Wednesday 4 February 2009

archivio (12) A Pechino con Elvis

A Pechino con Elvis.

Sono stato a Pechino per due giorni, per rappresentare l'organizzazione ad una cerimonia. Era la mia prima volta a Pechino. Vi racconto... 

Ho lasciato Hong Kong domenica pomeriggio, col mio collega P. Il volo Air China e' quanto di piu' scassato e rugginoso esista fra le due citta', ma e' politica standard della gente per cui lavoro di prendere sempre i voli meno cari (il che e' giusto, dato che siamo una ONG), e cosi' sia. L'aereo e' pienissimo di vacanzieri del fine settimana venuti a HK per fare compere e che se ne tornano a casa a Pechino. Troviamo due posti insieme in coda e ci sediamo, aspettando che la tempesta di cinesi urlanti e bagagli a mano ovunque si calmi. I vacanzieri imbottiscono ogni angolo del vecchio Boeing 767 con pacchi, buste, involti ed altri imbarazzi. Quello che distingue questa gente dai nostri nonni quando emigravano sono le griffe: tutti i pacchi e pacchetti e bagagli ed involti sono firmati. le solite firme di massa: versace, klein, gucci e cosi' via. Hong Kong e' imbottita di questi negozi: ce ne sono dozzine, sono molto popolari, meno cari che altrove, e contribuiscono a rendere la citta' il paradiso per gli shopper di tutto il sud est asiatico.
Le assistenti di volo, furbe, scompaiono in coda e lasciano che la gente si arrangi e si sistemi. 

Decolliamo in orario. Fuori dal finestrino il Mare Cinese Meridionale riflette il cielo ormai scuro. Lontano a nord le luci delle mangrovie urbane e portuali che circondano il delta del Fiume delle Perle tremolano basse sull'acqua, ancora piu' a occidente le luci dei casino' di Macao brillano multicolori. Altre luci sul mare indicano la posizione delle innumerevoli barche, chiatte, sampan e navi su cui questo angolo di Cina ha costruito la sua ricchezza. La mente mi vola lontano, in Italia. Penso alle luci sulla collina, al riflesso di un'altra citta' su un altro mare. Il tremolio sembra gonfiarsi, poi sparisce nelle nuvole con l'aereo. Me ne rimane un poco sulle guance. 

Il cibo di Air China e' notoriamente disgustoso, quindi questa volta ci siamo organizzati. P. ha portato il vino (lui e' canadese, ma ha studiato enologia e mi considera un esperto solo perche' sono italiano. Ho provato a dirgli che io il vino lo bevo e basta, ma non mi crede). Io ho approfittato della generosita' del nonno, tiro fuori dalla borsa un barattolo di olive siciliane cunzate, condite con olio di peperoncino, ed una scatoletta in cui ho preparato pezzetti di formaggio pepato fresco. Spizzichiamo coi bastoncini, beviamo il vino, parliamo di lavoro.

Atterriamo senza scossoni a Pechino. L'aeroporto e' nuovo, come quasi tutto in Cina. Stanno spendendo gli enormi profitti delle esportazioni investendo in infrastrutture, ovunque. L'intero paese e' un cantiere, spesso su scala gigantesca. L'autostrada a cinque corsie entra nel cuore della citta', il taxi e' una Peugeot fatta qui. Larghi viali alla parigina, grandi palazzi con tetti a pagoda, macchine, luci. C'e' freddo a Pechino: il vento del nord porta il clima dalla Siberia e dalla Mongolia, aria di neve. 

L'Holiday Inn e' il solito, come dappertutto. Quando finalmente arrivo in camera e' quasi mezzanotte. C'e' la connessione ADSL in camera, gratis, come quasi ovunque in questo paese. Mi collego per dare un'occhiatina a Spazioforum. Passo un bel po' di tempo a pensare. Poi vado a letto.

L'indomani incontriamo il nostro collega cinese, e insieme prendiamo un taxi per la Grande Sala Del Popolo, dove e' prevista la cerimonia. Fiumi di macchine riempiono la citta'. Il mio collega ci racconta di come, venti anni fa, fossero tutte biciclette. Si sente l'orgoglio nella sua voce per i cambiamenti, per il progresso, per la modernita'. 
Il taxi si ferma sotto una scalinata monumentale, larga almeno duecento metri. In alto, la Sala Del Popolo ("People's Great Hall") torreggia, colonne di pietra scura sotto tetti rossi, strati di architettura socialista/confuciana. Saliamo a piedi, nell'antiatrio mostriamo il pass, passiamo sotto il rilevatore di metalli, entriamo da porte girevoli. Dentro, un atrio immenso sostenuto da quattro colonne. Ci entrerebbe comodamente un campo di calcio. Pavimenti di granito e marmo, lampadari monumentali, tappeti rossi si perdono all'infinito. Porte e tendaggi si intravedono in lontananza. E' domenica, il posto e' praticamente vuoto. Il collega cinese dice: 
'Questo e' l'ingresso laterale, la domenica quello principale e' chiuso'.
Seguiamo le indicazioni, attraversiamo la caverna, seguiamo corridoi. Arriviamo alla saletta dove e' prevista la cerimonia. Al guardaroba prendono i cappotti e ci attaccano una ghirlanda rossa al risvolto della giacca. La saletta e' un eufemismo: una grande sala. Tappeti, poltrone di pelle bianca e rossa, un tavolo per le firme. Muri ricoperti di pannelli di legno scuri. Tavolini con tazza di te' verde con coperchio accanto ad ogni poltona. Troviamo i nostri nomi, ci sediamo. Le poltrone disposte a quadrato su tre file intorno al tavolo, quelle interne belle larghe e comode, quelle esterne un poco meno. Dietro, in piedi, giornalisti e cameramen. Niente pubblico. Seduti con noi i rappresentanti di tutte le province della Cina, un paio di viceministri, qualche altro. Tutti in giacca e cravatta naturalmente, tranne il tibetano che ha la cravatta sotto la tunica tradizionale del suo paese. E' seduto accanto a me, scambiamo biglietti da visita, chiacchieriamo. Il suo fiato e' una distilleria, ma lui e' sveglio e affilato, politicante puro. 

La cerimonia comincia. L'ospite d'onore e' un vecchio cinese di 82 anni il quale, dopo avere fatto fortuna partendo da muratore emigrante ad Hong Kong ed averla accresciuta investendo in alberghi a cinque stelle in Cina, ha deciso di vendere tutto - anzi, lo ha gia' fatto - e sta lasciando tutto il contante per beneficenza. Un centinaio di milioni. Di euro. Discorsi, applausi. Per noi lo fa il mio collega P., che e' specialista di Pubbliche Relazioni. Io sono qui per ascoltare i politici e parlare con loro. 

L'ospite d'onore si alza e va a fare il discorso di ringraziamento. Lo vedo da vicino e rimango a bocca aperta per un attimo: altro che Elvis. I capelli che gli sono rimasti sono tutti sulla parte posteriore della testa. Se li e' fatti crescere lunghi, e il suo furbissimo parrucchiere (sapro' poi che se lo porta sempre appresso) li ha scuriti, lucidati, ed alzati verticali sopra il cocuzzolo, per poi farli ridiscendere ad arco in avanti fino a formare un bellissimo ciuffazzo sulla fronte, con curva finale a destra. Effetto fantastico, sembra piu' alto di almeno dieci centimetri, e piu' giovane di trenta anni. 

La cerimonia finisce velocemente, si firmano i documenti, si beve te' verde. Camerieri in giacca bianca e guanti circolano con teiere di porcellana. Se voglio altro te' lascio la tazza scoperta, se no metto il coperchio. 

A cerimonia finita la stampa si avventa su Elvis. Mentre lui e' occupato noi veniamo presentati a ministri e altri potentati vari. Scambio di biglietti da visita a due mani, lieve inchino reciproco, del tipo da usare "quando non si e' certi della posizione sociale dell'interlocutore". Alla fine Elvis ci degna della sua attenzione e viene a parlare con noi. Non abbiamo rapporti diretti, ma la mia organizzazione fa da anni un lavoro molto simile a quello che vorrebbe fare lui, e ci ha invitati per questo, vuole far vedere che gli stranieri lo appezzano. Ci stringe la mano all'occidentale, chiede se ci sia piaciuta la cerimonia. Faccio uno sforzo per non guardarlo nel ciuffo, che da vicino e' ancora piu' bello. 
Conclude e ci congeda dicendo:
"Fare del bene e' lavoro duro!"
Con P. ci scambiamo un'occhiata rapidissima. Sigh. Un altro. Chissa' cosa crede la gente, che sia facile? 

Cerimonia finita, usciamo nel freddo della tarda mattinata di domenica. Il collega si incammina verso il davanti dell'immane costruzione, noi con lui. Dopo un poco emergiamo su piazza Tienanmen, come galleggiante in una foschia fredda. Non vedo l'altro lato della piazza. Ci incamminiamo verso il centro, pavimentato a zona pedonale. Quello che e' successo qui e' nella mente di ogni cinese, ma pochi vogliono parlarne. Soldati in verde si mischiano a parecchie centinaia di cinesi venuti dalle province per ammirare il centro del "regno di mezzo". Eppure la piazza sembra vuota di quanto e' grande. Il collega mi conferma che e' la piu' grande del mondo. Ma che ossessione. Dietro di noi la facciata della Sala del Popolo, a destra il mausoleo di Mao, di fronte, perso nella foschia un qualche museo militare, e a sinistra, rosse nel sole che lentamente emerge, le mura e le porte della Citta' Proibita.

Mi allontano di qualche passo, accendo una sigaretta, inforco i Wayfarer per difendermi dalla luminosita' che aumenta. Uno dei centri del mondo. 
Be', almeno non ci sono cartacce per terra. 

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