Sunday 17 October 2010

On a bus

Allora. Dal Kenia dovevo anche andare in Uganda - come parte delle responsabilita' che mi hanno affibbiato c'e' anche di visitare i posti dove l'organizzazione per cui lavoro ha programmi per crescere le capacita' locali di occuparsi dei casi di cui dicevo sotto. Avrei potuto prendere un aereo, ma e' da tanto che volevo vedere la Rift Valley in Kenia, e quale modo migliore di vederla che non attraversarla da est a ovest?
Naturalmente avrei dovuto immaginare che non sarebbe stata una passeggiata, ma col senno di poi...
L'autobus e' una corriera di linea, ditta 'Akamba'. Nairobi - Kampala in 12 ore. E' cominciata male: arrivati alla stazione delle corriere di Nairobi scopriamo che i nostri posti (siamo cinque: quattro colleghi dell'ufficio in Uganda, e io), gia' pagati e prenotati, sono stati venduti ad altri perche' 'non abbiamo riconfermato'. Una delle colleghe, Alice (alta, magra, nerissima, capelli a treccine, dita affusolate e unghie rosse) storce le braccia figurativamente al funzionario della biglietteria, e dopo un po' riesce a far salire sul bus la collega che non sta molto bene. Per noi, il prossimo autobus, dopo un'ora.
Ad aspettare con noi un folto gruppo di donne Ugandesi, reduci da una conferenza di movimenti di donne africane a Nairobi. Non mi sono ancora abituato ai tratti somatici. Quando ero in Etiopia, anni fa, la gente era un po' piu' scura di noi, ma non molto, e i loro tratti erano indoeuropei: nasi e labbra sottili, facce che avrebbero potuto essere europee. Qui invece sono nel bel mezzo delle varie etnie Bantu: nere, lucide, e spesso grandi e grosse. Devo dire che, anche se culturalmente affascinanti, come femmine non mi attirano proprio. Piedi come pale...
Alla fine arriva la corriera, si caricano i bagagli, e si parte. Come sempre mi succede in aereo, mi addormento quasi istantaneamente. Il sedile e' comodo, e il conductor - un gentiluomo locale con un berretto a colori e un sorriso smagliante - mi sveglia prima ancora di uscire dalla citta' per timbrare il biglietto. Mi riaddormento subito. Mi sveglia il cambiamento del ritmo del motore, non molto dopo. Siamo fuori citta', e la strada ha raggiunto il limite occidentale della cresta su cui sorge la citta'. Apro gli occhi, e la prima cosa che vedo e' una valle immensa, il fondovalle piatto e giallo, il lato opposto della valle nascosto dalle nubi e dalla distanza. Fra me e me mi esce dalle labbra un 'My God'. Nel mezzo della valle un vulcano nero, cratere rotondo perfettamente visibile da sopra (il lato della valle su cui scorre la strada e' altissimo). Scopriro' dopo che questo vulcano e' piu' o meno grande quanto il Vesuvio, eppure non solo si vede tutto, ma appare anche piccolo in mezzo alla piatta immensita' della valle. Appoggio il naso al finestrino e guardo fortemente, per imprimermela nella memoria. Attorno a me molti dei passeggeri dormono, per essi questa e' routine.
Il bus va veloce, scendendo il lato della valle. Dopo quattro ore siamo a Nakuru. Sosta di cinque minuti per corse al cesso e rifornimenti di acqua e viveri. Il cesso e' normalmente sporco e puzzolente, ma tanto io in piedi devo stare...quando esco dal cubicolo scopro con orrore che le donne della'autobus hanno invaso anche la parte degli uomini, per non dover fare a lungo la fila dalla loro parte. Cose mai viste...compro acqua, biscotti e sigarette, e si riparte. Qui, a differenza di Nairobi, fa caldo. Il sole picchia ed e' con un sospiro generale di soddisfazione che la vettura si rimette per strada. La strada, A104, corre verso nordovest a fondovalle, poi si biforca e noi prendiamo la B1 a sinistra, salendo e scendendo sulle colline della foresta di Mau - conifere e altri sempreverdi, bello spettacolo che sfugge ai due lati della strada. La valle (perche' le colline sorgono nel mezzo della valle) e' abitata, e lungo la strada cio' e' perfettamente chiaro: villaggi frequenti, stradine secondarie, campi coltivati a mais, siepi a dividere proprieta'. Essendo sabato, un sacco di gente in giro. E le scuole, e le chiese. Ce ne sono letteralmente centinaia lungo la strada. Strutturalmente nessuna di esse e' gran che - edifici ad un piano col tetto di lamiera, bassi ed accucciati fra gli alberi, ma grandi cartelli dipinti a mano lungo la strada ne indicano il nome, l'appartenenza - moltissime chiese pentecostali, protestanti di vario genere, indipendenti, testimoni di geova, assemblee di dio, ed anche cattoliche. Ovviamente c'e' da scegliere, e mi rendo conto di quanto siano religiosi queste genti. Secoli di missionari hanno lasciato il segno. Le scuole pure: private nella stragrande maggioranza, sia primarie che secondarie, coi nomi delle localita' che servono e il motto - sempre - dipinto sotto il nome. 'Studiare per Eccellere' 'L'Istruzione e' la Chiave del Futuro' eccetera eccetera.
La strada continua lungo il margine del Mau. La corriera e' rumorosissima: il cambio gratta, i vetri vibrano, e le donne ciarlano a voce altissima fra di loro - in inglese, coinvolgendo quindi tutto il resto dei passeggeri. Sulle colline attorno a Kericho, per almeno venti chilometri, su entrambi i lati della strada, attraversiamo le piantagioni di te' della Unilever. Interi villaggi sono compresi nella tenuta, e i cespugli di camellia sinensis, bassi, fitti, e attaccati l'uno all'altro coprono chilometri e chilometri di una coperta verde. Quest'immensita' verde e' divisa da stradine regolari, case dei lavoratori, scuole, e chiese - tutte circondate dalla piantagione. I raccoglitori, uomini e donne, si muovono lentamente fra i cespugli, cesta sulle spalle, raccogliendo le foglioline tenere dalle cime delle piante. La cosa sembra non finire mai. Cioe', ho visto piantagioni di te' altrove, ma questa e' una monocultura su scala colossale. E la maggior parte serve al mercato domestico: keniani amano il loro te' - latte caldo e sacchetto di te' dentro. Acqua? Naaah.
Altra sosta, questa volta per far scendere qualcuno che si e' sentito male per le vibrazioni e gli scossoni. Mal di mare...nessun altro scende: il conductor tiene fieramente il corridoio e minaccia di ordinare all'autista di ripartire se qualcuno si azzarda a scendere. Le donne sull'autobus lo prendono in giro allegramente, e il buon uomo, sapendo di non poter vincere, si ritira in buon ordine. Fuori dal bus i locali vendono mais arrosto, pacchi di te, bibite, frutta ed altri conforti. Il commercio avviene attraverso i finestrini, con grande sventolio di denaro e vesti colorate. Si riparte presto, di nuovo verso occidente. La strada scende dalle pendici del Mau e fila verso Kisumu, ultima citta' prima del confine. L'autista mette spesso due ruote fuori dall'asfalto per sorpassare, o per fare passare altri veicoli in senso opposto. Questo non fa bene al veicolo, ed infatti una ruota scoppia con un gran botto. Non vi dico le donne a bordo: dai gridolini alle urla, mani al viso, al petto, occhi sgranati, altri urletti. Ad alta voce dico 'gomma!' e la scena di panico si calma - con notevole imbarazzo delle signore, trovatesi ad essere tranquillizate da uno straniero, e uomo per giunta...

Thursday 14 October 2010

Back to Africa. Tredici anni dopo.

Kitui e' una cittadina quasi dispersa fra le ondulazioni del terreno - rosso e arido, acacie e boscaglia secca dal sole - che scende dalla Rift Valley verso l'oceano Indiano. Non e' sulla strada principale Nairobi - Mombasa, e non e' nemmeno negli itinerari turistici del Kenia. Un posto senza particolari attrazioni, ma capoluogo del distretto delle genti Kamba, e sede di diocesi. Proprio la diocesi e' il motivo per cui sono qui. Non che sia diventato improvvisamente chiesastrico, intendiamoci. Gli e' che in Africa la chiesa e' spesso l'unica istituzione la quale fa cose che quasi nessun altro fa.
Nel caso specifico, nascosta in un angolo della scuola intitolata a San Michele, di proprieta' del vescovo, e frequentata da ragazzi del luogo (pantaloni o gonna grigia, camicia bianca, pullover blu), c'e' una scuola per sordi. E nascosta in un angolo di quest'ultima c'e' una classe per bambini sordi e ciechi. Non sono tanti - per fortuna. Solo una dozzina, dai quattro ai sedici anni. Bambini e bambine trovati nei villaggi e nelle campagne del Kenia orientale, entro un raggio di un giorno di viaggio da qui. Quando li trovano sono spesso allo stato semiferale, incapaci di comunicare con la loro famiglia, abbandonati a se stessi, incapaci a cavarsela da soli nelle cose piu' elementari - come andare al cesso per esempio - quindi sporchi, spesso affamati, vestiti di stracci, una vergogna per i loro genitori e per il loro villaggio. O cosi' vengono considerati. E quindi li tengono nascosti, in fondo al cortile, dietro una tenda, lontano dagli occhi e dal cuore.
C'e' gente - maestri specializzati - i quali vanno in giro a carcarli, questi bambini. Quando li trovano convincono i loro genitori a portarli qui a Kitui, e ad affidarli alla scuola. Per questi bambini la scuola e' un collegio, ovvero vivono a tempo pieno. I loro genitori vengono a prenderli solo per le vacanze, e poi li riportano.

Non che questa gente potrebbe permetterselo, di mettere questi figli in una scuola speciale a tempo pieno. Parlo di contadini, braccianti, piccoli commercianti locali con un banchetto di legno lungo la strada, spesso con famiglie numerose, altri figli da mantenere e mandare a scuola, e una profonda vergogna, nascosta, di avere messo al mondo un figlio danneggiato, con il quale non possono parlare, ne' a voce ne' a gesti. Possono solo toccarli, ma ho imparato oggi che il tocco da solo - non istruito, non formato, come linguaggio non basta.

Un po' di sfortuna, un po' di fortuna, il cinese dentro KT oggi pensava. La scuola si prende questi bambini ciechi e sordi, e non si fa pagare niente. Ci pensano benefattori locali o internazionali a questo. Come la ONG con cui sono ora. Naturalmente metterli a scuola non basta. Occorrono insegnanti specializzati - e ci sono, il governo del Kenya ha una scuola di formazione per insegnanti di questo tipo. Ne occorrono tanti - l'ideale sarebbe 1 a 1, ma anche cinque maestri per dodici bambini funziona, come ho visto oggi.

Non sapevo esattamente cosa aspettarmi, ma non e' stato terribile come temevo. Certo, si muovono a scatti, o rimangono fermi, o fanno movimenti improvvisi, i visi distorti, gli occhi velati, suoni gutturali - non hanno mai imparato a sentire, quindi nemmeno a parlare. I maestri mi hanno impressionato. Li toccano in continuazione: mani, braccia, teste, spalle. Li abbracciano, li prendono in braccio, per mano. Gli parlano, gli sorridono, anche se per i bambini essi - i maestri - sono solo forme da toccare con le mai, e odori. Fanno sentir loro che non sono soli.

La prima cosa che gli insegnano e' ad andare in bagno. Ovviamente. Non che sia facile, credo, ma questi dodici hanno imparato tutti. Alcuni di loro hanno un residuo di vista, o di udito. Non tutti. Con pazienza, imposizione delle mani, e tecniche d'insegnamento specializzate, piano piano questi bambini diventano cio' che dovrebbero essere - bambini. Alcuni di essi verranno riabilitati del tutto - magari con tecniche chirurgiche agli occhi o alle orecchie. Altri, la maggior parte, vivranno una vita diversa, e limitata dal loro sensorium imperfetto, ma pur sempre piena di emozioni e sentimenti. Come tutti.

Oggi c'erano anche alcuni dei genitori. Due madri, un padre. Venuti a parlare con noi, a raccontarci come l'aiuto che diamo a questa e ad altre scuole gli abbia cambiato la vita. Questo si che mi ha impressionato: una madre, quando le e' stato chiesto come l'opportunita' di avere sua figlia in questa scuola abbia cambiato il suo rapporto con la bambina, ha parlato a lungo. Ha detto di come prima fosse piena di vergogna per questa figlia. Di come la tenesse nascosta dai vicini. Di come la trascurasse in favore degli altri suoi figli - non per avarizia di sentimenti, chiaramente, ma semplicemente perche' non poteva comunicarli o capire quelli di lei. Serena, seduta con noi, kanga colorato attorno ai capelli, ci ha detto di come la scuola - i maestri - le abbiano insegnato i rudimenti di comunicazione tattile - mano su mano, o mano sulla schiena. Di come abbia imparato a capire cosa significhino i gesti e i suoni della figlia. Di come la maestra abbia accompagnato la bambina al villaggio, e dimostrato alla famiglia e ai vicini come comunicare, e spiegato a lungo quali siano i problemi di sviluppo e di cognizione, e come affrontarli. Ma sopratutto, ha detto questa madre, sguardo calmo, testa eretta, come abbia imparato - dopo anni - ad amare sua figlia.

Wednesday 18 August 2010

Al mare. Sort of.

Per la prima volta in tutti gli anni che abbiamo vissuto in Albione, siamo andati al mare quest'anno. In Cornovaglia. Of course ha piovuto tutti i giorni. Ma dato che nel Ducato piove sempre, e tutti lo sanno, siamo andati preparati. Tenda tedesca, non una goccia d'acqua tranne quella che portavamo dentro noi. Sacchiletto, giacche a vento, fornelletto a gas (per fare il caffe' la mattina e il te' la sera), parapioggia cinese (mio, questo) piu' o meno completano l'equipaggiamento. Le figlie di KT, le quali hanno in passato avuto una sola esperienza di campeggio, molto lontano da qui, hanno aspettato la vacanza con trepidazione, ed erano talmente entusiaste all'idea che un giorno - prima di andare - mi hanno presentato quattro rotoli di spugna spessi 2 centimetri come materassi da tenda. Dopo essere inorridito sono andato a comprare quattro materassini gonfiabili, che naturalmente si sono rivelati vincenti. Una o due notti per terra si, otto no di certo. Il chilometraggio si farebbe sentire.

Ma divago. La Cornovaglia e' carinissima e molto piccola - il piedino dell' Inghilterra, quello rivolto verso l'America. A sud, l'Atlantico, a nord il mare d'Irlanda. Piove sempre ed e' verdissima, punteggiata da villaggi minerari, chiese di tutte le sette possibili ed immaginabili (un bel po' di coloro che si rifiutarono di fare il Giuramento di Supremazia sotto Elisabetta I e successori finirono quaggiu', dove si costruirono le loro chiese di pietra - come le case - in tutti gli angoli, sia nei paesi, che perse fra le colline). Il Ducato (il Duca e' Carlo) e' corollato da porticcioli dove ancora pescano, anche se non contrabbandano o pirateggiano piu'. Anche le miniere di stagno, molte delle quali risalenti a quando i romani comandavano, sono ormai tutte chiuse. Ma niente paura! La campagna e' interamente coltivata, ogni casa e' un bed&breakfast, e una buona parte degli eccentrici e degli artisti e' venuta a rifugiarsi quaggiu'. Molti si sono aperti un museo personale - quello dei trenini modello e' particolarmente bello, quello sui naufragi e' bellissimo, e quello sulla stregoneria e' piaciuto a figlia numero 1. Io non l'ho visto, sono rimasto fuori perche' era spuntato il sole. O un posto dove mangiare, o una galleria d'arte. Ed alcuni, visionari, si sono inventati cose come il progetto Eden ('eden project') - come educare alla conservazione del globo in larga scala. In un giardino con serre geodetiche giganti dentro una ex-cava - cosa alla quale gli inglesi, notoriamente pazzi per l'idea di giardino con annessi e connessi culturali, si sono subito appassionati: una folla.

Comunque, una mattina che non pioveva e c'era un bel sole siamo andati al mare. Per la prima volta da quando sono arrivato qui (that would be 1998 madam) sono andato al mare in Inghilterra. Con la famiglia. La mappa 1:50.000 e' perfetta per fare le strade B ed evitare le code ciclopiche di tutti i turisti che si spostano su e giu' in auto, camper e roulottes. Le valli che corrono da sud a nord fra le due coste sono coperti da foreste alte abbastanza da trasformare le strade in gallerie verdi e buie. Abbiamo trovato una spiaggia sulla costa nord, rientrata abbastanza fra due lati di scogliere per essere abbastanza protetta dal vento. La prima cosa strana e' stato il chiosco vicino al parcheggio (parcheggio d'erba verde in agosto): affittavano schermi antivento (un nastro di tessuto 1 metro per 3 metri con paletti per piantarlo sulla sabbia), tavole da surf si quelle corte, e mute da bagno. Non un ombrellone in vista...

Scendiamo, e' breve, c'e' ancora poca gente. Ovviamente una spiaggia per famiglie. Il mare e' lontanissimo, siamo quattro ore in ritardo sull'alta marea. Ma tanto io non me lo devo fare, il bagno.
E comunque, mentre le ragazze scompaiono tutte verso il mare - lontanissimo, sicuramente gelato - io mi sdraio, e dopo una mezz'oretta mi tolgo scarpe e calze. Ho il libro, leggo. Continua ad arrivare gente. Il rumore di mazzuoli sui paletti dei teli antivento e' continuo - sembrano i martelli pneumatici ad Hong Kong. Quando alzo la testa mi accorgo di essere circondato su tre lati da recinti rotondi di antivento piantati uno attaccato all'altro a formare un cerchio, dove gli inglesi si sistemano subito a prendere il sole - proprio come nel loro giardino, a casa. Privacy in spiaggia. Non un ombrellone in vista, eppure c'e' il sole.

La cosa mi sembra talmente strana che mi siedo dritto e mi guardo in giro per capire meglio questo fenomeno. e' come in spiaggia in Italia: famiglie, gente che va e viene dal mare (in muta da bagno pero': roba spessa e ovviamente non disegnata per camminare fino al mare...). Ma gli inglesi si sono tutti ricreati la privacy del loro giardino, e vanno al mare cosi'.

Un ragazzo chiede alla madre "sono gia' arrosato?"

Friday 2 April 2010

Domani finiro' il mio cinquantesimo anno di vita. Il che mi ricorda il giorno prima di compierne diciotto. Ecco com'ero...

Domani avro' diciotto anni e sono insoddisfatto come solo un diciassettenne brufoloso e fondamentalmente vergine puo' esserlo. Aprile e' gia' primavera qui nel sud, l'aria di sera e' tiepida. Cosa faro'? Non avro' mai piu' diciotto anni. Da domani posso guidare votare e firmarmi le giustificazioni da solo - per soli tre mesi, ma e' una soddisfazione. Cosa faccio? Seduto sotto i
ficus ciclopici di piazza Santa Maria di Gesu' guardo pezzi di cielo, le auto che passano e la gente che entra ed esce dalla pasticceria Privitera. All'altro capo della piazza via Cibele sale verso nord, fra i palazzi a destra e i Salesiani a sinistra, una fetta dello stesso cielo nel mezzo, e sotto in fondo, dove la prospettiva si perde, una macchia bianca: la neve intorno al cratere centrale. Sopra, un pennacchio di fumo piegato verso oriente, come sempre.
Mi torna in mente una frase letta su un libro sugli indiani d'America, un rito di passaggio: "Sali sulla cima di una montagna e piangendo aspetta una visione". Che stupidaggine sublime. Ma fra poche ore avro' diciotto anni, e niente mi sembra piu' adatto all'occasione. Si. Faro' cosi'. Anzi, lo faccio subito.
Vado a casa, riempio uno zainetto, prendo la corriera fino al Rifugio Sapienza. In due ore sono li'. E da li' salgo a piedi, incrociando turisti diurni che ridiscendono mentre il sole tocca l'orizzonte ad ovest. Dietro di me e molto piu' in basso la citta' e la pianura sono gia' macchie scure costellate di briciole di luce. Sopra, il cono del cratere e' grigio e rosa, ancora illuminato dagli ultimi raggi del sole. La salita e' facile ma lunga, il pendio dolce.
Quando arrivo sull'altipiano a quota 2900 e' notte. Mi fermo qui. Al cratere - il quale si erge come un mostro piegato su se' stesso e mezzo addormentato al centro dell'altopiano - ci saliro' domani. Stendo il saccoletto in un angolo della veranda del rifugio ancora chiuso, fuori stagione, al riparo dal vento, mi siedo come un indiano (penso), e rimango li' a guardare in basso le luci di meta' della Sicilia che svaniscono lontane.
Passo la notte cosi', pensando alla mia vita che sembrava non dovesse arrivare mai a diciotto anni e ora improvvisamente li ha trovati. Penso a quando avro' quarant'anni, nel 2000. Penso alla ragazza che mi piace in quel momento, capelli neri e lunghi. Penso a tutto tranne che a cose importanti o che possano garantirmi una visione indiana. Le stelle riflettono le luci in basso, ma sono molte di piu'. Meta' del panorama e' vuoto, nero, come il nulla: il mare Ionio inghiottito da se stesso, la luce fioca di qualche paranza lontanissima galleggia nel vuoto. E' gia' domani, sono gia' adulto. Sono uguale a prima. Sono sempre uguale a me stesso. Forse non e' una visione, ma a questo punto della mia vita e' gia' abbastanza per qualificarsi come rivelazione.
Sotto di me l'Etna brontola in toni bassi, sento solo le vibrazioni nella pietra su cui sono seduto. Solo come mai prima, guardo l'orizzonte ad oriente che ancora non c'e'. Mi chiedo cosa ci sia per me in quella direzione. Con un sospiro che mi ricordo anche se forse non ci fu, mi dico che un giorno ci andro'.
Quando fa luce salgo al cratere, giro intorno al fumo e alla puzza di zolfo, guardo brevemente nell'abisso ma non mi fermo. Continuo verso nord e ridiscendo. Ho un esame di maturita' da fare. E un sacco di posti dove andare.