Monday 16 February 2009

Leggere

Avevo quattro anni quando mia mamma, stufa di aspettare che si facesse tempo di mandarmi a scuola, mi insegno' a leggere Topolino, seduti assieme sul divano. Non l'avesse mai fatto: all' asilo la maestra, torturatrice, mi mandava ogni tanto col libro in mano giu' per il corridoio pieno di echi fino in seconda classe, dove la sua collega mi faceva leggere davanti a tutti, per farli vergognare. Oh, come me la fecero pagare, nei corridoi, quegli ignavi. 

Ricordo ancora, ragazzino, le occhiataccie delle mie zie quando, alla domanda 'che hai fatto con i soldi che ti abbiamo regalato?' rispondevo che avevo comprato libri. Non lo capivano, non sembrava loro una cosa normale. 'Ma vai a divertirti, comprati vestiti, vai al cinema invece'. Come avrei potuto spiegare ad esse, gran lavoratrici e amabilissime zie, ma profondamente chiesastriche ed ignoranti di tutto cio' che non fosse la loro immediata vita, che non c'era divertimento piu' grande, durevole e delizioso che navigare con Yanez verso Labuan, o cacciare lamantini fra le mangrovie vicino a Maracaibo. 

La stessa tristezza - lieve ma certa - quando penso alla scuola, al ginnasio: ogni classe aveva un armadio pieno di libri, romanzi e saggi. Mi diedero la chiave ed un quaderno per scrivere chi prendesse cosa, e quando lo ritornasse. Alla fine dell'anno, forse in tre-quattro, su quasi trenta, avevamo preso in prestito libri per leggerli. Tutti gli altri leggevano solo quello che dovevano leggere. Il liceo fini' con me e pochi altri che avevano letto tutto, tranne Manzoni. Perche' si doveva leggere. 

Felicita' fu lavorare in libreria per qualche anno, ogni anno, a luglio e agosto, e parte di settembre fino all'inizio della scuola. Anche se il grosso del lavoro erano i libri di scuola, gli scaffali, la polvere, l'odore, e sopratutto il potermi portare a casa qualunque libro, leggerlo in una notte, e riportarlo l'indomani. A quel punto pensavo fosse normale che fossimo in pochi a leggere, e che non avessi nessuno con cui parlare dei libri che mi piacevano. E normale lo era.

Immaginate lo scioccamento quando mi resi conto, anni dopo, che ci sono paesi dove tutti leggono. Ricordo ancora la mia prima volta nella metropolitana di Mosca, un inverno di tanti anni fa: fra l'architettura da fare storcere il collo, le teste di tutti i russi col colbacco di pelo, ma proprio tutti, o il fatto che ognuno di essi uomini e donne soldati e civili fosse immerso in un libro, un'intero treno di pendolari che leggeva. Non seppi che pensare, mi ricordo pero' che il freddo dell'inverno russo, la' sotto, non c'era. 

E poi la perfida Albione. Tutto quello che volete, ma un mercato immenso, qualita' media elevatissima, un sacco di gente in fila alla cassa nelle librerie, tutti i giorni, perfino nella pausa pranzo. Piu' il loro sistema di biblioteche pubbliche rionali: posti bellissimi e luminosi, accoglienti e pieni di tutti i libri piu' recenti, e posti per sedersi a leggere, o una tessera magnetica per portarseli a casa. Gratis. E i treni dei pendolari, il 7:13 per Charing Cross? Come a Mosca. Senza i colbacchi. 

A volte penso che, furbi come ci sentiamo, noi italiani in realta' siamo stupidi.

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