, poco al disopra del margine del paravento stesso. La California II va come un treno. Quelli del marketing alla Guzzi oggigiorno chiamano le sue discendenti cruiser, incrociatore. 
Le Calabrie non finiscono mai, e l'autostrada e' piena di camion. Si incrocia sul lungomare. Qui si va veloce, si cavalca il ritmo del traffico e non ci si distrae mai. L'adrenalina si sente gia'.

Mi ricordo di avere comprato, all'inizio, uno di quei cosi a batteria per parlarsi da dentro il casco, ma in autostrada non si poteva usare: occorreva rallentare sotto i cento perche' ci si capisse: troppo rumore di fondo. Lo buttai via presto. 

L'autostrada e' buia. Solo le uscite sono illuminate, ragni di luci gialle seduti sul nero degli oliveti. 
Ogni quaranta chilometri c'e' un'area di servizi, ma non ci fermiamo se non non arriviamo piu'. Cammino quasi al centro fra le due corsie, poco a destra delle strisce. La discesa e l'attraversamento della piana di Lamezia Terme passano come un sogno rettilineo: l'odore di bosco dell'interno ridiventa brevemente odore di limoni. Credo che per andare a Cosenza si giri a destra di qui, ma chi c'e' mai andato a Cosenza? L'unico cosentino che ho conosciuto fu quello che si dava arie in terza elementare perche' essendo di Cosenza, lui era del nord
Il paravento, la sella, le pedane e sopratutto il largo ma basso manubrio mi consentono di stare seduto col tronco eretto, ginocchio sinistro giu', stivale appoggiato in punta alla pedana e di tacco sul perno del bilancino. Piede destro appoggiato piu' avanti. Comodissimo. Naturalmente guido con due mani e tengo ginocchia e stivali ben dentro. Queste cose non si fanno durante le fiondate.

Dopo Catanzaro l'autostrada si spopola e sale veloce verso il Pollino. Di giorno si vede, di fronte, massiccio molto piu' grande dei vicini. Dall'altro lato, chissa' quanto lontano, le terre dei Lucani. L'autostrada gli sale sulle ginocchia e piega decisamente a sinistra, verso Napoli. Qui c'e' un benzinaio che mi piace, in una piazzola in bilico su una cresta spazzata dal vento. Davvero. Ci fermiamo per un caffe' e una sigaretta, ma io ho fame e mi prendo uno sfilone imbottito di fette sottile di capocollo piccante, che da queste parti e' buonissimo fin dal tempo dei Greci. Non mi viene in mente niente altro di positivo sui calabresi. Ha ragione Camilleri. 

Sposto la moto al riparo dal vento, sotto un camion di Comiso carico di ortaggi fermo per la notte, tendine tirate. Mi sgranchisco le gambe, Anna va in bagno. Casco sullo specchio, collo aperto, guanti fra il paravento e gli strumenti. Non c'e' freddo ma il vento e' fastidioso. Comincio ad arrotolare un pezzo di cartoncino fra l'indice e il pollice. Torna Anna, le do' il fitro gia' fatto, sorrido e vado a mia volta a lavarmi le mani per poi finalmente pisciare. Ahhhhhh... faccinarossa.gif

Dopo il Pollino l'autostrada ha alcuni dei suoi piu' bei viadotti e ponti, mentre sale verso il passo intorno ai mille metri che e' il punto piu' alto nel percorso da qui a Bologna. Naturalmente non ho idea di come si chiami il passo: non me lo ricordo piu'. Anna ha fatto la canna, ma qui se la fumerebbe il vento. Mettiamo in tasca e ripartiamo. C'e' freddo, e' tardissimo e non c'e' quasi nessuno. Meglio sbrigarsi. La lunga salita si fa sentire sulla quinta della moto carica. Scalo marcia e la riporto a regime in quarta, liscia come l'olio a 120. Oltre il passo, mentre la strada si abbiscia a curvoni fra le montagne e i viadotti, gallerie occasionali attutiscono l'oscurita'. Ma solo le entrate sono illuminate: in galleria ci vai coi tuoi fari. La Ragazza oltre al suo faro rotondo ne ha altri due piu' piccoli ai lati, rotondi e non spessi: luci di profondita'. Non le uso quasi mai.

Alle prime luci dell'alba siamo sopra Salerno, fuori dalle oppressive valli della Campagna. 
Qui c'e' la grande deviazione che con un largo giro all'interno evita le citta'. Si arriva oltre Napoli in fretta. Peccato che da questa autostrada Napoli non si veda. La Tangenziale invece, in moto e all' ora di punta e' una dose di adrenalina solo a passarci. 
Ma noi stiamo andando a Roma. Ci fermiamo per benzina e colazione con smorfie, perche' da qui il caffe' gia' non e' piu' buono, e camminiamo fino agli alberi a fumarci la canna in pace. Un attimo di rilassamento ci vuole, camminando sento ancora l'eco attutita del respiro del motore nelle orecchie, e nelle vene.

*disclaimer: il periodo precedente all'asterisco e' perfettamente verosimile, ma del tutto inventato, mancando l'autore della memoria adatta per ricordarsi queste cose esattamente, ma in compenso dotato di ottima pigrizia selettiva. ani_biggrin.gif

Storia forumistica personale (3)

Politicaonline fu una rivelazione e un casino: come capitare in una grande citta' sconosciuta senza nessuno che ti faccia da guida e nemmeno una copia del libro apposito di Lonelyplanet. Mi impressionarono subito due cose: l'altissima percentuale di spostati, estremisiti della mennulata, cretini totali e gente convinta che vi postava, e la presenza di un gruppo di gente con evidenti problemi di iperegomia, i quali avevano un forum tutto loro, snobbavano i forumisti normali come un qualunque Lord inglese snobba i laburisti, e passavano il tempo seduti nelle poltrone di pelle del club, sotto ritratti di nobili antenati deceduti, facendo quello che tutti i nobili sono autorizzati a fare: giocare a carte e sprecare il tempo tongue.gif 

POL duro' poco: dopo pochissimi mesi che lo frequentavo, prima che avessi avuto il tempo di conoscerlo bene, affondo'. Se volete la storia di quel primo naufragio dovete chiederla altrove: io ero troppo nuovo, e passavo il tempo a leggere l'inimitabile Brunik che prendeva per il sedere i 'pollisti' come nessuno, o a iniziare i primi timidi tentativi di feroce litigio online con nick ormai dimenticati. 

La cosa diversa su POL fu fare conoscenza con Roberta Medusa. Conoscenza superficiale, giusto qualche messaggio privato, ma abbastanza da farmi scoprire una volta per tutte che c'e' gente vera, con sensibilita' ed emozioni profonde, dietro i nick. Cioe', dietro alcuni dei nick. Dietro molti altri c'e' il vuoto, apparentemento pieno dei bytes colorati dello schermo. 

Non ricordo nemmeno piu' come fu che POL riapri' e poi riaffondo' dopo pochissimo. Mentre ero li' in acqua che galleggiavo perplesso passo' Roberta su una scialuppa di salvataggio, mi vide e mi lancio' un email salvagente con scritto 'iscriviti a Letterealdirettore e Spazioforum

Kod feci, audax viator, et terrestre centrum attinges*

....e il resto (del cazzeggio) e' in archivi consultabili tuttoggi. 

Postilla: 
Dopo qualche tempo mi riiscrissi alla nuova POL, solo perche' li' c'e' un forum di appassionati di aerei, e a me, come passeggero, la cosa interessava. L'ho visitato occasionalmente in questi ultimi paio di anni, ma recentemente ho scoperto che la politica di POL e' di non ammettere link ad altri fora nelle cose che si scrivono. Non lo sapevo, e non mi sono trovato d'accordo, quindi mi sono cancellato. 

referenze: nessuna faccinarossa.gif 


* Verne: 'viaggio al centro della terra'

Storia forumistica personale (2)

Nick: fin dagli inizi nel TT scelsi KT e non l'ho piu' cambiato, ne' ho mai avuto cloni, con l'eccezione di uno per partecipare alle ultime ore di LaD, da dove mi ero cancellato qualche settimana prima, prima che sapessi che stava per chiudere. Killing Time (l'ho gia' detto, ma ripeto) e' il nome di una nave in un bellissimo romanzo dello scozzese Iain M. Banks intitolato Excession (ignoro il titolo della traduzione italiana). La nave KT e' testarda, presuntuosa ma interamente dedicata a quello che fa, e all'epoca, appena letto il romanzo, mi venne cosi' di sceglierlo come nick. Da notare che io sono invece testardo, presuntuoso MA pigro. 

...Ah. Tutte le navi nei romanzi di Banks sono senzienti. 

Passai almeno un anno sul forum Off Topic (OT) di HWupgrade, come visitatore occasionale. La maggior parte dei forumisti erano ovviamente gente capitata li' perche' interessati ai computer, quindi spesso giovani o giovanissimi, ancora piu' spesso ignoranti del mondo e delle sue cose, ma tremendamente bene informati sui problemi e i casini che avere un 'puter comporta. Su OT c'erano anche adulti, e le discussioni erano spesso interessanti e bene articolate. Li' incontrai un tal Shambler, che non so pero' se sia lo stesso che si vede ancora in giro. Il problema fondamentale del forum di HWupgrade era che non appena un forumista proponeva un problema capitato al suo computer, il suggerimento immediato era 'formatta!'. Questa cosa, a me immigrato precario in Albione, non andava affatto bene. Avevo un sacco di cose nell'hard disk, compresi i miei archivi del lavoro Africa, e a fare il back-up su dodicimila dischetti prima di formattare non ci pensavo nemmeno. Un giorno vidi passare un tal Billow, guru italo-sloveno del software, e lo seguii nel forum del suo sito, questo pero' dedicato ai programmi e non ai componenti del computer: Wintricks.it.

C'era un forum anche su Wintricks (c'e' ancora), con il suo bravo sottoforum OT. Molti forumisti di HWupgrade passavano di la', ma c'era anche una nutrita rappresentanza autoctona, teste parziali (come dice Camilleri) ai programmi e ai linguaggi di programmazione, quindi capaci di risolvere i problemi senza formattare, cliccando qui e li' nel sistema, e occasionalmente modificando -con cuidado - il registro di Windows. Molti di costoro avevano un certo interesse per affari correnti, politica e cazzeggi vari. Saggiamente il Billow (Yoda) diede la moderazione del forum OT al duo di pistolere composto da Daniela e Trinity, le quali abilmente (frusta e cioccolato) riuscivano a tenere tutti buoni. Da notare che non scrivo piu' in nessuno dei forum qui citati da molto tempo, tranne il TT, ma ogni tanto ci passo a vedere se ci sono ancora... 

Fino a questo punto la mia partecipazione al forum era sempre stata esterna. Scrivevo e leggevo cioe', ma non mi era mai capitato di diventare particularmente amico, o in confidenza privata con nessuno degli altri forumisti. Cioe',forumiste.

Un giorno, era forse l'anno 2000 e comuque si avvicinavano le elezioni politiche, io ero sempre a Londra, o forse in posti come la Cambogia o l'India del sud, e avevo sviluppato di nuovo un certo interesse per quel che succedeva in Italia - politicamente, dico. Il forum OT di HWupgrade era il piu' animato, ma molto presto, sull'onda di guerre forumistiche politiche eccessive, la proprieta' dopo molti tentativi di moderazione e richiami al self-control (caduti nel vuoto data la demografia dei postanti), le proibi' completamente. Dopo poco Shambler mi mando' un inaspettato pvt dicendo "vieni su POL! Li' si che ci si diverte!'

(2) 
referenze: Il forum di Wintricks

Storia forumistica personale (1)

Non so quanto possa interessare, ma l'altra sera ricostruivo per me stesso il percorso forumistico (si puo' dire 'percorso forumistico'?) che mi ha portato infine a fare un blog. Ho pensato di scriverlo, in breve (liar!), memore della dichiarazione di Maestro Titta (di Spazioforum) che 'ognuno ha il suo forumismo', o forse 'un forumismo per ciascuno non fa male a nessuno'....o qualcosa del genere comunque... tongue.gif 

Era il 1997, credo. Da qualche parte nel Corno D'Africa, dove le dita montuose dell'altopiano abissinico si appoggiano a mano aperta sulle sabbie calde dei bassopiani somali. La Telecom locale ('Telecom' e' un nome generico per definire qualsiasi autorita' governativa preposta alle telecomunicazioni) aveva appena installato il suo primo server ad accesso pubblico nella capitale, e noi (io e Pietro - vedi storie su SF) facemmo l'abbonamento. Si andava a modem, naturalmente. Credo riuscissimo a connetterci a 28.8Kbs , a notte fonda, fra una sessione e l'altra di Doom. Il problema era che dovevamo fare la telefonata interurbana per accedere al server nella capitale (il modem attaccato al filo del telefono di bachelite nera con rotella), e questo faceva salire moltissimo i costi. Quindi per qualche mese ci limitammo a sperimentare con la posta elettronica, che funzionava gia' bene. Poi conoscemmo per caso un bandito eritreo, nipote di camicia nera, orecchino d'oro come quelli che, da quelle parti, possono vantarsi di avere ucciso il leone. Lui invece di professione faceva il tecnico telecom. Dopo qualche serata a carne arrosto (zil zil tibs) e birra Harar, alle nostre rimostranze sul costo, disse semplicemente 'perche' non chiamate direttamente il server? vi costa come una chiamata locale..."...e ci disse come fare. 

Da quel momento potei passare piu' tempo in rete, e infinite possibilita' si spalancarono. 

Cercando notizie per un viaggio overland che stavamo organizzando, capitai sul sito di Lonelyplanet, all'epoca editore australiano di guide per viaggiare a basso costo, ed ora pure ma molto di piu'. Sul quel sito c'era il primo forum che io avessi mai visto, The Thorn Tree, 'l'albero spinoso', cosi' chiamato in memoria dell'acacia nel giardino dell'hotel Stanley di Nairobi, dove per lunghi anni i viaggiatori lasciavano biglietti e messaggi per amici, compagni di viaggio, o anche solo suggerimenti e avvisi per chiunque si accingesse a fare la stessa strada. 

Il Thorn Tree (TT) fu il mio primo forum. All'epoca si poteva postare senza iscrizione, ma quelli iscritti apparivano con il nick (che in inglese si chiama 'handle') in un bel blu profondo, gli altri in nero. TT aveva varie sezioni geografiche dedicate al viaggiare - Africa, Asia, Americhe, ed anche una zona che noi chiameremmo oggi 'community', che da loro si chiamava 'lobby', con forum dedicati ai viaggiatori anziani, a quelli disabili, a coloro con bambini, ai gay, e - il mio preferito - 'women travellers'. Il software del TT di Lonelyplanet e' diverso da questo e dagli altri comunemente usati, sviluppato da loro stessi. C'erano i messaggi privati e la funzione ricerca ma non si potevano editare i post. C'erano gia' forse 12000 iscritti, ma la maggior parte si iscriveva solo per chiedere notizie di questo o quel posto ('c'e un ponte fra l'Australia e la Nuova Zelanda? Sono pericolosi i canguri? Cos'e' questa faccenda del visto di Isreale? e cosi' via) Nel forum 'women travellers' si formo' in breve una comunita' di donne (e qualche uomo, ben accetto) da tutto il mondo, con una larga rappresentanza di australiane, inglesi e naturalmente americane, ma anche dall'India e dal nordeuropa. Questa distribuzione geografica creava l'effetto 'turno': ad una certa ora erano sveglie le australiane, poi le europee, e piu' tardi nella stessa giornata le americane, quando in australia era gia' notte. I topic spaziavano dai consigli di viaggio ('vado in Tailandia per un mese. Mi porto i Tampax o li trovo li?' 'Che ne pensate della depilazione brasiliana prima di partire per l'Africa?' 'Vado a Parigi e Roma. Che vestiti mi porto? E che scarpe?') alle discussioni tipo Donna Letizia, popolarissime e occasionalmente creanti megathread con migliaia di risposte ('Credevo mi amasse ma mi ha tradito. Ora dice di essere pentito e che ama solo me. Cosa faccio, lo lascio o gli do' una possibilita'?). Il TT era divertente, sopratutto per la diversita' dei partecipanti e dei loro punti di vista. C'era un immane cazzeggio of course ('ho fame. ho cioccolato nel cassetto ma poi devo fare un'ora in piu' in palestra....consigliatemi! Dissuadetemi! Convincetemi!!!), litigi fra i vari gruppi di amiche che si formavano naturalmente, e fra individui in disaccordo. La moderazione era moderata essa stessa: intervenivano principalmente sui post contenenti razzismo, sciovinismo, ed altre tendenze contro il politically correct.

Ingenuamente, o forse perche' all'epoca, dopo anni lontano dall'Italia alle cose italiane pensavo ben poco, non mi venne mai in mente di vedere se ci fosse una cosa simile in italiano. Leggevo la Repubblica online e basta. 

Solo un paio di anni dopo, trasferitomi in Inghilterra, capitai per caso nel forum Off Topic del sito italianissimo Hardware Upgrade. E li c'era la guerra fra le fazioni politiche, giusto come ora. Scoprii l'esistenza di cose come il bannaggio e la sospensione. 

(1) 

referenze: 
The Thorn Tree a Lonelyplanet.com (sempre lo stesso, terza versione)
forum di hwupgrade.it (Off Topic c'e' ancora, non credo ammettano piu' discussioni politiche)

Friday 13 February 2009

Il vero nemico dell'uomo

Lo temevo. E' arrivata anche in Italia la nefasta influenza della SEAG (Societa' Ecumenica Anti Goduria). 
Esistono rapporti cosidetti 'grigi', non pubblicati, sulla SEAG. Si possono trovare avventurandosi nei bassifondi di internet, nascosti dentro immensi database contenenti gli elenchi del telefono mondiali o tutte le possibili permutazioni dei fiocchi di neve descritte in codice binario. Scritti in linguaggi esoterici e oscuri per evitare le sentinelle cibernetiche della SEAG, questi pochi e sparsi resoconti sono sopravvissuti ai loro autori, cacciati come conigli e messi a tacere per sempre. 
La SEAG e' - apparentemente - una congiura mondiale, una societa' segreta anonima e potentissima creata secoli fa. Il suo solo intento e obiettivo e' impedire che gli uomini si facciano le seghe. 
Secondo Neal Stephenson i membri della SEAG sono insospettabili: suore, mamme, sorelle, zie, vicine di casa, mogli, preti, conoscenti bigotti e membri di societa' cattoliche. Milioni di donne e qualche uomo traviato, unite da una missione da loro considerata sacra: preservare il seme maschile per l'uso del genere femminile, e allo stesso tempo limitare le tentazioni e la deriva dei maschi verso le cattive compagnie ed abitudini che (dicono) la pratica di seghe inevitabilmente produce. Inutile fare rilevare l'egoismo immenso della SEAG. La loro missione ha un fondamento concettuale terribilmente sbagliato: l'idea che i maschi non possano disporre del loro piacere solitario come credono. Intanto, da sempre membri sotterranei della SEAG rivoltano lenzuola, frugano nei cestini per fazzoletti bagnati, criticamente esaminano mutande da lavare, spiano dalla finestra o dal buco della chiave, toccano i muri comunicanti per tremori sospetti, ventiquattro ore su ventiquattro ed in tutto il mondo, assicurandosi che gli uomini soggetti dello scrutinio sospettino di essere sorvegliati senza averne la certezza, innescando la spirale di dubbio e autocastrazione del desiderio manuale che tutti gli uomini conoscono e che cosi' tanti danni causa alla stima che ciascuno di noi ha per se stesso, forzandoci a rimetterci alla disponibilita' dei membri stessi della SEAG - le donne! per assicurarci l'emissione agognata, pena dolori fisici e sofferenze mentali, instabilita' emotiva e polluzioni notturne, non assistite e pertanto non godute. 
Insomma ce n'e' abbastanza da rabbrividire. Altro che il grande vecchio. Altro che Protocolli di Sion. La SEAG e' il nostro nemico. Guardiamocene.

(Liberamente tratto, tradotto & adattato da 'Cryptonomicon', by Neal Stephenson) 

Carrying the Saint

L'acchianata di Sangiuliano

Stanotte, la notte del 5 febbraio, il carro ('a Vara) della santa, pesantissimo, con baldacchino sorretto da colonne, candele enormi, oro a tempesta, gioielli donati, la Legion D'Onore di Bellini spillata sul busto della Santa, risalira' tutta la via Etnea, tirata a braccia da centinaia di devoti in tunica bianca, fino a piazza Borgo, antico confine della citta', dove sara' accolta da quarantacinque minuti di fuochi artificiali come in nessun posto nell'isola, e migliaia e migliaia di persone che sfidano il freddo di febbraio per vederli. 
Piu' tardi il carro, preceduto dalle dodici candelore, una per ogni corporazione di artigiani, ridiscendera' la stessa via Etnea, di cui scrisse non ricordo chi

dritta come una freccia
da Porta Uzeda al Tondo
s'innalza una delle piu' belle vie del mondo


verso le due del mattino, fra due ali di folla e sotto l'illuminazione a mille colori, il carro arrivera' al quadrivio con la via Marchese di Sangiuliano. Questa e' una strada settecentesca, facciata dopo facciata di palazzi barocchi, sentore dei Vicere' e pietra lavica nera, balconi di ferro battuto e giganteschi portoni di legno antico.

La via di Sangiuliano si diparte da via Etnea verso ovest, in leggera salita per un centinaio di metri. Poi di colpo sale ad angolo acutissimo, l'asfalto cede il posto alle basole di lava liscia, duecento metri di erta che sale verso il colle dei Benedettini, strada che le automobili devono fare in seconda, se c'e' fila in prima, scaldando le frizioni.

Stanotte la salita e' sgombra: aspetta il carro. Le basole sono lisce, la cera di innumerevoli candele da cento chili offerte alla santa le rende trappole pericolosissime a camminarci. I devoti devono tirarsi il carro fino in cima. 

Mentre il carro arretra nella parte bassa della strada, dall'altro lato del quadrivio dei quattro canti, per permettere ai devoti di srotolare l'intera lunghezza delle due gomene da nave che lo tirano, le candelore salgono ad una ad una, il ritmo dei passi dei portatori scandito dalla folla, i colpi di mano del capo portatore sulla stanga di legno che guida il trasporto e il respiro della folla. Sulla salita delle candelore si scommette molto denaro: vince quella che ci mette piu' tempo a salire. Si, quella i cui portatori soffrono piu' a lungo, il sudore che bagna a rivoli spalle e braccia, le vibrazioni dei passi che fanno tintinnare i cristalli appesi al pesante oggetto votivo, le soste a mezza salita tenendo il ritmo e il passo, senza mai appoggiare il mostro per terra. 

Ci vuole piu' di un'ora perche' tutte le candelore salgano, ad una ad una. La folla ondeggia ai lati della strada, i balconi straripano, i bambini sulle spalle dei genitori guardano questa sfida di forza fisica, devozione e pazzia religiosa con occhi sgranati.

Poi tocca al carro. I devoti si radunano tutti per questa parte della celebrazione. E' noto che pregiudicati e mafiosi latitanti diventano intoccabili per una notte, se hanno la tunica bianca e tirano il carro. Le due gomene vengono alzate e imbracciate da due lunghe file di uomini. altre cinque file si formano: tre fra le gomene, e due esterne ad esse, ai lati. Metodicamente, braccia e spalle si allacciano in una falange umana lunga duecento metri e larga sette uomini. Quelli esterni passano le braccia sulle spalle di quelli che reggono le corde, quelli interni li abbracciano ai fianchi e fra di essi, legati in nodi di muscoli e devozione. La salita si fa di corsa, per vincere il peso immane del carro. Chi dovesse cadere sarebbe perduto, schiacciato da centinaia di piedi e dalle ruote. Non c'e modo di fermarsi a mezza salita.

Quando la falange e' formata, scandita dal suono delle campanelle dei diaconi sul carro, la folla si azzittisce. Con un urlo in crescendo i devoti si lanciano come un solo uomo verso la salita, tirandosi dietro il carro. Il serpente, il coccodrillo umano divora le basole sotto i piedi, a un metro dalla folla assiepata. Il carro vibra, trascinato da forza irresistibile. Le decorazioni e gli ori tintinnano, le candele ondeggiano come al vento, la massa umana sale, teste abbassate all'unisono, foresta di spalle e muscoli che scorrono davanti a te che guardi, le voci di tutti che urlano lo sforzo e la passione, i rombo di centinaia di piedi sulla lava nera....

In un attimo e' finito. Il carro arriva al piano in cima alla collina, si ferma lentamente, il nodo umano si scioglie, le grida ei cori di 'viva!' diventano gioiosi: nessuno e' caduto, nessuno e' scivolato, la santa li ha protetti, come sempre. 

Il carro svolta a sinistra lentamente, giu' per la Via dei Crociferi, si lascia ai lati chiese e chiostri, la salitina per la solitaria e bella Piazza Asmundo, passa sotto l'arco del convento, continua la strada verso il Duomo. 

Oggi, il cinque febbraio. Ogni anno cosi'.

Monday 9 February 2009

archivio (60) I tassisti di Shanghai

(originale postato su SF nell'aprile 2003)

In questi giorni ho dovuto usare il taxi spesso. Non e' una cosa che di solito mi piaccia fare: da noi i tassisti parlano troppo, ed in generale sono una brutta razza, costretti come sono a sedere nel traffico tutto il giorno e a mangiarsi il fegato come conseguenza. Qui a Shanghai muoversi in taxi e' stata una rivelazione: meta' delle automobili sono infatti taxi. Tutte sono Volkswagen familiari a quattro porte. Basta alzare una mano, o anche guardarne uno mentre passa ed alzare un sopracciglio perche' esso si fermi davanti a te con grande stridio di freni e grande sorriso in bocca al tassinaro. 

I sedili sono rivestiti di cotone bianco, il che da' una gradevole sensazione di pulito. Il tassista abbassa la levetta del tassametro sul cruscotto, ingrana la marcia e si va. Una vocina metallica che parla inglese con accento cinese (pensate a Titti del gatto Silvestro) da il benvenuto in macchina e invita a pagare l'importo indicato dal tassametro a fine corsa, e a non dimenticare lo scontrino automatico. Questo perche' nessun tassista ovviamente parla inglese: a Shanghai c'e' un gran consumo di bigliettini prestampati bilingui (inglese e mandarino) da tenere nel taschino della camicia o della giacca: "per favore portami all'aeroporto" "al Bund" "al museo della Scienza" "all'albergo Tale". Una volta seduti in macchina, si tratta di pescare il giusto bigliettino e di passarlo al tassista al di sopra dello schermo arrotondato di plastica trasparente che lo separa dai clienti. La funzione di questo schermo non e' chiara, in quanto si tratta di un affare di plastichina tenuto su da un paio di pezzi di ferro saldati al sedile di guida. C'e' in effetti un sacco di spazio sopra e sotto per raggiungere il tassinaro: si puo' facilmente passare la mano sopra lo schermo e grattagli la testa, oppure dargli calci da sotto il sedile e persino infilare una mano di lato e fargli il solletico sotto l'ascella, se mai uno ne sentisse il bisogno. Dopo una settimana di taxi, sono giunto alla conclusione che lo scopo principale dello schermo e' di impedire allo sputo di raggiungere il tassinaro. Calcoli balistico-salivari da me effettuati per passare il tempo nel traffico provano che non si puo' assolutamente sputare al tassinaro se non di rimbalzo, in quanto lo schermo protegge da tutte le traiettorie, comprese quelle paraboliche, e lo sputo - come tutti sanno - non rimbalza. Quindi bisogna accontentarsi di soffiare il fumo della sigaretta verso il soffitto dell'auto, cosi' che l'onda azzurrina passi al di sopra dello schermo e si depositi sui capelli del tassinaro, ove si amalgama con la di lui brillantina, creando favolosi effetti iridescenti tipo olio sull'acqua. 

Qualcuno si chiedera' che bisogno ci sia di sputare al tassinaro, o di sottoporlo a torturette simili. Ebbene, dopo il primo giorno di scarrozzamento a Shanghai, sputare e' una delle due possibili reazioni del passeggero. L'altra (la mia preferita, anche a causa dello schermo) e' di girare la testa, nascondere la bocca con la mano, mettere l'altra mano sotto il braccio opposto, e ridere ridere ridere. Ridere per come guidano. Non solo i tassinari, ma tutti. 

Guidare automobili e' un mestiere nuovo in Cina. Fino a dieci anni fa tutti i mille milioni di cinesi sapevano andare in bicicletta. Immaginatevi una citta' piena di biciclette: masse di biciclette ferme al semaforo, masse di biciclette che partono tutte assieme al verde, masse di biciclette che procedono tutte piu' o meno alla stessa velocita', un fiume di biciclette che ogni tanto si apre al centro per superare quella lenta col cestino sul manubrio carico di spesa. Ho reso l'idea? Ecco, oggi succede esattamente la stessa cosa, solo che ora sono in quasi tutti in macchina. Ed ecco scene inenarrabili presentarsi all'occhi attonito del viaggiatore. Quando sono arrivato ho preso il primo taxi all'aeroporto, e mi sono fatto fatto portare in citta' (avevo il bigliettino). L'autostrada nuova a otto corsie era quasi vuota, dato che a causa SARS, nessuno viaggia quasi piu'. Il tassinaro ha cominciato a spostarsi da una corsia all'altra ondeggiando come un giunco al vento, tracciando lunghe S sulla carreggiata. Dato che non c'era quasi nessuno non mi sono preoccupato: andavamo a novanta o giu' di li'. Ogni tanto un tipo in bicicletta spuntava da dietro un pilastro ed attraversava l'autostrada con i polli appesi alla sella. Il mio tassinaro era bravissimo a passagli ad un metro, dietro la bici, e non davanti. Arrivati in citta' il traffico e' aumentato, tutte le corsie piene. La scena e' fluida, quasi da cartone animato: nessuno si cura delle strisce per terra, e tutti sterzano a destra e a sinistra come all'autoscontro, tessendo un disegno astratto fra le corsie, evitando di portarsi via a vicenda i paraurti per caso piu' che per disegno. 
Le marce non sanno a cosa servano: tutti i tassinari mettono la quarta, e la tengono i qualsiasi circostanza. Si sente il motore gorgogliare, semisoffocato da una boccatona di benzina a venti all'ora, mentre il tassinaro stringe lo sterzo con due mani e fa movimenti renali per spingere la macchina in avanti. Una volta che ero seduto a fianco al tassinaro mi sono sporto dal finestrino ed ho cominciato a frustare l'aria sul cofano, come se ci fossero cavalli da spronare, gridando "giddap" e "yahoo", con grande sollazzo del tipo, il quale mi ha offerto una delle sue sigarette. Ai semafori la situazione e' babilonica: le biciclette, ormai esiliate sui marciapiedi, attraversano sulle strisce pedonali mentre le macchine sono ferme al rosso, e gli sconsolati pedoni camminano nella cunetta fra il marciapiede e la carreggiata. Mi viene troppo da ridere...se potessi gli sputerei alla siciliana, al tassinaro, dicendo "ma come guidi? puh!"...ma c'e' lo schermo... 

Stamattina mi sono fatto riportare all'aeroporto. Imboccata l'autostrada, il tassinaro si e' trovato dietro a tre macchine le quali procedevano parallelamente e lentamente sulle tre corsie di destra. Invece di spostarsi a sinistra e sorpassare, il mio inarrivabile chauffeur si e' piazzato dietro la macchina a destra, si e' appoggiato al clacson, ed e' rimasto cosi' per cinque minuti buoni, sbuffando come un toro, mentre il poveraccio davanti altamente se ne fotteva (e anche se avesse voluto fare qualcosa non avrebbe potuto, con una macchina a sinistra e il guard rail a destra...). E io giro la testa, mi metto la mano davanti alla bocca e l'altra mano sotto il gomito, e sghignazzo...

archivio (59) Et dona ferentes

Ero a Kunming nello Yunnan qualche mese fa per una conferenza. Stavamo in uno dei molti alberghi moderni che sono sorti come funghi negli ultimi anni. Una sera c'era in programma di andare a cena fuori dopo il lavoro. Io ero in camera che mi cambiavo quando squilla il telefono.
"Hello, sono Wu"
"oh..er.. salve Wu"
"Dobbiamo incontrarci ora al secondo piano, davanti al barbiere"
"Ora? ma non stavamo andando a cena?"
"Si, ma non ci vorra' molto. E' importante. Ti aspetto"

Perplesso, finisco di vestirmi e scendo al secondo piano. Wu e' uno degli ospiti della conferenza, un cinese del nord, imprenditore, grande e grosso, con occhialoni e vestito italiano elegantissimo. Abbiamo finora parlato di lavoro. Cosa vorra' mai? dal barbiere poi...

Arrivo, e lui e' li che mi aspetta, fuori dalla bottega. Mi prende per il braccio e mi accompagna dentro.
"Ti ho fatto una prenotazione per dopo cena. offro io, e' mio piacere".
sempre piu' perplesso, lo guardo e dico:
"Wu...non ho bisogno di tagliarmi i capelli. vedi che sono gia' corti?"
Lui mi guarda da sopra gli occhiali. Ride.
"ahahah. non capelli: guarda queste donne qui" e mi indica tre ragazze sedute in uniforme nella bottega "sono pulitissime, ho gia' provato io: servizio completo: sesso normale, orale, quello che vuoi".

A questo punto sono nei guai: non voglio offenderlo rifiutando il regalo, ma non voglio neanche accettare perche' cosi' facendo mi troverei in una posizione di obbligo nei suoi confronti (senza contare che le cinesi non mi attirano). Decido di dirgli la verita'.
"Wu, grazie, sei molto gentile ma non posso accettare assolutamente"
"...perche' no? guarda che le ho provate io, sono brave"
"perche' sono monogamo"
"??...cosa vuol dire monogamo?"
"vuol dire che sono legato alla mia donna e non vado con altre"
"really? e' forse qualche forma religiosa occidentale?"
"in un certo senso" gli dico. "hai indovinato, e' un fatto religioso. Ti sono davvero grato, ma ora andiamo o perderemo la cena" e cosi' dicendo lo tiro via dal banco prenotazioni dove una delle tipe ci guarda senza capire. Lui mi segue giu' per le scale, ma ancora non capisce. "preferisci i ragazzi? hanno anche quelli! la Cina e' ormai orientata verso il consumatore"
"Wu, sei veramente un amico. hai provato anche i maschi?"
"Oh no! io vado solo con donne! tante donne!"
"E tua moglie cosa ne pensa?"
"ahahaha sei divertente tu! mia moglie non lo sa!"
"sai Wu, potresti essere un occidentale tu"
"ahah! io sono stato a Milano, a Torino! ho amici in Italia. ma sei sicuro? guarda che quelle ragazze hanno tutte il test per l'AIDS ogni mese".
"Wu sei un amicone. vieni, andiamo a cena che ti offro da bere..."

archivio (58) Storiella africana

Qualche anno fa guidavo lungo la ex-strada imperiale che porta ad Harar. Bellissima strada, ancora perfetta dopo piu' di sessanta anni. Certo, non c'e' asfalto, ma il profilo della carreggiata e' ancora buono, le curve non hanno mai meno di ottanta metri di raggio, e il panorama e' degno: prima l'altopiano, poi il deserto, poi la savana, poi ancora le montagne. 560 chilometri da sogno, che di solito si potevano fare in otto ore, spingendo. 
Era ormai tardo pomeriggio, e dato che non volevo farmi sorprendere dal buio ancora sulla strada, andavo veloce. Traffico non ce n'era. Mentre risalivo sulle larghe curve che dalla valle di Irna portano sul Cercér orientale, da un lato la montagna e dall'altro la scarpata e poi giu' la valle, un gregge di pecore spinte da un pugno di pastorelli che risalivano la scarpata irruppero sulla strada trenta metri davanti a me. 
Di sterzare, non se ne parlava: da un lato mi sarei frantumato, dall'altro sarei volato. Di frenare, neanche: trenta metri andando ad ottanta sulla ghiaia...tanto varrebbe buttarsi di sotto... 
Per fortuna i ragazzini erano tutti dietro il gregge, ancora giu' sulla scarpata, e sulla strada c'erano solo pecore. Quindi scalai di marcia per mantenere la strada, diedi gas, e la vecchia Jeep Wagoneer del 1973 piombo' in mezzo al gregge come un rapace. Fu un attimo. Mi fermai ad un paio di centinaia di metri oltre, e lentamente tornai indietro. 
Che scena. Quattro pecore giacevano in mezzo alla carreggiata. 
Il resto del gregge, in preda al terrore, si era disperso belando selvaggiamente qua e la'. Uno dei ragazzini stava accoccolato vicino alle pecore che avevo investito. Aveva gli occhi umidi. Lo mandai a chiamare suo padre. In pochi minuti si raccolse una piccola folla di valligiani. 
Quando arrivo' il padrone delle pecore ci sedemmo sul bordo della strada. Ci trovammo d'accordo nel ringraziare Dio che i bambini non erano stati coinvolti, dopodiche' cominciammo a discutere sul compenso. Sapevo che in citta' una pecora da arrostire costava almeno 100 Birr, ma in campagna i prezzi erano inferiori, quindi fui contento quando ci accordammo per 240 Birr per tutte e quattro. 
Pagai, ed uno dei ragazzini venne a dirci che uno degli animali era ancora vivo. Gli occhi di tutti i presenti si illuminarono. Quelle popolazioni sono infatti Cristiani Ortodossi, e seguono i precetti antichi, secondo i quali l'animale, per essere mangiato, deve essere sgozzato da un cristiano. 
Velocemente comparve una lama, una mano sicura verso' il sangue li' sulla strada, e con me al seguito - diventato un ospite, dato che stavo pagando per la festa - andammo alla vicina casa del pastore, dove l'animale fu arrostito e mangiato, innaffiato con birra locale, con grande soddisfazione di tutti, bambini compresi. 
Molto piu' tardi mi rimisi in macchina per proseguire. Come addio, uno dei bambini mi mise in mano un cane di legno, intagliato ovviamente da lui stesso. Delle altre tre pecore - che non poterono essere mangiate perche' uccise dalla macchina e non dalla lama di un cristiano - restavano sulla strada solo batuffoli di lana. Le tracce insanguinate di iena sparivano nella macchia.

archivio (57) Limoncello micidiale

Qualche anno fa la mia donna, dopo una vacanza ad Amalfi, decise di fare il limoncello a casa - quando stavamo a Londra. Aveva riportato con se' dalla costa i limoni (che noi giu' chiamiamo cedri) e la ricetta tradizionale. 
Ando' in farmacia a comprare l'alcool. Solo che - scoprii dopo - in UK le farmacie non vendono alcool etilico, in quanto se lo vendessero gli inglesi se lo comprerebbero a bidoni, per aggirare le tasse sugli spiriti. Il farmacista le vendette una bottiglia di alcool metilico, pensando che servisse come detergente. 
Tornai a casa la sera. La scorza era nell'alcool come descritto nella ricetta, ma l'odore non era giusto. Lei non si era accorta della differenza, dato che di solito non beve e in ogni caso di alcool medicinale non ne capisce, pur essendo inglese essa stessa.
Dubbioso, cercai la bottiglia. "Methyl Alcohol CH3OH" con teschio e tibie. Effetti: avvelenamento, cecita', crisi epatica...
Buttai via tutto. Lei era cosi' imbarazzata che si vergogna ancora oggi...Ci consoliamo con quello (scarso) importato che compriamo nei negozi...

La Preghiera dell' agnostico

Supponendo che io possa essere udito da qualcosa alla quale potrebbe o non potrebbe interessare cosa dico, io chiedo, come se avesse importanza, che tu possa essere perdonato per qualunque atto tu abbia commesso o non commesso che richieda perdono. E se non fosse il perdono ma qualche altra cosa ad essere necessaria per assicurarsi che tu possa ricevere qualunque possibile beneficio al quale tu potresti avere diritto dopo la distruzione del tuo corpo, io chiedo che questa cosa ti possa essere data o negata, a seconda del caso, cosi' che tu possa essere sicuro di ricevere i benefici di cui sopra. Io chiedo cio' nella mia capacita' di intermediario eletto fra te e cio' che potresti o non potresti essere tu, ma che potrebbe avere un interesse che tu riceva quanto ti e' possibile ricevere di questa cosa, e che potrebbe in qualche modo essere influenzato da questa cerimonia. Amen. 

Creatures of Light and Darkness © 1969 Roger Zelazny

Economia domestica

Economia Domestica smile.gif 

Come faceva mio padre, le cose che si rompono a casa me le aggiusto io. E non sono nemmeno uno di quegli uomini i quali per aggiustare rompono di piu'. Non spesso, cioe' ani_biggrin.gif 

E insomma, questo gabinetto bloccato mi ha dato da pensare. Ho provato questi liquidi per sturare che vendono, e non e' successo niente. Ho provato con flessibili di metallo appositi, perfino con tubi di gomma spinti giu' per il cesso, ma niente. Bloccato. 

Ci ho pensato su almeno un paio di giorni. Di chiamare un idraulico cinese non mi andava proprio - arrendersi ad un cesso? Poi ho avuto l'illuminazione. Sono andato al supermercato e ho comprato due bottiglie di Coca-Cola, di quelle da due litri. Ho versato quattro litri di Coca-Cola nella tazza, e l'ho lasciata li' per la notte. Ha funzionato benissimo: stamattina il blocco, qualunque cosa fosse, si era dissolto come neve al sole. E' bastato dare una bella pulita e disinfettata in giro, e il bagno e' di nuovo in servizio. 

Sono queste cose semplici che migliorano la giornata wink.gif

Friday 6 February 2009

Casa di Bambole

Nubi di segatura mista a scaglie di pittura marrone si levano a sbuffi dal legno e mi si appiccicano sulle mani e sulla faccia. La mascherina protettiva mi fa prudere il naso, gli occhi mi lacrimano, e sono sicuro che sia vernice al piombo, questa che mi sto scartavetrando addosso.
La zia Petunia, alla quale tutti vogliono bene, dice che il bisnonno la costruì subito dopo la guerra, per lei bambina. È una casa di bambole fatta di legno comune, a due piani: cucina e bagno sotto, camera da letto sopra. Il tetto è spiovente come una baita, la carta sulle pareti ingiallita e sbriciolata, una striscia di giardino attorno, e il retro aperto per giocarci. Dentro, tavoli sedie e letti fatti dal bisnonno al tornio. È in condizioni pietose, dimenticata per cinquanta anni in soffitta. L'ha ritrovata e me l'ha data come regalo di Natale per la bimba. L'ho ringraziata, ma il sorriso mi è venuto legnoso.
È notte in garage. Carta vetrata grossa e fine, stucco, attrezzi e pennelli, una luce forte e io, imbacuccato ché fuori è dicembre. Tutto coperto da una patina polverizzata di vernice al piombo - sicuramente cancerogena. Farò verde e a fiori la striscia di giardino, il tetto rosso, i muri bianchi come d'estate. Dentro userò il rotolo di carta da parati che mia madre conservò, rivernicerò i mobili, e metterò anche i tappeti. Lascerò i vetri alle finestre, e per le tendine qualcuno mi aiuterà. Ci vorrá ognuna delle notti che mancano a Natale, e mi dovrò inventare un trucco per aiutare Babbo Natale a farla passare dal camino, ma le piacerà moltissimo.

Thursday 5 February 2009

archivio (56) Sogno

Stanotte ho sognato che camminavo lungo via Lago di Nicito, scendendo verso Piazza Santa Maria di Gesu'. Quando passo accanto ad uno dei ficus millenari che ci sono nella piazza un boa nero scivola dal ramo sopra e mi attacca. Constrictor! penso nel sogno, mentre gia' le spire mi avvolgono e mi sollevano da terra. Mi balena in mente Karaghiosis alle prese col boadillo... Inspiro, gonfio il petto e l'addome per non farmi stritolare subito, mentre con gli occhi cerco la testa: se riesco ad affondagli le mani e gli avambracci fra le mascelle potrei riuscire a fargli mollare la presa prima che mi uccida...
...poi apro gli occhi e c'e' la piccola spalmata su di me che mi coccola e allo stesso tempo mi urla all'orecchio: 'Papa' svegliati, it's time for work!'... turning.gif

Orazio il tuffatore

Catania divide la sua costa in colori forti: a sud della citta' la plaia, la spiaggia si estende bianca e lucente in un arco gentile per dozzine di chilometri fino ai contrafforti rocciosi del siracusano. 
A nord della citta' invece, dal lato della montagna, il lato dell'Etna, chilometri di rocce laviche nere scolpite dal mare seguono il percorso della storia e del mito. Porto Ulisse, i faraglioni di Polifemo, la casa del nespolo, le fortezze normanne, le citta' chiamate come la ninfa Aci si susseguono fra i fichidindia e i cespugli di cappero che macchiano la roccia nera. La "scogliera", che d'estate si riempie delle migliaia di persone che non sopportano la sabbia nel costume. 
Il re incontrastato della scogliera era 'Arazio. Nessuno sapeva chi fosse veramente o quale fosse il suo cognome. Fisico asciutto, bassino, muscoli come corde bagnate, perennemente superabbronzato, capelli imbionditi dal sole, 'Arazio passava la vita a prendere il sole sulla scogliera. A Febbraio lo si trovava gia' li', in uno dei suoi posti preferiti, difendendosi dall'aria fredda con un fuoco acceso con i pezzi di legno gettati dal mare invernale sugli scogli, per i quali l'inglese ha una parola bellissima, driftwood. L'asciugamano rosso sbiadito e la scatola grande di Nivea, 'Arazio era sempre al mare, da solo, ogni giorno di sole dell'anno. 
'Arazio parlava solo il catanese. Non aveva studiato ne' aveva velleita' culturali di alcun tipo. Pero' sorrideva sempre ed era gentile con tutti. 'Arazio non si muoveva troppo dal suo asciugamano, e quando lo faceva sembrava una lucertola al sole, lento e ponderato. 
'Arazio era il tuffatore per antonomasia. Strabiliava tutti con la sua capacita' e abilita' di tuffarsi da qualunque punta della scogliera, a prescindere dall'altezza e dalla profondita' dell'acqua sotto. 
All'epoca, con un paio di miei compagni di ginnasio e qualche altro amico cominciavamo ad andare al mare ad Aprile, quando il sole era abbastanza caldo da scaldare la lava solidificata della scogliera, anche se l'acqua era ancora fredda. Prendevamo il 32 dal centro e in mezz'ora arrivavamo al Selene, tratto di scogliera libera cosi' chiamato dal ristorante omonimo affacciato sul blu del golfo, venti metri sopra il mare. Sapevamo nuotare, essendo cresciuti alla plaia, ma ci tuffavamo solo a piedi in avanti oppure a bomba, e mai da piu' di un paio di metri di altezza, magari anche turandoci il naso. Facevamo un sacco di confusione e spruzzi, e ci divertivamo moltissimo. 
Per qualche motivo rimasto ignoto, 'Arazio, dopo qualche tempo passato ad osservare - appoggiato su un gomito - i nostri miseri tentativi, decise di insegnare a noi pischelli a tuffarci. Comunicazione era un problema: il suo catanese era stretto e il nostro italiano ginnasiale: eppure bene o male ci riuscimmo. 
"Coordinazione costante" erano il suo mantra, nonche' le uniche parole in lingua che conoscesse. Nel corso di un'estate calda, tenedoci praticamente per mano, ci insegno' a non avere paura, e ad entrare in acqua sempre perfettamente. In pochi lo seguimmo sempre piu' in alto sugli scogli, mentre altri, soddisfatti di avere imparato la tecnica di base, rimasero in basso. 'Arazio conosceva tutti i posti giusti per tuffarsi su e giu' per la scogliera, e ci dava appuntamento per il giorno dopo "sotto la tavenetta" oppure "alla nave di pietra", dove passavamo la giornata a studiare la sua tecnica e a tentare - poveramente - di imitarla. Ma lo seguimmo a tutte le altezze di scoglio, anche quelle che quando la folla di bagnanti come gabbiani sulle rocce lo vedeva salirci, si ammutoliva, si sedevano eretti sugli asciugamani, inforcavano occhiali da sole per vedere bene o allungavano le mani nelle borse per prendere le macchine fotografiche. 
'Arazio saliva agilmente ma lentamente sullo spuntone o sulla cima di roccia nera piu' alta che ci fosse in giro. Passava gran tempo a trovare la posizione di appiglio per le dita dei piedi, fondamentale per superare gli scogli sotto e le lame di lava che spuntavano ovunque dagli scogli. Perche' la lava nera si alliscia coll'azione del mare giu' dove le onde incessantemente la lambiscono, ma sopra, a dieci o quindici metri di altezza, dove gli spruzzi arrivano solo con le mareggiate di scirocco invernali, la lava e' una grattugia: si mangia suole e pelle di piedi solo a camminarci sopra. E 'Arazio aveva una predilizione per rocce non a picco. Rocce cioe' dove occorreva tuffarsi spingendosi molto in avanti per evitare di cadere sulla lava sottostante. 
Una volta trovata la posizione, 'Arazio stava per parecchi minuti immobile, eretto, braccia piegate ai gomiti e mani davanti al petto, come in preghiera, guardando le onde che pigramente arrivavano dal largo e si perdevano nella cala sotto, molto sotto di lui. 
Poi, come una molla, si lanciava verso il sole, braccia improvvisamente aperte, un riflesso color cuoio nuovo contro il blu del cielo...arrivato all'apice della spinta il torace e la testa si piegavano come un coltello a serramanico verso il basso, le braccia si chiudevano in avanti, e le gambe seguivano la direzione imposta dalla gravita' rialzandosi verticalmente dietro ed in alto, il tuffo carpiato perfetto da venti metri di altezza, il corpo ancora librato in aria, sospeso come il fiato di tutti i presenti. E poi giu' giu, a picco, coordinazione costante, contro lo sfondo di roccia nera, talloni uniti, braccia e mani pronte a rompere il pelo dell'acqua, per un tempo che non sembrava non finire mai, fino a sparire con piccolo spruzzo ed un piccolo splash nel verde-blu del mare sotto, entrando in acqua - orrore supremo - esattamente nel metro e mezzo di mare disponibile fra due scogli affioranti. 
Solo allora gli astanti respiravano. Quando riemergeva, applausi e voci lo accompagnavano al suo asciugamano sbiadito, dove si stendeva ad asciugarsi, un pezzo di sorriso all'angolo della bocca e una innata modestia che gli impediva di riconoscere le emozioni che dispensava. 
Le storie su di lui erano tante: che era un ex-calciatore, che fosse del rione San Cristoforo, covo di amici e di donne dagli occhi di bragia, che vivesse mantenuto da una donna...nessuno di noi volle mai sapere davvero chi fosse o cosa facesse: era 'Arazio il tuffatore, leggenda della scogliera, pelle di serpente e sorriso costante. 
Per quanto ne sappia, e' ancora li' che si spalma di nivea ed insegna ai ragazzini come non farsi male nel passaggio fra la roccia, il cielo e il mare.