Wednesday 4 February 2009

archivio (33) Senza titolo

Questo e' un breve scritto di ringraziamento e ammirazione, sopratutto ammirazione, per le molte colleghe - donne e solo donne - che ho nei paesi e nei posti dove vado di solito per lavoro. Hanno nomi esotici (Quincey, Xiaomu, Venus, Tahamin, Hue, Deepali) oppure familiari (Bianca, Silvia, Elaina). Quasi tutte lavorano in ruoli amministrativi o organizzativi, poche hanno posti di responsabilita' manageriale, tranne che nell'ufficio di Hong Kong. Ma tutte condividono la stessa spaventosa efficienza e una simile capacita' di sbrigare quantita' immense di lavoro in pochissimo tempo. E sorridono quasi sempre. Non sembrano stressate, non si lamentano, non si assentano mai, non spariscono a due per volta nel bagno. Personalmente sarei perso senza il loro aiuto, e l'organizzazione si bloccherebbe di colpo come invasa dalla ruggine se esse dovessero per caso assentarsi tutte insieme, se una ipotetica febbre le colpisse attraverso quattro continenti lo stesso giorno. Di nascita appartengono quasi tutte a qualche gruppo etnico impossibilmente hip*: non indiana ma Punjabi, non vietnamita ma Hmong, non etiopica ma Tigrina. Qualcuna di esse e' - per sua stessa definizione - transetnica: tutti e quattro i nonni originari di posti diversi, Kazhakstan, Russia, Baluchistan e Sri Lanka. Migrazioni di gente su e giu' per il mondo. Il risultato non e' sempre esteticamente notevole, anche se spesso lo e', ma che importanza puo' avere? Il cervello, ah il cervello che ne risulta, fa paura. Hanno fatto il PhD e ottenuto il Master in due continenti diversi da quello dove lavorano. Studiano di notte per una laurea aggiuntiva in Relazioni Internazionali o Giurisprudenza Europea, o anche solo per un diploma in Media Art. Hanno occhi bellissimi, tutte (ma questo non mi sogno nemmeno di dirglielo e me lo tengo per me: in molti posti non e' accettabile fare commenti personali sul lavoro), nessuna di esse e' grassa, dato che vivono spesso in paesi dove i grassi vegetali idrogenati non esistono, si vestono in maniera sia locale che internazionale (un giorno sari, l'indomani i giacca e pantaloni neri), parlano tutte inglese perche' devono, piu' altre due lingue almeno perche' vengono da posti dove due o tre sono necessarie fin dall'infanzia. Hanno pelli dal bianco traslucido al nero lucido, e ovviamente, naturalmente, non fa nessuna differenza su quanto siano brave ed efficienti. Dita che volano sulla tastiera, pupazzetti e fotografie delle famiglie appese allo schermo del computer, borse sulla scrivania e scarpe comode sotto, mi ritrovo a ringraziarle, ancora e ancora, ogni volta che ci ho a che fare. E sorridono, e sembra che faccia loro piacere.

* from Neal Stephenson

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