Wednesday 4 February 2009

archivio (19) Rizzo III

Incinta. In piedi, le mani incrociate sul seno come protezione e sfida, Terry lo ha aspettato ed ora sta' li, sulla veranda dipinta di verde, le mattonelle del pavimento parzialmente coperte da cesti pieni di cereali, legumi e peperoncini che asciugano all' ombra, la sedia preferita di Rizzo al suo posto accanto al tavolo con su la radio a onde corte e la bottiglia di Johnnie Walker. Come fosse mancato un giorno. Nell'angolo lontano della veranda la ragazza e' accucciata accanto al braciere, e macina il caffe' appena tostato nel mortaio di legno, guardando per terra.

Rizzo passa accanto a Terry senza guardarla, entra in casa, va in camera, prende la pistola che tiene nel como', poi esce di nuovo, e senza dire mezza parola ne' guardare la moglie si mette in macchina. Accende il motore facendolo urlare al posto suo. Il guardiano si precipita fuori dalla sua guardiola accanto al cancello e apre quest'ultimo appena in tempo per evitare che Rizzo ci lasci le fiancate uscendo. La nuvola di polvere che alza con le gomme nasconde il cancello della villetta di fronte, dove anni e anni dopo, vivro' io. 

Cosa successe dopo non e' sicuro. Rizzo non ne parla volentieri, anzi non ne parla per niente. Ma il vecchio zaptie'Tecle', che e' eritreo e come tale non ha peli sulla lingua dice che Rizzo guido' fuori citta' inoltrandosi nella savana desertica, rade acacie spinose e tracce di fiumare asciutte. Lascio' la macchina e prosegui' a piedi, camminando da solo senza una meta precisa. Tecle' aveva quattro pecore di quelle somale, testa nera e coda grossa piena di grasso, ed era sempre in giro per la savana fuori citta'. Dice che Rizzo si sedette sotto un'acacia piu' grande delle altre, pistola in mano, e che l'indomani all'alba era ancora li', fissando il niente o forse, penso io, guardando la sua vita. 

Certo e' che l'indomani torno' a casa, mise via la pistola e ricomincio' la sua vita con Terry. Qualche mese dopo, quando ella ruppe le acque e si senti' male prima del tempo, e la vecchia ostetrica chiamata a casa scuoteva la testa e aveva la faccia lunga, Rizzo senza pensarci due volte mise Terry nell'Alfa, sdraiata dietro, imbottita con cuscini e coperte di cotone, e si avvento' su per i cinquecento chilometri di pista sterrata e poverosa che lo dividono dall'ospedale universitario nella capitale, dove arrivo' quattro ore dopo. Molti anni dopo, per fare la stessa pista con moderni fuoristrada turbodiesel io e Pietro non riuscimmo mai a metterci meno di otto ore. Tery ancora oggi dice "avevo una paura! ho chiuso gli occhi e li ho riaperti solo quando siamo arrivati all'ospedale". Ospedale dove Rizzo arrivo' in tempo per salvare la sua donna, e quello che sarebbe diventato suo figlio. 

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