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Tuesday, 8 October 2013

Coffee in Kibuye

I did not think I was going to find any decent coffee in Kibuye and I didn't. No surprises there: all coffee-producing countries in the region grow coffee as a cash crop - for sale - not for consumption. To find people who grow and drink coffee one has to go to Ethiopia. But then, coffee was invented there - there still is a district called Caffa and anyone who's been invited to a home coffee ceremony would know what coffee means for the Ethiopians.

No Ethiopians in Kibuye, so no coffee. I suppose I could have gone to the posh resort north of town for a cuppa, but I was driving the Corolla, I was only popping in town for five minutes, and I did not want to break the car on the horrible road to the resort. Besides, posh or not, they still make you wait one hour for coffee, so I decided not to. Instead I stopped at a place in the centre of town, where local and transient business people go for lunch. Of course it is a buffet.

The place is really an underground car park under a building, full of plastic chairs and tables. The buffet is the standard line-up: five kinds of carbohydrates (matoke, ugali, rice, chapatti and pasta), a pot of boiled meat and some sort of salad - largely made of cabbage. Yuck.

So I ignore the food - I have a couple of oranges and a few biscuits with me in the car - and ask for coffee. Even nescafe' would be OK after the drive from Kigali up and down the mountains to Kibuye. The young woman tells me there is no hot water left, they can't make coffee. I sigh and order a coke instead.

While I drink, stretch my legs under the table and watch the local fauna, the young woman comes back with a small thermos flask, the nescafe' tin, sugar and cup.
- I have hot water for coffee.
I am delighted, I thank her, and I proceed to brew a plastic coffee. So I pour the coffee granules and the sugar in the cup, open the flask and pour just a few drops into the mix so I can do a bit of whisking with the spoon, then open again the flask and pour the rest of the water.
I now have a cup of coffee, full and steaming. I am so happy.
I wait a bit for it to cool down, then I bring it to my lips...and I smell boiled meat.
Oh no. I open the flask again and sniff the water. Yes they did.

The young woman, eager to please the customer, finding herself without hot water, went into the kitchen where the cauldron with the boiling beef is, and filled the flask with it, for my coffee. What does she know about coffee? Boiling water is boiling water, never mind the pieces of beef in it. I taste the results - the beef-flavoured nescafe' - and I can't rightly say if it is better than normal nescafe' or not. I leave it on the table, pay, thank everyone and leave.

The drive back to Kigali is great fun on the empty roads of Sunday afternoon.

Sunday, 28 April 2013

Trasloco. Da Kigali a Kigali via Sidney...

E cosi, dopo sei settimane dalle dimissioni, e' arrivato il momento di lasciare questa casa/ufficio e di traslocare in un'altra casa/ufficio simile, quella dei miei nuovi datori di lavoro. Solo che questa ancora non c'e'. Quindi in albergo per qualche giorno, il vecchio Chez Lando, dove abitai l'anno scorso per qualche tempo, quando ero appena arrivato.

Certo che a posticipare sono bravissimo. Sto facendo le valige da ieri ma mi distraggo facilmente e c'e' ancora meta' della mia roba sul letto. Stanotte ho spostato tutto da un lato e ho dormito sulla meta' libera.

Devo pianificarle, queste valige. Prima due settimane di albergo, sia qui che a Gisenyi, sul lago Kivu, ad un tiro di sasso da Goma nel Congo. Giseny e' un posto sonnacchioso con qualche migliaio di abitanti all'ombra dei vulcani, mentre al di la' del confine Goma e' uno sprawl con un milione di persone e senza legge.

Il mese prossimo questi nuovi datori di lavoro mi vogliono per una decina di giorni in Kenia. Una riunione strategica interna all'organizzazione per discutere e definire la strategia contro il tracoma nei vari paesi in cui hanno progetti. 
Ci saranno Keniani, Etiopici, Ugandesi, Cinesi, Indiani, Vietnamiti e non so di dove altro, e naturalmente un gruppo nutrito di Australiani, visto che questa organizzazione per cui ora lavoro (in effetti da domani) e' basata a Sidney.

Chiaramente la riunione invece di farla in citta' hanno deciso di farla in qualche posto polveroso di provincia, sperduto nel nordovest del paese. Ci si arriva con un voletto interno fino ad una delle piste d'atterraggio sulla frontiera con il Sudan del Sud, quelle construite e mantenute per anni dalle Nazioni Unite per le operazioni nel Giuba e dintorni. Inutile dire che la prospettiva di rimanere bloccati per una settimana in qualche albergo di frontiera con le stesse trenta persone, forse qualche bar di quelli che hanno in quel paese dove il bancone del bar, il barista e le bottiglie sono completamente circondati da sbarre di ferro tipo galera e occorre fare la fila allo sportello...

Sopravviveremo.

Dopodiche' diventera' interessante: andro' a Londra per qualche giorno, poi in Sicilia a vedere gli amici per qualche altro giorno, e prima che me ne accorga il tempo sara' passato e sara' ora di andare in Australia a visitare questa organizzazione e imparare come funziona. Insomma, prima di tornare in Ruanda sara' la fine di giugno. L'idea di 30 ore di volo fino a Sidney non mi attira molto, ma sara' carino essere di nuovo in giro per qualche tempo. Sono rimasto bloccato in questo paese, carino ma backwater, per troppo tempo.

Quando finisco questa valigia, va'

Wednesday, 20 March 2013

Again

E' tutto il pomeriggio che provo a scrivere una lettera di dimissioni, e mi sta venendo difficile, essendo lettera formale, nascondere efficacemente la mia contentezza per non dover avere piu' a che fare con il mio capo. Questo tipo, peraltro simpatico, olandese, non capisce molto di come si lavori da queste parti, di cosa si fa e cosa non si fa, di come fare e sopratutto come non fare. Fulgido esempio di presuntuosa ignorantaggine, come diceva il Mirone, e' da un anno che tenta di dirmi come fare le cose che KT sta facendo qui. Ovviamente e' da altrettanto che KT lo ignora, visto che sara' anche il mio capo, ma non ne capisce. Quindi addio interminabili discussioni settimanali su skype per spiegargli tutto quello che sto facendo, persino i dettagli. Mai l'ho avuto un capo cosi', ed ora e' finita

Quando finisco questa lettera, va'. Gliela faro' trovare domattina nell'inbox. Nel pomeriggio ci sara' la riunione del consiglio di amministrazione, a Londra, alla quale dovro' skypare anche io. Ci sara' da rimanere seri...

Thursday, 9 August 2012

Ruandistan

Devo confessare che mai avrei pensato di finire in Ruanda. Non e' che sia passato moltissimo tempo (o almeno a me non sembra) da quando sul forum mi apostrofavano cinese e scrivevo storie da Shanghai, da Kashgar e dal Dovekazzostan, come memorabilmente disse una volta il Pinguino. Pero' quattro anni sono gia' passati, durante i quali sono successe tante cose, alcune delle quali sorprendentemente belle, di cui non vi diro' niente perche' non sono fatti vostri. Ruanda quindi.

Io di questo posto non sapevo quasi niente. Ero in Abissinia quando nel 1994 gli Hutu un bel giorno decisero di ammazzare i Tutsi i quali li avevano sempre comandati e passarono all'azione. Fu un massacro - almeno un milione di morti per strada e nelle case. Ci vollero quattro mesi perche' la comunita' internazionale facesse qualcosa per fermarli, ed ancora oggi se ne vedono le conseguenze. Il paese e' tranquillissimo, pacifico e molto ordinato. Pare d'essere in Veneto. Non scherzo: l'intera popolazione va in chiesa il sabato o la domenica, a secondo a che setta cristiana appartengono. Questa cosa, venendo dalla laica Cina e dalla ancora piu' laica Inghilterra (dove la religione e' una cosa che si fa la domenica in alternativa al giardinaggio o allo stadio) mi ha scioccato: il 100% delle persone che ho incontrato e conosciuto qui in Ruanda vanno in chiesa, credono in dio e non dubitano minimamente. I pastori sono star della radio e della televisione. Incredibile. Ma d'altronde questa gente deve fare qualcosa per sopportare e sopravvivere alla psicosi collettiva conseguenza dei fatti del 1994 - ufficialmente genocidio, e che essi chiamano 'jenoside'. L'intero paese ha una gigantesca scimmia sulla spalla: la coscienza di essersi ammazzati a vicenda in numeri biblici. Perche' poi, quando i Tutsi tornarono dopo essere scappati in Uganda ed in Congo, tornarono armati e si vendicarono anzicheno' su tutti gli Hutu che essi reputarono responsabili del massacro. Vi basti sapere questo: oggi, a distanza di quasi venti anni, non ci sono ne' cani ne' gatti in questo paese. Non scherzo. Da gennaio ad ora ho visto due (2) gatti e nessun cane. Questo perche', durante i mesi del sangue, quando tutti scapparono o furono ammazzati, i cani e i gatti diventarono grassi sui cadaveri. Quando fu ristabilito un poco di ordine, e si resero conto di quanto fossero pasciuti e lucidi gli animali domestici, dopo essere stati abbandonati per mesi, li ammazzarono tutti e non li sostituirono piu'. Un paese senza cani ne' gatti.
Well, non ci sono cacche per le strade. Le quali sono molto pulite, fra l'altro. Questa cittadina di collina che e' la capitale del Ruanda, Kigali, totale forse ottocentomila anime, e' pulitissima, ha bei parchi dove e' vietato camminare sull'erba (e ti multano se lo fai), e ha abolito l'uso delle buste di plastica nel 2008. Nei negozi ti danno le buste di carta marrone - deja vu a quando ero ragazzino in Italia.

Ops. E' entrato qualcuno. Poi continuo...  
 

Friday, 16 March 2012

Chiamatemi Mike Papa.

Quando ero in Etiopia, dove ho vissuto in molte case visti gli anni che ci sono stato, c'era sempre un omino che stava nel casotto vicino al cancello, e si occupava di aprire e chiudere, di annaffiare il giardino, e di fare la guardia di notte. Zabagná si chiama la guardia in amarico. Anche se l'omino si chiamava variamente Asfau, Bekkelé, Tìmrat. Nel casotto aveva la branda e la radio, ed era sempre avvolto nel suo sciàmma bianco di cotone, abito tradizionale dei montanari etiopi. Di notte sopra lo sciàmma si gettava il gabi, un largo tessuto di cotone bianco con un piccolo ricamo colorato all'orlo, ripiegato in quattro strati (o anche otto), a mò di cappa: piegato a triangolo, passato sulle spalle e sulla testa, il lato lungo passato davanti al petto e gettato sulla spalla opposta. Non solo caldissimo, ma anche bello a vedersi. E utile: il gabi, una volta aperto serve anche da coperta, copriletto, tenda, tappetino per fare l'amore...lo so, il mio mi ha seguito fin da allora ed è ancora con me.

...e in tutti quegli anni non è mai capitato che ci sia stato bisogno dei servizi di guardia dello zabagnà. Contro i ladri dico. Mai entrato nessuno. Certo, c'erano anche i cani, sopratutto una figlia di Shelly, il canazzo bianco di cui dicevo prima. Questa era uguale a Snoopy dei Peanuts - bianca e nera, pelo lungo con frangia sugli occhi come il pastore dei cartoni animati, intelligentissima. Snoopy era la mia cane, ed è vissuta con me fino a quando sono rimasto in quel paese.
Dove sono ora invece, in Ruanda, è tutto molto diverso. Non è necessariamente un male. Visto che sono qua da poche settimane, dopo essere passato dall'hotel alla casa/ufficio che ho preso per conto della gente per cui lavoro, non ho pensato subito a prendere una guardia - che qui si chiama zabu - sopratutto perchè non c'era niente da rubare. La casa è grande ma è anche vuota. Solo qui in camera mia c'è il letto con zanzariera, un tavolo per il computer, una sedia, e il cestino (bello, comprato per strada) per la lavanderia. Di là, nella parte dedicata ad ufficio c'è una scrivania con sedia da ufficio, uno scaffale, e un mobiletto per tenere la stampante. Ancora poco, anche se più un là ci saranno altre cose. Sulla scrivania ci avevo messo il laptop nuovo dell'organizzazione che mi avevano dato prima di partire. Non che l'abbia usato molto: sono talmente abituato a quello mio che ho da sempre - questo, veterano della Cina - che l'altro l'ho usato poco e niente. Anche perchè è politica della compagnia di guardarti nel laptop a distanza - da Oxford addirittura - ed è scritto chiaro nella documentazione che nessuno deve presumere alcuna forma di privacy usando il computer di lavoro - ovviamente la gente passa troppo tempo su facebook...

Insomma, questo laptop era sulla scrivania l'altra notte. A circa un metro mezzo dalla finestra che dà sul giardino davanti casa, che avevo lasciata aperta, come sempre. Tanto ci sono sempre 25 gradi. Però...ci sono le sbarre di ferro a tutte le finestre, e la retina metallica per tenere gli insetti fuori. Come a tutte le finestre. Quindi io ero tranquillo a casa da solo.

Verso le tre del mattino un crash dall'altra stanza mi sveglia. Rumori. Mi alzo e vado a vedere. Appena entro di là vedo che in casa non c'è nessuno, ma fuori si. Qualcuno alla finestra con un lungo bastone di legno infilato fra le sbarre, la retina metallica tirata via. Alla fine del bastone (come risulterà dopo) c'è appesa una busta di plastica, e con una scopa maneggiata con l'altra mano il tipo ha spinto il laptop fino al bordo del tavolo e l'ha fatto cadere nella busta. Dopodiche' si è tirato il bastone fino alle sbarre, ha preso il laptop con le mani e l'ha fatto scivolare fra le sbarre. Qui è stato quando mi ha svegliato, perchè il mouse che era attaccato al computer, rimasto fuori dalla busta è caduto per terra andando in mille pezzi e svegliandomi.

Insomma, sono arrivato un attimo troppo tardi. Il tempo che mi sono reso conto e sono arrivato alla finestra il tipo era giá girato di spalle, bastone e scopa abbandonati, laptop stretto al petto, e stava correndo verso il muro di cinta per scavalcarlo e fuggire nel buio. L'ho intravisto da dietro, poco più di un'ombra. Troppo tardi.

L'indomani polizia, denuncia e così via. Scrivo al quartier generale dell'organizzazione per far loro avere la denuncia così che possano fare la trafila con l'assicurazione, e loro mi dicono di fare subito un contratto con una compagnia di vigilanza. OK.

Qui a Kigali ce n'è più di una. Ambasciate, ditte e privati vari hanno tutti il cartello appeso al cancello che avverte che la proprietà è guardata da questa o da quella ditta. Scrivo un'email a quella che mi piace di più - giudicando dal sito web - e quelli mi rispondono in dieci minuti. Dopo un'ora viene un rappresentante a vedere la proprietà e a farmi un preventivo. Discutiamo - offrono sorveglianza 24 ore al giorno in due turni di dodici ore ad un prezzo ragionevole. Accetto e lo stesso pomeriggio vado a firmare il contratto. La loro sede è vicina, fuori hanno un plotone di nuove guardie che fanno esercizi sotto gli ordini di un ex-sergente dell'esercito. Si presentano bene: scarponi lucidi, pantaloni rimboccati negli stivali, camicia blu, berretto con lo stemma. Manganello e radio. Niente armi da fuoco, solo la polizia può portarle. Mi mostrano la centrale operativa, mi danno istruzioni e numeri da chiamare. Firmo. Pagamento dopo il primo mese di servizio.

La sera stessa il supervisore di zona della compagnia arriva con la mia guardia. Si chiama Yannick. Si mette sull'attenti e mi fa un saluto da soldato. Riposo, riposo. Gli indico dove può stare sulla veranda fino a quando una garitta vicino al cancello sarà completata, gli faccio vedere le luci esterne e il cesso esterno che c'è dietro la casa. Tutti contenti. Il supervisore chiama la centrale operativa al telefonino e in Kyniarwanda blatera qualcosa sulla guardia ora operativa nella nuova locazione 'mike papa'. Capisco solo 'mike papa'. Lo guardo e gli chiedo: 'Mike papa sono io, vero?' Quello spalanca gli occhi, poi ride, e conferma. Lo saluto, e tanti saluti e sono.

Ora siamo tutti piú tranquilli. Il collega di Yannick è qui fuori che si guarda le luci di Kigali e mi sente battere sui tasti (le finestre sono sempre aperte, anche se ci sono le tende tirate), io scrivo, e la garitta è quasi pronta, la faranno blu, come le camicie dell'uniforme di KK Security.

Ma io ho una nostalgia dello zabagnà avvolto nel gabi...

Saturday, 10 March 2012

I biscotti atomici.

Una storia da Musungu, mi dicono.

Piu' che da musungu direi da ferengi. Cosi' chiamano i bianchi in Etiopia, ex Abissinia, ex Africa Orientale Italiana.
Ero li' nel 1993. Lavoravo per un'organizzazione di aiuti e sviluppo irlandese. Noi eravamo specializzati in assistenza medica agli ospedali e alle cliniche locali, ma lavoravamo anche con i bambini di strada, gli orfani, e ovviamente le emergenze - siccita', carestia eccetera.

Un giorno telefona l'ambasciata inglese e il tipo, con l'accento tremendamente britannico, come tutti quelli che lavorano per il Foreign Office, dice:
- Abbiamo ricevuto una consegna non piccola di biscotti a lunga conservazione, e li stiamo distribuendo alle varie NGO inglesi e irlandesi nel paese. Domani ve ne manderemo un carico

Io mi preoccupo subito. In inglese 'non piccola' vuol dire enorme. Ma prima di poter rispondere 'Ma veramente noi...'
- Thank you. - Click -

L'indomani mattina ero fuori dalla sede, e quando sono tornato mi ricordo che ho dovuto parcheggiare per strada perche' dentro lo spazio era occupato da un FIAT 682N3 - camion storico della presenza italiana nel paese nel dopoguerra (il che mi ricorda che nel 1980 ad Acireale lo usavano ancora per raccogliere le arance...)
Il camion era sovraccarichissimo di confezioni di biscotti da dieci chili, in latte verde militare racchiuse - quasi tutte - in una scatola esterna di cartone. I ragazzi locali dell'organizzazione erano indaffaratissimi a scaricare il camion - all'etiopica, cioe' due di loro erano sopra e facevano cadere le latte fra le braccia di quelli a terra, i quali le portavano in magazzino. Mi sono fermato a guardare un attimo prima di entrare in ufficio, e in quel momento uno dei ragazzi perde la presa, o gli scivola la latta, la quale finisce per terra con forza ed esplode letteralmente con un BANG!. Il coperchio della latta e' volato come un petardo, biscotti ovunque nel cortile. Non puo' essere. I biscotti non esplodono...

Allora guardiamo bene e scopriamo che le confezioni esterne di cartone hanno tutte stampata la scritta MoD - Ministry of Defense, e sotto c'e' stampigliata la data di produzione: 1959 e 1960. Biscotti vecchi come me all'epoca. Poi, sotto la lattina scopro anche che la confezione e' sotto pressione, riempita con gas inerte. Questo spiega l'esplosione, ma biscotti di 33 anni?

Vado dentro e telefono all'ambasciata. Voglio chieder loro, in inglese ovviamente 'Ma che minchia ci avete improsato?'
La tipa dall'altro lato del telefono e' apologetica. Spiega che sono una parte delle riserve alimentari che il Ministero della Difesa britannico aveva accumulato nei rifugi anti-atomici costruiti nei primi anni sessanta, quando ancora la guerra fredda era una cosa seria. I rifugi, costruiti per il governo, il Parlamento e le loro famiglie, erano rimasti intatti, mai usati e pieni di provviste ed equipaggiamento, in attesa di un inverno nucleare mai arrivato.

Quindi, nel 1993, dopo la caduta del Muro di Berlino, la caduta dell'Unione Sovietica e la fine della Guerra Fredda, il governo aveva decommissionato i rifugi antiatomici, svenduto l'arredamento e l'equipaggiamento, e donato i biscotti al Ministero per lo Sviluppo Internazionale, il quale penso' bene di mandarli in Africa. E in Etiopia ne arrivo' una nave intera - qualche quarantamila tonnellate.
Di biscotti.
Del 1960.
Che esplodono se maneggiati con noncuranza.
Dai rifugi antiatomici.

Li chiamammo subito, ovviamente, biscotti atomici. Atomic biscuit.

La cosa che mi preoccupava veramente era che Shelly, il canazzo bianco da guardia orbo da un'occhio (veterano di cento battaglie per l'osso) che viveva in quel cortile, di assaggiare i biscotti sparsi per terra dopo la prima lattina esplosa non ne voleva sapere assolutamente. E Shelly era un cane che si mangiava anche le pietre.

Quindi ne prendo una latta inesplosa e la porto all'Istituto Pasteur di Addis Abeba, dove richiedo un'esame chimico approfondito per stabilire se i biscotti siano commestibili e in ogni caso adatti all'alimentazione umana. Dopo un paio di giorni, coi biscotti bloccati in magazzino, l'Istituto risponde favorevolmente, e possiamo cominciare a distribuirli alle varie cliniche rurali, dove li useranno come alimentazione supplementare di emergenza per bambini e adulti malnutriti. Tutto e' bene quel che finisce bene, e c'e' un certo equilibrio che i biscotti fatti per la guerra alla fine siano serviti ad uno scopo di pace. Che poi dovevano essere nutritivi, pensati com'erano per Lords e Ministri nascosti sottoterra possibilmente per anni...

Comunque, visto che Shelly continuo' a storcere il naso ai biscotti atomici per tutto il tempo che ci mettemmo a liberarcene, presi consiglio da lui e non ne assaggiai mai nemmeno io.

Thursday, 27 January 2011

PUI

E quindi, a ottobre vi avevo lasciato sulla strada per Kampala, su un bus. La cosa fu tanto priva di eventi da indurmi a lasciarla a meta'. Ora che a Kampala ci sono di nuovo vale come continuazione. Non che ci sia molto da dire...dovrei occuparmi di strategie megagalattiche (o almeno cosi' dice la job description) e mi trovo ad insegnare come fare un budget con Excel - perche' ho scoperto che nel mio ufficio qui non lo sanno fare. Cioe', alcuni di essi non hanno mai provato ad impararlo - o forse non hanno mai avuto occasione. Li ho gettati in acqua direttamente - tutto il weekend a fare budget in Excel. Lavorare il weekend! Avresti dovuto vedere le loro facce. Mai successo credo. A Nairobi dicono che gli ugandesi siano pigri...

Dopo un sabato e una domenica dedicati a farlo assieme (il budget) su un laptop, ora vanno da soli. No, quelli che mi fanno incazzare sono coloro, a Londra, che negli ultimi anni hanno avuto la responsabilita' di questi colleghi. Senza controllare che fossero pronti hanno affidato loro - a questi ragazzi e ragazze di qui - un programma di tre anni, regionale, con soldi della commissione europea, e quindi con la mole di lavoro da dedicare a servire il finanziamento in tutti i suoi aspetti. E pagandoli pochissimo, anche per standard locali. Coincidenza interessante: l'ex CEO di questa organizzazione, la responsabile ultima dei casini che sto trovando, e' la stessa donna la quale, in quel del Natale 2002, divenne mio capo a Londra - altra organizzazione - e io, pieno di orrore all'idea, me ne scappai a lavorare in Cina. Forse qualcuno ricorda, anche se la storia non fu raccontata qui.

La padrona dell'albergo che ho trovato e' una signora molto simpatica, chiaramente la boss di tutto il personale e di suo marito anche. E' Ismailita, seguace dell' Aga Khan. Mi ha dato un appartamento in cima, dal lato della valle, con un grande balcone intorno. Ovviamente a me basta una camera - del bagno principale non so che farmene, basta quello in camera, e la cucina ha 2 frighi. Ho rubato la scrivania dal salotto, e ho spostato gli agganci della zanzariera. Sono a posto. E percio' la signora dell'albergo stasera mi chiede com'e' andata la giornata - che io mi collego dal business centre dell'albergo, e l'ufficio suo di lei e' di fronte. E' gentile, educata, materna quasi. Ma e' anche chiaramente una femmina alfa. Io per non sbagliare sono sempre polite con tutti, quindi ci troviamo congeniali. La ringrazio per avermi fatto sistemare una luce sul comodino, mi chiede come funziona l'internet - bene, qui in questo ufficio e basta...figurati se arriva al terzo piano. Groan.

18 Jan 2011 22:52 Kampala time dice il display in basso a destra. Dovrei andare a letto. Magari un sostegno, prima. Ah gia', non ve l'ho detto: ho trovato le canne in Uganda! Il tipo che mi e' venuto a prendere all'aeroporto, lo chaffeur dell'ufficio, mi ha indicato il palazzo presidenziale sulla collina che domina l'aeroporto. Giusto per fare conversazione ho detto "Ah bello. Conveniente per il presidente Museweni, ci potrebbe andare anche a piedi, all'aeroporto..." al che Jamil, serio "Si, anche di corsa ci potrebbe andare". Grande risata. Ma queste sono quisquiglie, pinzillacchere. Mai come il didietro di Lenin mostrato all'ambasciatore cinese...ma non divaghiamo.

L'ho fatto.

Era la fine della riunione alla scuola delle suore (ordine locale, fondato nel 1910). Avevamo parlato tutti in abbondanza, e c'era un accordo. Tutti contenti, e suor Immacolata mi fa "Please di' la preghiera per la fine della riunione". Ho pensato che un'occasione cosi' non mi sarebbe capitata piu'. Quindi mi sono alzato in piedi e ho detto: "Non sono molto bravo a parlare con Dio ma faro' del mio meglio". Silenzio. Trenta ugandesi in piedi attorno alla stanza. Quattro o cinque pinguini. Genitori, insegnanti, rappresentanti di altre organizzazioni che aiutano questa scuola (e nemmeno pochi: noi (UK), una ONG italiana, una koreana, e una olandese. Ma i rappresentanti tutti ugandesi. Dovrei precisare che questi ragazzi qui sono spaventosamente religiosi, tutti. Domenica mattina una setta battista si e' messa a cantare sotto la mia finestra dalle dieci alle due. Ci sono chiese ovunque. O l'ho gia' detto? E comunque ho tirato fuori dal cassetto la mia similitudine dell'albero, gia' usata con successo nel Turkestan Orientale. Alle genti agricole piace. E bla bla, la collaborazione e' come un albero, i frutti, il sole, l'acqua nella buona volonta' di tutti eccetera. Penosa, really. Poi, ispirato, allargo leggermente le braccia, alzo la testa e proclamo: "Che la benedizione del Signore e la Forza siano con Voi"
E tutti: "Amen!"

("May the blessing of the Lord and the Force Be With You")


Sunday, 17 October 2010

On a bus

Allora. Dal Kenia dovevo anche andare in Uganda - come parte delle responsabilita' che mi hanno affibbiato c'e' anche di visitare i posti dove l'organizzazione per cui lavoro ha programmi per crescere le capacita' locali di occuparsi dei casi di cui dicevo sotto. Avrei potuto prendere un aereo, ma e' da tanto che volevo vedere la Rift Valley in Kenia, e quale modo migliore di vederla che non attraversarla da est a ovest?
Naturalmente avrei dovuto immaginare che non sarebbe stata una passeggiata, ma col senno di poi...
L'autobus e' una corriera di linea, ditta 'Akamba'. Nairobi - Kampala in 12 ore. E' cominciata male: arrivati alla stazione delle corriere di Nairobi scopriamo che i nostri posti (siamo cinque: quattro colleghi dell'ufficio in Uganda, e io), gia' pagati e prenotati, sono stati venduti ad altri perche' 'non abbiamo riconfermato'. Una delle colleghe, Alice (alta, magra, nerissima, capelli a treccine, dita affusolate e unghie rosse) storce le braccia figurativamente al funzionario della biglietteria, e dopo un po' riesce a far salire sul bus la collega che non sta molto bene. Per noi, il prossimo autobus, dopo un'ora.
Ad aspettare con noi un folto gruppo di donne Ugandesi, reduci da una conferenza di movimenti di donne africane a Nairobi. Non mi sono ancora abituato ai tratti somatici. Quando ero in Etiopia, anni fa, la gente era un po' piu' scura di noi, ma non molto, e i loro tratti erano indoeuropei: nasi e labbra sottili, facce che avrebbero potuto essere europee. Qui invece sono nel bel mezzo delle varie etnie Bantu: nere, lucide, e spesso grandi e grosse. Devo dire che, anche se culturalmente affascinanti, come femmine non mi attirano proprio. Piedi come pale...
Alla fine arriva la corriera, si caricano i bagagli, e si parte. Come sempre mi succede in aereo, mi addormento quasi istantaneamente. Il sedile e' comodo, e il conductor - un gentiluomo locale con un berretto a colori e un sorriso smagliante - mi sveglia prima ancora di uscire dalla citta' per timbrare il biglietto. Mi riaddormento subito. Mi sveglia il cambiamento del ritmo del motore, non molto dopo. Siamo fuori citta', e la strada ha raggiunto il limite occidentale della cresta su cui sorge la citta'. Apro gli occhi, e la prima cosa che vedo e' una valle immensa, il fondovalle piatto e giallo, il lato opposto della valle nascosto dalle nubi e dalla distanza. Fra me e me mi esce dalle labbra un 'My God'. Nel mezzo della valle un vulcano nero, cratere rotondo perfettamente visibile da sopra (il lato della valle su cui scorre la strada e' altissimo). Scopriro' dopo che questo vulcano e' piu' o meno grande quanto il Vesuvio, eppure non solo si vede tutto, ma appare anche piccolo in mezzo alla piatta immensita' della valle. Appoggio il naso al finestrino e guardo fortemente, per imprimermela nella memoria. Attorno a me molti dei passeggeri dormono, per essi questa e' routine.
Il bus va veloce, scendendo il lato della valle. Dopo quattro ore siamo a Nakuru. Sosta di cinque minuti per corse al cesso e rifornimenti di acqua e viveri. Il cesso e' normalmente sporco e puzzolente, ma tanto io in piedi devo stare...quando esco dal cubicolo scopro con orrore che le donne della'autobus hanno invaso anche la parte degli uomini, per non dover fare a lungo la fila dalla loro parte. Cose mai viste...compro acqua, biscotti e sigarette, e si riparte. Qui, a differenza di Nairobi, fa caldo. Il sole picchia ed e' con un sospiro generale di soddisfazione che la vettura si rimette per strada. La strada, A104, corre verso nordovest a fondovalle, poi si biforca e noi prendiamo la B1 a sinistra, salendo e scendendo sulle colline della foresta di Mau - conifere e altri sempreverdi, bello spettacolo che sfugge ai due lati della strada. La valle (perche' le colline sorgono nel mezzo della valle) e' abitata, e lungo la strada cio' e' perfettamente chiaro: villaggi frequenti, stradine secondarie, campi coltivati a mais, siepi a dividere proprieta'. Essendo sabato, un sacco di gente in giro. E le scuole, e le chiese. Ce ne sono letteralmente centinaia lungo la strada. Strutturalmente nessuna di esse e' gran che - edifici ad un piano col tetto di lamiera, bassi ed accucciati fra gli alberi, ma grandi cartelli dipinti a mano lungo la strada ne indicano il nome, l'appartenenza - moltissime chiese pentecostali, protestanti di vario genere, indipendenti, testimoni di geova, assemblee di dio, ed anche cattoliche. Ovviamente c'e' da scegliere, e mi rendo conto di quanto siano religiosi queste genti. Secoli di missionari hanno lasciato il segno. Le scuole pure: private nella stragrande maggioranza, sia primarie che secondarie, coi nomi delle localita' che servono e il motto - sempre - dipinto sotto il nome. 'Studiare per Eccellere' 'L'Istruzione e' la Chiave del Futuro' eccetera eccetera.
La strada continua lungo il margine del Mau. La corriera e' rumorosissima: il cambio gratta, i vetri vibrano, e le donne ciarlano a voce altissima fra di loro - in inglese, coinvolgendo quindi tutto il resto dei passeggeri. Sulle colline attorno a Kericho, per almeno venti chilometri, su entrambi i lati della strada, attraversiamo le piantagioni di te' della Unilever. Interi villaggi sono compresi nella tenuta, e i cespugli di camellia sinensis, bassi, fitti, e attaccati l'uno all'altro coprono chilometri e chilometri di una coperta verde. Quest'immensita' verde e' divisa da stradine regolari, case dei lavoratori, scuole, e chiese - tutte circondate dalla piantagione. I raccoglitori, uomini e donne, si muovono lentamente fra i cespugli, cesta sulle spalle, raccogliendo le foglioline tenere dalle cime delle piante. La cosa sembra non finire mai. Cioe', ho visto piantagioni di te' altrove, ma questa e' una monocultura su scala colossale. E la maggior parte serve al mercato domestico: keniani amano il loro te' - latte caldo e sacchetto di te' dentro. Acqua? Naaah.
Altra sosta, questa volta per far scendere qualcuno che si e' sentito male per le vibrazioni e gli scossoni. Mal di mare...nessun altro scende: il conductor tiene fieramente il corridoio e minaccia di ordinare all'autista di ripartire se qualcuno si azzarda a scendere. Le donne sull'autobus lo prendono in giro allegramente, e il buon uomo, sapendo di non poter vincere, si ritira in buon ordine. Fuori dal bus i locali vendono mais arrosto, pacchi di te, bibite, frutta ed altri conforti. Il commercio avviene attraverso i finestrini, con grande sventolio di denaro e vesti colorate. Si riparte presto, di nuovo verso occidente. La strada scende dalle pendici del Mau e fila verso Kisumu, ultima citta' prima del confine. L'autista mette spesso due ruote fuori dall'asfalto per sorpassare, o per fare passare altri veicoli in senso opposto. Questo non fa bene al veicolo, ed infatti una ruota scoppia con un gran botto. Non vi dico le donne a bordo: dai gridolini alle urla, mani al viso, al petto, occhi sgranati, altri urletti. Ad alta voce dico 'gomma!' e la scena di panico si calma - con notevole imbarazzo delle signore, trovatesi ad essere tranquillizate da uno straniero, e uomo per giunta...

Thursday, 14 October 2010

Back to Africa. Tredici anni dopo.

Kitui e' una cittadina quasi dispersa fra le ondulazioni del terreno - rosso e arido, acacie e boscaglia secca dal sole - che scende dalla Rift Valley verso l'oceano Indiano. Non e' sulla strada principale Nairobi - Mombasa, e non e' nemmeno negli itinerari turistici del Kenia. Un posto senza particolari attrazioni, ma capoluogo del distretto delle genti Kamba, e sede di diocesi. Proprio la diocesi e' il motivo per cui sono qui. Non che sia diventato improvvisamente chiesastrico, intendiamoci. Gli e' che in Africa la chiesa e' spesso l'unica istituzione la quale fa cose che quasi nessun altro fa.
Nel caso specifico, nascosta in un angolo della scuola intitolata a San Michele, di proprieta' del vescovo, e frequentata da ragazzi del luogo (pantaloni o gonna grigia, camicia bianca, pullover blu), c'e' una scuola per sordi. E nascosta in un angolo di quest'ultima c'e' una classe per bambini sordi e ciechi. Non sono tanti - per fortuna. Solo una dozzina, dai quattro ai sedici anni. Bambini e bambine trovati nei villaggi e nelle campagne del Kenia orientale, entro un raggio di un giorno di viaggio da qui. Quando li trovano sono spesso allo stato semiferale, incapaci di comunicare con la loro famiglia, abbandonati a se stessi, incapaci a cavarsela da soli nelle cose piu' elementari - come andare al cesso per esempio - quindi sporchi, spesso affamati, vestiti di stracci, una vergogna per i loro genitori e per il loro villaggio. O cosi' vengono considerati. E quindi li tengono nascosti, in fondo al cortile, dietro una tenda, lontano dagli occhi e dal cuore.
C'e' gente - maestri specializzati - i quali vanno in giro a carcarli, questi bambini. Quando li trovano convincono i loro genitori a portarli qui a Kitui, e ad affidarli alla scuola. Per questi bambini la scuola e' un collegio, ovvero vivono a tempo pieno. I loro genitori vengono a prenderli solo per le vacanze, e poi li riportano.

Non che questa gente potrebbe permetterselo, di mettere questi figli in una scuola speciale a tempo pieno. Parlo di contadini, braccianti, piccoli commercianti locali con un banchetto di legno lungo la strada, spesso con famiglie numerose, altri figli da mantenere e mandare a scuola, e una profonda vergogna, nascosta, di avere messo al mondo un figlio danneggiato, con il quale non possono parlare, ne' a voce ne' a gesti. Possono solo toccarli, ma ho imparato oggi che il tocco da solo - non istruito, non formato, come linguaggio non basta.

Un po' di sfortuna, un po' di fortuna, il cinese dentro KT oggi pensava. La scuola si prende questi bambini ciechi e sordi, e non si fa pagare niente. Ci pensano benefattori locali o internazionali a questo. Come la ONG con cui sono ora. Naturalmente metterli a scuola non basta. Occorrono insegnanti specializzati - e ci sono, il governo del Kenya ha una scuola di formazione per insegnanti di questo tipo. Ne occorrono tanti - l'ideale sarebbe 1 a 1, ma anche cinque maestri per dodici bambini funziona, come ho visto oggi.

Non sapevo esattamente cosa aspettarmi, ma non e' stato terribile come temevo. Certo, si muovono a scatti, o rimangono fermi, o fanno movimenti improvvisi, i visi distorti, gli occhi velati, suoni gutturali - non hanno mai imparato a sentire, quindi nemmeno a parlare. I maestri mi hanno impressionato. Li toccano in continuazione: mani, braccia, teste, spalle. Li abbracciano, li prendono in braccio, per mano. Gli parlano, gli sorridono, anche se per i bambini essi - i maestri - sono solo forme da toccare con le mai, e odori. Fanno sentir loro che non sono soli.

La prima cosa che gli insegnano e' ad andare in bagno. Ovviamente. Non che sia facile, credo, ma questi dodici hanno imparato tutti. Alcuni di loro hanno un residuo di vista, o di udito. Non tutti. Con pazienza, imposizione delle mani, e tecniche d'insegnamento specializzate, piano piano questi bambini diventano cio' che dovrebbero essere - bambini. Alcuni di essi verranno riabilitati del tutto - magari con tecniche chirurgiche agli occhi o alle orecchie. Altri, la maggior parte, vivranno una vita diversa, e limitata dal loro sensorium imperfetto, ma pur sempre piena di emozioni e sentimenti. Come tutti.

Oggi c'erano anche alcuni dei genitori. Due madri, un padre. Venuti a parlare con noi, a raccontarci come l'aiuto che diamo a questa e ad altre scuole gli abbia cambiato la vita. Questo si che mi ha impressionato: una madre, quando le e' stato chiesto come l'opportunita' di avere sua figlia in questa scuola abbia cambiato il suo rapporto con la bambina, ha parlato a lungo. Ha detto di come prima fosse piena di vergogna per questa figlia. Di come la tenesse nascosta dai vicini. Di come la trascurasse in favore degli altri suoi figli - non per avarizia di sentimenti, chiaramente, ma semplicemente perche' non poteva comunicarli o capire quelli di lei. Serena, seduta con noi, kanga colorato attorno ai capelli, ci ha detto di come la scuola - i maestri - le abbiano insegnato i rudimenti di comunicazione tattile - mano su mano, o mano sulla schiena. Di come abbia imparato a capire cosa significhino i gesti e i suoni della figlia. Di come la maestra abbia accompagnato la bambina al villaggio, e dimostrato alla famiglia e ai vicini come comunicare, e spiegato a lungo quali siano i problemi di sviluppo e di cognizione, e come affrontarli. Ma sopratutto, ha detto questa madre, sguardo calmo, testa eretta, come abbia imparato - dopo anni - ad amare sua figlia.