Wednesday 4 February 2009

archivio (50) Jacaranda

Quando si tocca la grandezza? E che forma ha? E come la si riconosce come tale? Non so le risposte, ne' mi sono mai posto le domande, ma qui c'e' una memoria di tre mesi fa...la metto qui, che' non si perda. 

Delhi in ottobre e' deliziosa, il caldo e' appena appena e c'e' una brezza che seppure satura di benzina non fa rimpiangere la sensazione crematoria di giugno. E muove le foglie degli alberi assieme alla polvere. 
Sto visitando un ospedale, per lavoro. Questo e' una vecchia costruzione di mattoni del tempo del Raj. Una targa di marmo sbiadita all'ingresso ricorda la posa della prima pietra e il nome della moglie del Vicere' che lo fece. Poi una lunga lista di nomi dei notabili partecipanti, sia coloniali che locali. E' tutt'oggi un'ospedale non profit: il 50% dei pazienti (intoccabili, poveri, stagionali) ricevono cure gratis, usando i soldi dell'altro 50% (caste alte, classe media, ricchi) che pagano. In India queste cose sono comuni. 

Il tipo che mi accompagna mi snocciola fatti di pazienti, di medici e di altre persone connesse. Giriamo da un'ala all'altra, da un piano all'altro. Vedo corsie e camere private, uffici e sale operatorie. Tutto equipaggiato, tutto pulito, un alveare silenzioso di attivita' fra spesse mura di mattoni rossi. Ma non mi impressiono: queste cose si mettono su anche solo per imbrogliare lo straniero in visite come questa. E' gia' successo. A me interessa solo essere sicuro che quando il nostro finanziamento finira' loro avranno sviluppato un sistema amministrativo ed operativo tale che il cash flow sara' positivo, cosi' che potranno continuare a provvedere i servizi a chi ne ha bisogno, e trovare crediti sul mercato per altri investimenti. Gli chiedo di farmi vedere i numeri, le cifre, i bilanci. Voglio tutti i budget dal 2001 ad oggi. Lui sorride, sotto la pelle scura di dravidiano trapiantato al nord. E' contento di come vadano le cose, ma ha bisogno di Excel. E cosi', in un ufficio dai soffitti alti a pannelli, finestre socchiuse e ventilatori che girano pigri nel silenzio, me lo dimostra. 

Dopo avere scartabellato per un bel po' decidiamo di andare a fumare. Scendiamo nel cortile al centro delle due ali dell'ospedale, fumiamo seduti su un muretto di pietra attorno al tronco di una vecchia jacaranda. Poi risaliamo per finire il lavoro. In cima alle scale, sulla balconata interna del primo piano, noto per la prima volta una vetrinetta nel muro. Il vetro e' pulito, illuminato. Dentro c'e' una mensola con una foto sbiadita color seppia, un biglietto stampato ed uno, giallo, scritto a mano. Mi avvicino, curioso, mi curvo per vedere bene. Nella foto ci sono tante persone, ma al centro, inconfondibile con bastone in mano c'e' il mahatma Gandhi sullo sfondo di un alberello che forse e' la stessa jacaranda. Infatti. Il biglietto stampato ricorda la visita all'ospedale nel marzo del 1931, un anno dopo la Marcia del Sale. Poi, adagiato su un pezzo di velluto, c'e' il biglietto scritto a mano, ingiallito dal tempo. Anzi non e' un biglietto: e' una pagina del registro dei visitatori. Qui del tutto senza volerlo il mio cuore perde un battito. Passa un angelo. O qualcosa del genere. Decifro il corsivo in inglese. Quattro righe: "E' stato un piacere per me visitare l'ospedale..." e la firma, M.K. Gandhi. 

Socchiudo gli occhi mentre leggo. So che si chiamava Mohandas Karamchand, e insieme al ricordo di queste cose mi affiora un brivido. Raddrizzo la schiena e raggiungo il tipo che mi aspetta. Non mi ero mai sentito cosi' vicino alla grandezza prima d'ora, o forse, ma solo forse, qualcosa mi ha toccato dentro. 

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