Sunday 25 March 2012

Articolo 18...


Su Spazioforum.net, il forumista puss-in-boots ha scritto:
...la domanda è questa: ammesso che (la riforma del lavoro) sia quella che è stata presentata l'Italia sarà più nella "media" europea (che è il nostro quadro di riferimento dopo tutto) prima o dopo la riforma? Per quello che ne so dopo.

E KT ne ha avuto abbastanza di tutti coloro che si lamentano (i quali su Spazioforum sono la maggioranza) ma non vogliono cambiare niente. E ho risposto: 


Sono d'accordo. E' qualche giorno che pensavo di scrivere cosa ne penso, basato sulla mia esperienza, ma mi sono trattenuto perche' ho creduto che non avrebbe ascoltato nessuno. Ma vale la pena di tentare. 
Che il mercato del lavoro in Italia sia congelato come un mammuth in Siberia credo che non ci siano dubbi. Le riforme degli anni passati hanno avuto come risultato di avere meta' dei lavoratori praticamente intoccabili grazie a questo articolo 18, e l'altra meta' senza alcun diritto, precari, e sfruttati al massimo. Su questo siamo d'accordo, credo. Quello che Monti vuole fare, ed e' chiarissimo, e' cambiare questo stato di cose in modo che (1) gli intoccabili non siano piu' tali, ma possano essere licenziati quando serve, e (2) il lavoro a tempo - cioe' precario - venga pagato di piu' di quello a tempo indeterminato, cosi' come nel resto del mondo: un contrattista costa di piu'. 
Quello che nessuno sembra capire riguardo (1) e' che, se un'azienda puo' licenziare quando vuole, vuol dire che - automaticamente - puo' anche assumere quando vuole. Senza essere terrorizzata, come e' ora, dall'impossibilita' di sbarazzarsi dei lavoratori che non servono, e di quelli che fanno finta di lavorare. Certo, con la situazione economica com'e ora le cose non cambieranno immediatamente, ma cambieranno, e per il meglio. 
E questa non e' solo la mia opinione: e' gia' successo. 
Come ricorderete, in Inghilterra negli anni '80 la Thatcher distrusse il potere dei sindacati e liberalizzo' il mercato del lavoro. Lo fece perche' quando prese il potere la disoccupazione era alle stelle da anni - dalla crisi petrolifera degli anni '70 - e le cose andavano male. Non si poteva licenziare, chi aveva il lavoro se lo teneva, e quelli fuori rimanevano fuori e facevano le file per i sussidi di disoccupazione e le mense. 


Vi ricorda qualcosa? 


Da allora, col sole o colla pioggia, il lavoro in quel paese c'e' sempre. La prima volta che ci arrivai avevo gia' 38 anni. Non avevo mai vissuto ne' lavorato la', ma avevo un'esperienza specifica che sapevo avrei potuto usare. E parlavo l'inglese, ovviamente. Certo, ci volle un po' per trovare un lavoro che mi piacesse - nove mesi per l'esattezza. Senza conoscere nessuno e senza raccomandazioni, solo rispondendo agli annunci di lavoro sul giornale - di cui ce ne sono centinaia ogni settimana in ogni giornale. Indeterminato, in regola, assicurazione sanitaria eccetera. 
Dopo due anni mi licenziai perche' ne avevo trovato un altro - sempre sul giornale - che mi piaceva di piu' e dove mi pagavano meglio. Dopo un anno in questa nuova compagnia, ci fu una ristrutturazione interna e io e parecchi altri fummo licenziati - in quel caso, con dodici mensilita' come compensazione. Nel giro di un mese - sempre sul giornale, e ora anche su internet - avevo gia' trovato un'altro lavoro, ancora meglio. 
Dopo altri due anni me ne andai dall'Inghilterra e stetti via sei anni. Mi offrirono un bel lavoro in oriente. Ma quando la crisi colpi' alla fine del 2008 lo persi, come molti altri. Motivi economici, chiaramente. Anche qui, sei mesi di salario come compensazione (che non era male per una compagnia americana - a loro dispiacque lasciarci andare ma con i conti che avevano non potevano fare altro. Cioe' avrebbero potuto essere una ditta italiana, col giogo dell'articolo 18, tenerci ed evadere le tasse, o tenerci e fallire). 


Tornai in Inghilterra nel 2009, nel mezzo della crisi che ancora ci opprime. Questa volta, con la disoccupazione su e gli investimenti aziendali giu' ci misi un anno a trovare un lavoro all'altezza. Su internet. Nel frattempo facevo lavori manuali, non specialistici, pagati a ore, ma legali - paga minima stabilita dallo stato e copertura sanitaria statale. Abbastanza per vivere, e potevo cambiarlo quando volevo con un'altro simile. O farne due assieme - pagato a ore, piu' lavori e piu' guadagni. 
Dopo un anno mi offrirono un lavoro - sulla base del mio curriculum e basta - contratto di otto mesi, a progetto, pagato ovviamente di piu, al mese, di quello che avrebbero pagato un tempo indeterminato. Ma alla compagnia servivano soltanto otto mesi. Va bene. A questo punto avevo gia' 50 anni. Una volta finiti gli otto mesi - sempre in mezzo alla crisi - mi servirono sei mesi per trovare il lavoro che ho ora. Su internet. A tempo indeterminato, ma ovviamente mi potrebbero licenziare se ne dovessero avere necessita'. La cosa non mi smuove: e' normale. 


La domanda che vi faccio e': sarebbe stata possibile, questa storia lavorativa, alla mia eta', se fossi rimasto in Italia, con il mercato del lavoro com'e' ora? La risposta la sapete gia', ed e' no. 


Quello che Monti vuole fare e' liberare il mercato del lavoro italiano e renderlo piu' simile a quello inglese. Piu' opportunita' uguali per tutti indipendentemente dall'eta' e dalla condizione personale. Meno sicurezza sul lungo periodo, certo, ma anche ampie opportunita' di passare facilmente - come successe a me - da un lavoro all'altro solo sulla base di offrire le proprie capacita' a chi queste servono. Il lavoro, nonostante la poetica di alcuni, non e' un diritto naturale. La vita non e' obbligata ad offrire un lavoro a nessuno, ed e' assurdo pensare che una ditta, la quale esiste per fare profitto, debba essere obbligata a tenersi gente che non vuole o non gli serve.
Tutta questa alzata di scudi contro Monti e' un grave errore. Peggio di cosi' non potrebbe essere, su questo siamo tutti d'accordo. Allora perche' non provare a cambiare, a migliorare? Come ho detto, non stanno camminando al buio, Monti e Fornero. Stanno prendendo esempio da paesi molto simili al nostro come demografia e profilo industriale e sociale perche' in quei paesi la cosa funziona. 


Ma noi no, tutti a dire no, e poi no, condendo la negazione con una caterva di minchiate basate sul nulla. In pratica chi si oppone dice: meglio rimanere nella merda che conosciamo gia'. 
Fifoni...  

Friday 16 March 2012

Chiamatemi Mike Papa.

Quando ero in Etiopia, dove ho vissuto in molte case visti gli anni che ci sono stato, c'era sempre un omino che stava nel casotto vicino al cancello, e si occupava di aprire e chiudere, di annaffiare il giardino, e di fare la guardia di notte. Zabagná si chiama la guardia in amarico. Anche se l'omino si chiamava variamente Asfau, Bekkelé, Tìmrat. Nel casotto aveva la branda e la radio, ed era sempre avvolto nel suo sciàmma bianco di cotone, abito tradizionale dei montanari etiopi. Di notte sopra lo sciàmma si gettava il gabi, un largo tessuto di cotone bianco con un piccolo ricamo colorato all'orlo, ripiegato in quattro strati (o anche otto), a mò di cappa: piegato a triangolo, passato sulle spalle e sulla testa, il lato lungo passato davanti al petto e gettato sulla spalla opposta. Non solo caldissimo, ma anche bello a vedersi. E utile: il gabi, una volta aperto serve anche da coperta, copriletto, tenda, tappetino per fare l'amore...lo so, il mio mi ha seguito fin da allora ed è ancora con me.

...e in tutti quegli anni non è mai capitato che ci sia stato bisogno dei servizi di guardia dello zabagnà. Contro i ladri dico. Mai entrato nessuno. Certo, c'erano anche i cani, sopratutto una figlia di Shelly, il canazzo bianco di cui dicevo prima. Questa era uguale a Snoopy dei Peanuts - bianca e nera, pelo lungo con frangia sugli occhi come il pastore dei cartoni animati, intelligentissima. Snoopy era la mia cane, ed è vissuta con me fino a quando sono rimasto in quel paese.
Dove sono ora invece, in Ruanda, è tutto molto diverso. Non è necessariamente un male. Visto che sono qua da poche settimane, dopo essere passato dall'hotel alla casa/ufficio che ho preso per conto della gente per cui lavoro, non ho pensato subito a prendere una guardia - che qui si chiama zabu - sopratutto perchè non c'era niente da rubare. La casa è grande ma è anche vuota. Solo qui in camera mia c'è il letto con zanzariera, un tavolo per il computer, una sedia, e il cestino (bello, comprato per strada) per la lavanderia. Di là, nella parte dedicata ad ufficio c'è una scrivania con sedia da ufficio, uno scaffale, e un mobiletto per tenere la stampante. Ancora poco, anche se più un là ci saranno altre cose. Sulla scrivania ci avevo messo il laptop nuovo dell'organizzazione che mi avevano dato prima di partire. Non che l'abbia usato molto: sono talmente abituato a quello mio che ho da sempre - questo, veterano della Cina - che l'altro l'ho usato poco e niente. Anche perchè è politica della compagnia di guardarti nel laptop a distanza - da Oxford addirittura - ed è scritto chiaro nella documentazione che nessuno deve presumere alcuna forma di privacy usando il computer di lavoro - ovviamente la gente passa troppo tempo su facebook...

Insomma, questo laptop era sulla scrivania l'altra notte. A circa un metro mezzo dalla finestra che dà sul giardino davanti casa, che avevo lasciata aperta, come sempre. Tanto ci sono sempre 25 gradi. Però...ci sono le sbarre di ferro a tutte le finestre, e la retina metallica per tenere gli insetti fuori. Come a tutte le finestre. Quindi io ero tranquillo a casa da solo.

Verso le tre del mattino un crash dall'altra stanza mi sveglia. Rumori. Mi alzo e vado a vedere. Appena entro di là vedo che in casa non c'è nessuno, ma fuori si. Qualcuno alla finestra con un lungo bastone di legno infilato fra le sbarre, la retina metallica tirata via. Alla fine del bastone (come risulterà dopo) c'è appesa una busta di plastica, e con una scopa maneggiata con l'altra mano il tipo ha spinto il laptop fino al bordo del tavolo e l'ha fatto cadere nella busta. Dopodiche' si è tirato il bastone fino alle sbarre, ha preso il laptop con le mani e l'ha fatto scivolare fra le sbarre. Qui è stato quando mi ha svegliato, perchè il mouse che era attaccato al computer, rimasto fuori dalla busta è caduto per terra andando in mille pezzi e svegliandomi.

Insomma, sono arrivato un attimo troppo tardi. Il tempo che mi sono reso conto e sono arrivato alla finestra il tipo era giá girato di spalle, bastone e scopa abbandonati, laptop stretto al petto, e stava correndo verso il muro di cinta per scavalcarlo e fuggire nel buio. L'ho intravisto da dietro, poco più di un'ombra. Troppo tardi.

L'indomani polizia, denuncia e così via. Scrivo al quartier generale dell'organizzazione per far loro avere la denuncia così che possano fare la trafila con l'assicurazione, e loro mi dicono di fare subito un contratto con una compagnia di vigilanza. OK.

Qui a Kigali ce n'è più di una. Ambasciate, ditte e privati vari hanno tutti il cartello appeso al cancello che avverte che la proprietà è guardata da questa o da quella ditta. Scrivo un'email a quella che mi piace di più - giudicando dal sito web - e quelli mi rispondono in dieci minuti. Dopo un'ora viene un rappresentante a vedere la proprietà e a farmi un preventivo. Discutiamo - offrono sorveglianza 24 ore al giorno in due turni di dodici ore ad un prezzo ragionevole. Accetto e lo stesso pomeriggio vado a firmare il contratto. La loro sede è vicina, fuori hanno un plotone di nuove guardie che fanno esercizi sotto gli ordini di un ex-sergente dell'esercito. Si presentano bene: scarponi lucidi, pantaloni rimboccati negli stivali, camicia blu, berretto con lo stemma. Manganello e radio. Niente armi da fuoco, solo la polizia può portarle. Mi mostrano la centrale operativa, mi danno istruzioni e numeri da chiamare. Firmo. Pagamento dopo il primo mese di servizio.

La sera stessa il supervisore di zona della compagnia arriva con la mia guardia. Si chiama Yannick. Si mette sull'attenti e mi fa un saluto da soldato. Riposo, riposo. Gli indico dove può stare sulla veranda fino a quando una garitta vicino al cancello sarà completata, gli faccio vedere le luci esterne e il cesso esterno che c'è dietro la casa. Tutti contenti. Il supervisore chiama la centrale operativa al telefonino e in Kyniarwanda blatera qualcosa sulla guardia ora operativa nella nuova locazione 'mike papa'. Capisco solo 'mike papa'. Lo guardo e gli chiedo: 'Mike papa sono io, vero?' Quello spalanca gli occhi, poi ride, e conferma. Lo saluto, e tanti saluti e sono.

Ora siamo tutti piú tranquilli. Il collega di Yannick è qui fuori che si guarda le luci di Kigali e mi sente battere sui tasti (le finestre sono sempre aperte, anche se ci sono le tende tirate), io scrivo, e la garitta è quasi pronta, la faranno blu, come le camicie dell'uniforme di KK Security.

Ma io ho una nostalgia dello zabagnà avvolto nel gabi...

Saturday 10 March 2012

I biscotti atomici.

Una storia da Musungu, mi dicono.

Piu' che da musungu direi da ferengi. Cosi' chiamano i bianchi in Etiopia, ex Abissinia, ex Africa Orientale Italiana.
Ero li' nel 1993. Lavoravo per un'organizzazione di aiuti e sviluppo irlandese. Noi eravamo specializzati in assistenza medica agli ospedali e alle cliniche locali, ma lavoravamo anche con i bambini di strada, gli orfani, e ovviamente le emergenze - siccita', carestia eccetera.

Un giorno telefona l'ambasciata inglese e il tipo, con l'accento tremendamente britannico, come tutti quelli che lavorano per il Foreign Office, dice:
- Abbiamo ricevuto una consegna non piccola di biscotti a lunga conservazione, e li stiamo distribuendo alle varie NGO inglesi e irlandesi nel paese. Domani ve ne manderemo un carico

Io mi preoccupo subito. In inglese 'non piccola' vuol dire enorme. Ma prima di poter rispondere 'Ma veramente noi...'
- Thank you. - Click -

L'indomani mattina ero fuori dalla sede, e quando sono tornato mi ricordo che ho dovuto parcheggiare per strada perche' dentro lo spazio era occupato da un FIAT 682N3 - camion storico della presenza italiana nel paese nel dopoguerra (il che mi ricorda che nel 1980 ad Acireale lo usavano ancora per raccogliere le arance...)
Il camion era sovraccarichissimo di confezioni di biscotti da dieci chili, in latte verde militare racchiuse - quasi tutte - in una scatola esterna di cartone. I ragazzi locali dell'organizzazione erano indaffaratissimi a scaricare il camion - all'etiopica, cioe' due di loro erano sopra e facevano cadere le latte fra le braccia di quelli a terra, i quali le portavano in magazzino. Mi sono fermato a guardare un attimo prima di entrare in ufficio, e in quel momento uno dei ragazzi perde la presa, o gli scivola la latta, la quale finisce per terra con forza ed esplode letteralmente con un BANG!. Il coperchio della latta e' volato come un petardo, biscotti ovunque nel cortile. Non puo' essere. I biscotti non esplodono...

Allora guardiamo bene e scopriamo che le confezioni esterne di cartone hanno tutte stampata la scritta MoD - Ministry of Defense, e sotto c'e' stampigliata la data di produzione: 1959 e 1960. Biscotti vecchi come me all'epoca. Poi, sotto la lattina scopro anche che la confezione e' sotto pressione, riempita con gas inerte. Questo spiega l'esplosione, ma biscotti di 33 anni?

Vado dentro e telefono all'ambasciata. Voglio chieder loro, in inglese ovviamente 'Ma che minchia ci avete improsato?'
La tipa dall'altro lato del telefono e' apologetica. Spiega che sono una parte delle riserve alimentari che il Ministero della Difesa britannico aveva accumulato nei rifugi anti-atomici costruiti nei primi anni sessanta, quando ancora la guerra fredda era una cosa seria. I rifugi, costruiti per il governo, il Parlamento e le loro famiglie, erano rimasti intatti, mai usati e pieni di provviste ed equipaggiamento, in attesa di un inverno nucleare mai arrivato.

Quindi, nel 1993, dopo la caduta del Muro di Berlino, la caduta dell'Unione Sovietica e la fine della Guerra Fredda, il governo aveva decommissionato i rifugi antiatomici, svenduto l'arredamento e l'equipaggiamento, e donato i biscotti al Ministero per lo Sviluppo Internazionale, il quale penso' bene di mandarli in Africa. E in Etiopia ne arrivo' una nave intera - qualche quarantamila tonnellate.
Di biscotti.
Del 1960.
Che esplodono se maneggiati con noncuranza.
Dai rifugi antiatomici.

Li chiamammo subito, ovviamente, biscotti atomici. Atomic biscuit.

La cosa che mi preoccupava veramente era che Shelly, il canazzo bianco da guardia orbo da un'occhio (veterano di cento battaglie per l'osso) che viveva in quel cortile, di assaggiare i biscotti sparsi per terra dopo la prima lattina esplosa non ne voleva sapere assolutamente. E Shelly era un cane che si mangiava anche le pietre.

Quindi ne prendo una latta inesplosa e la porto all'Istituto Pasteur di Addis Abeba, dove richiedo un'esame chimico approfondito per stabilire se i biscotti siano commestibili e in ogni caso adatti all'alimentazione umana. Dopo un paio di giorni, coi biscotti bloccati in magazzino, l'Istituto risponde favorevolmente, e possiamo cominciare a distribuirli alle varie cliniche rurali, dove li useranno come alimentazione supplementare di emergenza per bambini e adulti malnutriti. Tutto e' bene quel che finisce bene, e c'e' un certo equilibrio che i biscotti fatti per la guerra alla fine siano serviti ad uno scopo di pace. Che poi dovevano essere nutritivi, pensati com'erano per Lords e Ministri nascosti sottoterra possibilmente per anni...

Comunque, visto che Shelly continuo' a storcere il naso ai biscotti atomici per tutto il tempo che ci mettemmo a liberarcene, presi consiglio da lui e non ne assaggiai mai nemmeno io.

Thursday 1 March 2012

Prendiamo un kawhe'

Io so ben poco di tutto cio'...si tratta di alta cultura, e sento il peso della mia ignoranza (dov'e' Hussita quando c'e' bisogno della cavalleria?). Eppure trovo grande consolazione il potermi sedere ad un tavolo coperto da una tovaglia di qutun, magari azul, mettermi comodo, ordinare una bottiglia di al-kuhl, e mentre aspetto spalmare sul pane un po' di hummus fatto in casa, e meditare se ordinare il kharshuf, magari fritto alla giudea, o un riso allo zafraan, o magari tutti e due. Si trattera' di un pasto leggero? Ma poi penso che oggi e' sabit, e mi tranquillizzo. Mi verso un po' d'acqua dalla karaf. Insomma, mi consolo con queste piccole cose. Deve essere vero, che cavolo. Ovviamente dopo tanto tempo non e' rimasto piu' niente della cultura araba...medito e mangio, e tento di non macchiarmi la qamees...sono bravissimo in questo...chissa' se e' colpa degli arabi se alla fine, dopo il kawhe senza suqar c'e' sempre l'al-fatoura da pagare...