Wednesday 4 February 2009

archivio (28) Yurta

Il soffitto della yurta e' retto da due cerchi concentrici di legno tagliati rozzamente ma sottili con l'ascia, e piegati a cerchio sul fuoco per dargli la forma. Quello piccolo e' piu' in alto, e costole di legno lo tengono su, appoggiate al cerchio grande, quest'ultimo adagiato in cima ai pali del muro esterno, che non vedo perche' ricoperti da tappeti e tessuti arabescati, prevalentemente rosso scuro, appesi come arazzi tutt'intorno alla circonferenza interna della casa. Mi tiro un poco piu' su la pesante trapunta di lana ricoperta anch'essa di arabeschi e disegni floreali in toni di rosso, aggiusto l'altra trapunta, quella piegata che mi fa da cuscino, e reprimo un brividino. Fa freddo a 3000 metri sul Karakoram, nonostante sia quasi agosto. La solitaria finestra, un poco piu' in la' al di sopra della mia testa mostra attraverso due piccole lastre di vetro sporco le nuvole basse che coprono i massicci di seimila metri, piu' su, in cima alla valle. Il lembo inferiore di un ghiacciaio spunta da sotto le nuvole come appeso a niente. Il cerchio di legno del soffitto sostiene un feltro dall'aria pesante, grigio sporco, cosi' spesso e duro che sembra possa stare su anche da solo. Per terra, sotto la trapunta piegata su cui sono sdraiato e' pieno di tappeti che si incrociano, uno sopra l'altro, a strati, di tutti i colori possibili e immaginabili. Siamo in cinque sdraiati nella yurta, che qui i Kirghisi chiamano bomoi, ognuno fra tre trapunte, come me. Ce ne saranno almeno trenta in questa casa, quelle non in uso piegate e accatastate lungo le pareti ricoperte di stoffe. Vedo un foro rotondo nel soffitto, un pezzo di cielo grigio. E' chiaro che d'inverno tengono il fuoco acceso qui dentro. 
Siamo sdraiati a cerchio. Ai miei piedi Fei respira leggermente, perso in un sonno profondo. Dietro la mia testa Rong (ve ne ho parlato: capelli lunghi lisci, tettine probabilmente deliziose, sorriso incomprensibile) si muove silenziosamente sotto una trapunta arancione. Guardo verso l'ingresso, al di sopra di corpi sdraiati e coperti: il tappeto che fa da uscio e' srotolato giu' e legato, le scarpe di tutti sono nel riquadro di terra dietro l'ingresso, mentre il resto del pavimento e' rialzato di un palmo. Che siano tutti tappeti ad aver alzato tanto il pavimento? Rifletto oziosamente mentre il sonno mi circonda senza farsi notare. Mi ricordo che ad Istanbul il pavimento della Moschea Azzurra e' rialzato di almeno mezzo metro: da quando fu costruita continuano ad aggiungere tappeti nuovi sopra quelli esistenti, quando questi si consumano....poi penso che non puo' essere, la yurta e' fatta per essere smontata e portata via in un giorno. Probabilmente hanno rialzato il pavimento di terra battuta e l'hanno ricoperto di tappeti per tenere il caldo. Questi Kirghisi sanno una o due cose riguardo l'isolamento termico, e considerando che l'unico materiale che usano e' la lana delle loro pecore, si sta proprio bene. Il freddo e' rimasto fuori e l'umidita' della pioggia sta lentamente evaporando dalla mia pashmina, appesa al muro accanto a me. Meno male che l'avevo con me. Quando mi sono reso conto del clima che stavamo per affrontare era tardi per ripensare all'abbigliamento, Kashgar e' lontana, giu' nella valle. L'ho piegata in due per lungo, appoggiata alla fronte, tirata dietro la testa da entrambi i lati, poi con due dita della destra ho tenuto fermo quel lato mentre con la mano sinistra ho girato il lembo sinistro tutto intorno alla testa da dietro, passandolo di nuovo sulla fronte, teso e arrotolato, e poi infilandolo sopra se stesso sull'orecchio destro. L'altro lembo, quello destro, rimasto penzolante, l'ho tirato attorno al viso, lasciando scoperti solo gli occhi, e girato dietro il collo, stile Afgano. Il Kirghiso con me mi ha guardato ma non ha fatto alcun commento: bravo. Odio chi fa commenti sull'uso della pashmina. E comunque e' caldissima e non fa passare la pioggia. I Kirghisi comunque potrebbero essere sardi, o magari calabresi, o pugliesi. A parte la faccia, usano tutti pantalonacci di fustagno, camicia scura e berretto nero tipo coppola. Gente a posto, questi nomadi di montagna: pregano Allah il misericordioso e compassionevole, ma bevono come irlandesi. La vodka a 56 gradi che mi hanno dato per riscaldarmi dopo il sentiero sotto la pioggia sembrava, ovviamente, fuoco. O forse era ghiaccio...? Non so...il sonno si infila sotto la trapunta senza che io me ne accorga, e mi porta via.

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