Wednesday 4 February 2009

archivio (17) Rizzo I

Sei anni fa moriva il signor Rizzo. O meglio, Rizzo, come lo chiamavamo tutti tranne la segretaria dell' ambasciata italiana, la quale quando telefonava dalla capitale di Ismailia diceva sempre 'Vorrei parlare con il Console Onorario....

Rizzo aveva ottanta anni, era alto un metro e un tappo, aveva i capelli lisci e nerissimi che si manteneva con le scatolette di lucido da scarpe. Fisicamente era un toro, anche in tarda eta': quando ci stringevamo la mano la mia spariva dentro la sua, grande quanto una pala. 

Mi viene male parlare di Rizzo al passato: usero' il presente. 
Nel 1936 Rizzo ha diciotto anni. Lascia l'Italia e si imbarca per la colonia Eritrea come civile al seguito dell'armata di invasione che Badoglio sta guidando oltre il confine del fiume Mareb per invadere l'Abissinia, mentre da Roma il Duce tuona che l'Italia ha bisogno dello "spazio vitale' in Africa, e che occorre vendicare Adua. Rizzo di tutto questo se ne fotte: non e' neanche camicia nera. Va perche' e' un buon camionista, perche' e' giovane, perche' chissa'...

Quando Rizzo arriva in Abissinia la guerra di 'liberazione' e' gia' finita: gli Italiani sono ad Addis Abeba e si espandono per il paese, l'imperatore Haile Selassie' e' fuggito in Inghilterra, e le prime bande armate abissine cominciano la resistenza all'invasore. Rizzo guida i camion di una delle tante ditte italiane che si sono gettate sugli appalti di ricostruzione e ammodernamento del paese: strade, scuole, edifici pubblici, ospedali, linee elettriche...l'investimento dell' Italia nel paese e' ciclopico, tutti i materiali sono importati dall'Italia via nave da Napoli a Massaua sul Mar Rosso via canale di Suez, e da li, sui camion, per le piste che si arrampicano sull'altopiano abissimo e poi fra le montagne e le ambe, distribuiti alle maestranze italiane attive in tutto il paese. Rizzo passa anni sulla strada, e si adatta presto. Si prende un ragazzino locale come aiutante, e va. L'aiutante (parola rimasta ancora oggi in lingua amarica) sorveglia il camion quando e' fermo, bastona i ragazzini che tentano di salirci sopra, riempie l'otre dell'acqua alle fonti lungo la strada, aiuta a cambiare le gomme, e appena il camion si ferma salta giu' con in mano il tacco, pezzo di legno a forma di cuneo, e lo infila sotto la ruota per evitare che la macchina rotoli via...

Rizzo si fa tutte le piste del paese, dalle montagne intorno al lago Tana, sorgente del Nilo Azzurro, terra di castelli e di monasteri, passando dall'occidente abissinico popolato da genti Galla, ai bassopiani della Dancalia e le piste per il porto di Assab sul mar Rosso, per Gibuti e Zeila. Ha amici ovunque e - pare - una ragazza in ogni citta'. 

Nel 1941 l'Italia entra in guerra e gli inglesi, seduti comodamente al Cairo, chiudono il canale di Suez al traffico navale italiano: tutta l'Africa Orientale Italiana (Eritrea, Abissinia e Somalia) sono tagliate fuori, comprese le decine di migliaia di soldati, coloni, funzionari amministrativi coloniali, le loro famiglie, le loro attivita' commerciali. Gli inglesi non perdono tempo, e dal Sudan e dal Kenia cominciano l'avanzata, in pochi mesi si prendono la Somalia, passano i bassopiani ed entrano in Abissinia. La resistenza italiana e' sporadica e tipica: intere divisioni si arrendono senza combattere, altri si asserragliano e vendono cara la pelle. Il vicere' Duca D'Aosta si arrende il 19 maggio del 1941 all Amba Alagi. 

Alla resa Rizzo e' ad Assab, porto italiano sul mar rosso, distaccato come autista civile all'autoparco. Non ci sono stati combattimenti li', e i civili aspettano l'arrivo dei vincitori. Il caldo di Assab e' leggendario: 40/50 gradi per gran parte dell'anno, il sole tropicale riflesso dai mille chilometri di deserto dancalo che separano la costa dalle montagne e dagli altipiani dell'Abissinia.

Finalmente arrivano. Truppe coloniali inglesi del Sud Africa, insieme ai Fucilieri Africani del Re, truppe coloniali keniote. Un maggiore inglese arriva all'autoparco, sbuffando come un mantice nella sahariana. Guance rosse e lentiggini, alto e grosso, fa schierare tutti gli autisti italiani di fronte ai loro camion italiani e procede a emettere nuove istruzioni: dove andranno, che lavoro faranno, a che reparti britannici saranno assegnati. E' sprezzante, sbatte il frustino sulla gamba, fa vedere a tutti quanto poco egli stimi i vinti. Le istruzioni terminano rapidamente, dopodiche' il maggiore si avvia a ispezionare gli automezzi. Quando arriva davanti a Rizzo lo guarda dall'alto in basso (cosa facile con Rizzo), ma non lo guarda bene. Ordina 'apri il cofano, figlio di puttana'. Rizzo gira sui tacchi e si avvia verso la cabina del camion. 'Dove vai, stronzo italiano? torna qui e apri il cofano!' (i cofani si aprivano da davanti, con una leva, non da dentro la cabina). Rizzo sale sul predellino, apre lo sportello, infila la mano sotto il sedile e afferra il martello da due chili che tiene li' assieme ai ferri per cambiare le gomme. Salta giu' martello in mano, si gira in aria, atterra, e senza dire una parola scaglia il martello al maggiore, da tre metri. Lo prende con la testa di ferro in mezzo al petto. Il maggiore stramazza come sparato in una nuvola di polvere gialla. 

Scoppia un casino, alcuni colleghi inveiscono, altri applaudono. Rizzo sale sul camion, mette in moto, e se ne va. Mentre i colleghi soccorrono il maggiore e lo portano all'ospedale lui lascia Assab, e al tramonto e' gia' al confine con Gibuti, colonia francese di Vichy, territorio neutrale. Guidando tutta la notte arriva alla citta' di Gibuti. L'indomani vende il camion per contanti ad un contrabbandiere yemenita, e si va a nascondere a casa della sua amica Giulia, tenutaria di bar/bordello dietro il porto, il Brise de Mer.

Per mesi la polizia militare britannica lo cerca. Hanno rintracciato il camion e sanno che e' a Gibuti, ma gli inglesi non sono amati in questo porto sul mar Rosso, e nessuno collabora. Il maggiore ha ripreso conoscenza e lo ha accusato, ma ha la cassa toracica fratturata dal martello, e' vivo per miracolo e lo mandano all'ospedale militare a Durban. Rizzo passa le sue giornate in soffitta, sdraiato su una tavola di legno appoggiata sulle travi che sorreggono il tetto di lamiera delBrise de Mer. Senza finestre, al buio, in silenzio, a trenta centimetri dalla lamiera ondulata del tetto, su cui batte il sole tutto il giorno. Un forno soffocante, senz'aria, col la testa abbassata e la faccia dentro un secchio di latta pieno di ghiaccio che la signora Giulia gli manda ogni mattina con un ragazzino che silenzioso sale in soffitta, si arrampica sulle travi e gli passa il secchio, e bottiglia di acqua per bere e una vuota per pisciare. A sera tardi, quando e' suonato il coprifuoco e le strade sono deserte lentamente Rizzo si stacca dalla tavola e scende sotto, al primo piano dell'edificio in legno in stile egiziano, dove vive la signora Giulia e un po' delle ragazze. Gli affari vanno male, la guerra ha interrotto il commercio e i clienti sono pochi. Rizzo mangia, si lava, si rade, si pettina accuratamente, finalmente sorride, e passa la notte a giocare a carte con le ragazze e a fare l'amore con Giulia. Insieme meditano di vendere il bordello, pagarsi un passaggio su una barca di pescatori di Aden e farsi portare al di la' di Bab el Mandeb, in Yemen, neutrale. La mattina prima dell'alba risale in soffitta, si spoglia in mutande e canottiere e si risdraia sulla tavola. Gli inglesi lo cercano, ma nessuno puo' immaginare che un fuggiasco possa vivere in un forno simile, e nelle soffitte sotto le lamiere roventi neanche guardano. Rizzo ci passera' tre mesi.

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