Thursday 5 February 2009

Orazio il tuffatore

Catania divide la sua costa in colori forti: a sud della citta' la plaia, la spiaggia si estende bianca e lucente in un arco gentile per dozzine di chilometri fino ai contrafforti rocciosi del siracusano. 
A nord della citta' invece, dal lato della montagna, il lato dell'Etna, chilometri di rocce laviche nere scolpite dal mare seguono il percorso della storia e del mito. Porto Ulisse, i faraglioni di Polifemo, la casa del nespolo, le fortezze normanne, le citta' chiamate come la ninfa Aci si susseguono fra i fichidindia e i cespugli di cappero che macchiano la roccia nera. La "scogliera", che d'estate si riempie delle migliaia di persone che non sopportano la sabbia nel costume. 
Il re incontrastato della scogliera era 'Arazio. Nessuno sapeva chi fosse veramente o quale fosse il suo cognome. Fisico asciutto, bassino, muscoli come corde bagnate, perennemente superabbronzato, capelli imbionditi dal sole, 'Arazio passava la vita a prendere il sole sulla scogliera. A Febbraio lo si trovava gia' li', in uno dei suoi posti preferiti, difendendosi dall'aria fredda con un fuoco acceso con i pezzi di legno gettati dal mare invernale sugli scogli, per i quali l'inglese ha una parola bellissima, driftwood. L'asciugamano rosso sbiadito e la scatola grande di Nivea, 'Arazio era sempre al mare, da solo, ogni giorno di sole dell'anno. 
'Arazio parlava solo il catanese. Non aveva studiato ne' aveva velleita' culturali di alcun tipo. Pero' sorrideva sempre ed era gentile con tutti. 'Arazio non si muoveva troppo dal suo asciugamano, e quando lo faceva sembrava una lucertola al sole, lento e ponderato. 
'Arazio era il tuffatore per antonomasia. Strabiliava tutti con la sua capacita' e abilita' di tuffarsi da qualunque punta della scogliera, a prescindere dall'altezza e dalla profondita' dell'acqua sotto. 
All'epoca, con un paio di miei compagni di ginnasio e qualche altro amico cominciavamo ad andare al mare ad Aprile, quando il sole era abbastanza caldo da scaldare la lava solidificata della scogliera, anche se l'acqua era ancora fredda. Prendevamo il 32 dal centro e in mezz'ora arrivavamo al Selene, tratto di scogliera libera cosi' chiamato dal ristorante omonimo affacciato sul blu del golfo, venti metri sopra il mare. Sapevamo nuotare, essendo cresciuti alla plaia, ma ci tuffavamo solo a piedi in avanti oppure a bomba, e mai da piu' di un paio di metri di altezza, magari anche turandoci il naso. Facevamo un sacco di confusione e spruzzi, e ci divertivamo moltissimo. 
Per qualche motivo rimasto ignoto, 'Arazio, dopo qualche tempo passato ad osservare - appoggiato su un gomito - i nostri miseri tentativi, decise di insegnare a noi pischelli a tuffarci. Comunicazione era un problema: il suo catanese era stretto e il nostro italiano ginnasiale: eppure bene o male ci riuscimmo. 
"Coordinazione costante" erano il suo mantra, nonche' le uniche parole in lingua che conoscesse. Nel corso di un'estate calda, tenedoci praticamente per mano, ci insegno' a non avere paura, e ad entrare in acqua sempre perfettamente. In pochi lo seguimmo sempre piu' in alto sugli scogli, mentre altri, soddisfatti di avere imparato la tecnica di base, rimasero in basso. 'Arazio conosceva tutti i posti giusti per tuffarsi su e giu' per la scogliera, e ci dava appuntamento per il giorno dopo "sotto la tavenetta" oppure "alla nave di pietra", dove passavamo la giornata a studiare la sua tecnica e a tentare - poveramente - di imitarla. Ma lo seguimmo a tutte le altezze di scoglio, anche quelle che quando la folla di bagnanti come gabbiani sulle rocce lo vedeva salirci, si ammutoliva, si sedevano eretti sugli asciugamani, inforcavano occhiali da sole per vedere bene o allungavano le mani nelle borse per prendere le macchine fotografiche. 
'Arazio saliva agilmente ma lentamente sullo spuntone o sulla cima di roccia nera piu' alta che ci fosse in giro. Passava gran tempo a trovare la posizione di appiglio per le dita dei piedi, fondamentale per superare gli scogli sotto e le lame di lava che spuntavano ovunque dagli scogli. Perche' la lava nera si alliscia coll'azione del mare giu' dove le onde incessantemente la lambiscono, ma sopra, a dieci o quindici metri di altezza, dove gli spruzzi arrivano solo con le mareggiate di scirocco invernali, la lava e' una grattugia: si mangia suole e pelle di piedi solo a camminarci sopra. E 'Arazio aveva una predilizione per rocce non a picco. Rocce cioe' dove occorreva tuffarsi spingendosi molto in avanti per evitare di cadere sulla lava sottostante. 
Una volta trovata la posizione, 'Arazio stava per parecchi minuti immobile, eretto, braccia piegate ai gomiti e mani davanti al petto, come in preghiera, guardando le onde che pigramente arrivavano dal largo e si perdevano nella cala sotto, molto sotto di lui. 
Poi, come una molla, si lanciava verso il sole, braccia improvvisamente aperte, un riflesso color cuoio nuovo contro il blu del cielo...arrivato all'apice della spinta il torace e la testa si piegavano come un coltello a serramanico verso il basso, le braccia si chiudevano in avanti, e le gambe seguivano la direzione imposta dalla gravita' rialzandosi verticalmente dietro ed in alto, il tuffo carpiato perfetto da venti metri di altezza, il corpo ancora librato in aria, sospeso come il fiato di tutti i presenti. E poi giu' giu, a picco, coordinazione costante, contro lo sfondo di roccia nera, talloni uniti, braccia e mani pronte a rompere il pelo dell'acqua, per un tempo che non sembrava non finire mai, fino a sparire con piccolo spruzzo ed un piccolo splash nel verde-blu del mare sotto, entrando in acqua - orrore supremo - esattamente nel metro e mezzo di mare disponibile fra due scogli affioranti. 
Solo allora gli astanti respiravano. Quando riemergeva, applausi e voci lo accompagnavano al suo asciugamano sbiadito, dove si stendeva ad asciugarsi, un pezzo di sorriso all'angolo della bocca e una innata modestia che gli impediva di riconoscere le emozioni che dispensava. 
Le storie su di lui erano tante: che era un ex-calciatore, che fosse del rione San Cristoforo, covo di amici e di donne dagli occhi di bragia, che vivesse mantenuto da una donna...nessuno di noi volle mai sapere davvero chi fosse o cosa facesse: era 'Arazio il tuffatore, leggenda della scogliera, pelle di serpente e sorriso costante. 
Per quanto ne sappia, e' ancora li' che si spalma di nivea ed insegna ai ragazzini come non farsi male nel passaggio fra la roccia, il cielo e il mare. 

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