Saturday 9 June 2012

Sulla droga

La corriera da Oaxaca saliva e saliva e saliva sui tornanti della carretera 175 che scala le montagne del Miahuatlan verso sud. Eravamo diretti al mare. Molto verde intorno alla strada, boschi da un lato e valle dall'altro. La corriera strapiena di passeggeri locali, le donne vestite a colori col blu predominante, gli uomini in bianco e sombrero di paglia.

Pippo si era seduto sulla sbarra che separa il posto del conducente dalla prima fila di passeggeri. Non c'erano altri posti. Poiche' la sbarra era alta, teneva i piedi appoggiati ai due lati del supporto del sedile del guidatore, e per vedere la strada stava curvo in avanti tipo avvoltoio sul ramo, braccia appoggiate sulle cosce, e muoveva la testa a destra e a sinistra in contrappasso a quella del conducente, il quale si buttava prima da un lato poi dall'altro lottando con lo sterzo nei tornanti. Strada lenta e tortuosissima.
C'era anche un'altro motivo per cui eravamo su quella corriera. Eravamo alla ricerca del fungo psilocybe mexicana, noto per crescere negli alti pascoli dello stato di Oaxaca. Eravamo partiti dall'Italia in sei - Pippo e Pat, Anto e Olivia, e il vostro corrispondente con Licia. All'epoca sui voli intercontinentali si volava con i sovietici, Aeroflot - costavano definitivamente meno di tutti gli altri. Per arrivare in Messico eravamo passati da Milano, Kiev, Mosca, Irlanda e Cuba. Ma quella e' un'altra storia...

La salita in corriera duro' tutto il giorno, con fermate frequenti per fare salire e scendere passeggeri locali. Licia e io avevamo trovato un posto nelle prime file, io seduto accanto alla classica India con borse e ceste, Licia seduta di traverso sulle mie ginocchia, i piedi in corridoio. Mi ricordo che il panorama mi stanco' presto, e mi trovai a fissare per lunghi tratti la pila di machete sul pavimento dell'autobus. Ogni passeggero lasciava il suo per terra accanto al conducente quando saliva, per poi riprenderselo alla sua fermata. Ed erano questi machete da lavoro, largamente senza fodero, con una cordicella al manico, lame lucenti e variamente consunte dall'uso. Dovete capire che questa pila di lame - ce ne saranno state una dozzina - non era fissata o tenuta da niente, ed ad ogni curvone della corriera si spostava pericolosamente da un lato o dall'altro. Il conducente, in scarponi, era bravissimo ad alzare il tallone da terra senza mollare il gas ogni volta che una lama gli andava vicino. Poi controsterzava e la lama scivolava via. Questo, e la testa di Pippo che ondeggiava come quella dei cani finti che una volta si vedevano sui lunotti delle automobili mi tennero occupato per qualche tempo. Era gia' buio quando arrivammo a San Mateo. Scendemmo, la corriera prosegui' nella notte.

San Mateo era solo una fermata dell'autobus sull'altopiano. Non c'era niente se non una pulqueria al lato della strada e qualche casupola di legno col tetto di paglia. Trovammo alloggio in una di queste. Ci mettemmo d'accordo con una signora India, la quale ci preparo' un pasto caldo - non mi ricordo piu' cosa fosse - e ci diede l'unica stanza della casupola. Un letto grande senza coperte, una finestrella e poco altro. Fini' con gli altri quattro che tentavano di tenersi caldi stando strettissimi sul letto, mentre Licia e io ci appendemmo l'amaca che io avevo gia' comprato a Oaxaca (e che ancora ho dopo tutti questi anni) ai ganci appositi, ed essendo questa un'amaca per due dormimmo benissimo. Ci svegliammo presto. La bruma fredda si intrufolava fra le assi della baracca con la luce grigia dell'alba.
La signora torno' con il resto del nostro accordo con lei: un cartoccetto di carta di giornale pieno di funghetti odorosi, ancora sporchi di terra. 'Hongos' disse. OK, funghi. I famosi funghi allucinogeni messicani...

Decidemmo tutti assieme che San Mateo non era il posto giusto dove provarli. Non c'era nemmeno niente per fare colazione - ci fini' ad aspettare la corriera fino alle undici di mattina, con solo un bicchierozzo di plastica di pulque per scaldarci. Pippo insisteva 'e' buono!' ma era mattina diosanto, e il pulque e' agave distillata con tutte le spine dentro...
La corriera ci porto' giu' dalle montagne - e ci mise un bel po'. Dopo Candelaria Loxicha il cambiamento climatico una volta giunti nei bassipiani fu notevole: il caldo e l'umido arrivarono con la vegetazione tropicale ai lati della strada.
Era quasi il tramonto quando uscimmo dalla valle e il sole basso sul mare colorava d'oro il profilo e la rada di Puerto Angel.
Trovammo posto in un bel bungalow in spiaggia, su palafitte. Anzi, tre bungalow - uno per coppia. Grande, con l'alto soffitto di fronde di palma e i ganci per appendere le amache - cosa che facemmo subito. Licia aveva comprato a Oaxaca un'amaca ancora piu' grande della mia (lo so, le avevo tutte e due io nello zaino...) e il bungalow le accomodo' entrambe, appese sopra i materassi dei due letti doppi. Per salire sull'amaca bastava salire sul letto.
Cenammo tutti assieme in un ristorante di mare sulla stessa spiaggia, un poco piu' un la'. Puerto Angel era una strada parallela alla baia con due file di case e negozi bianchi, campi di canna da zucchero e ortaggi da un lato, e la spiaggia dall'altro. Il pesce, dopo tanti giorni lontani dal mare, fu un grande piacere. Un pescione rotondo e spesso, arrostito intero sulla brace, almeno un chilo a testa: lo huacinango alla veracruzana - una delizia che ricordo ancora.

Passammo la cena a discutere cosa fare con i funghi. Come previsto qualcuno si arricalco'. In inglese, bella frase, chickening out, che si puo' tradurre con 'gallinandosi fuori'. Le tre ragazze rinunciarono immediatamente: 'qualcuno deve pure rimanere nel mondo reale a tenervi d'occhio e a prendersi cura di voi se dovesse succedere qualche cosa'. Difficile ribattere. Pippo pure rinuncio'. 'Ho trovato l'erba, preferisco non mischiare'. Si, ok, fifone... Fini' che Antonio ed io ci dividemmo il cartoccetto di funghi. Ognuno nel suo bungalow, dopo cena. La signora a San Mateo aveva detto 'Si mangiano cosi' come sono, non li fate seccare che perdono la potenza'.

Non mi ricordo molto di quella notte. Dopo tutta questa introduzione e' un po' una delusione, ma tant'e'. Pero' un paio di cose mi sono rimaste nella memoria. Dormii, o almeno credo. Nell'amaca mia, da solo, con Licia che mi teneva d'occhio dalla sua amaca accanto, masticai piano un pugno di funghetti (ok, la terra l'avevo scossa via...) e rimasi li' a fissare l'alto soffitto del bungalow. L'amaca dondolava dolcemente - e qui e' la prima cosa strana: nessuno la scuoteva, ma dondolava. E dondolo', nella mia percezione, per tutta la notte. Ma non ci feci caso perche' ero troppo occupato - altra cosa - a guardare ad occhi spalancati il volo di uccelli - di tutti i tipi e dimensioni e colori - che roteavano nell'aria luminosa della notte. Sotto il soffitto di palme del bungalow, sopra di me, c'era un'intera voliera che roteava silenziosamente entro il perimetro del bungalow, uccelli grandi e piccoli - mi ricordo colli lunghi da anatre e code lunghe e colli corti da rapace - tutti insieme, per quella che mi sembro' tutta la notte, roteavano per me, nell'aria resa brillante dai raggi di luna che entravano dalle finestre aperte sul mare.

L'indomani mattina tardi ci trovammo in quattro, con Pippo e Pat. Anto ed Olivia se ne erano andati prestissimo. Ci lasciarono una nota scarna - qualcosa sul fatto che preferivano continuare il viaggio da soli. Well, buon viaggio. Olivia non piaceva a nessuno in ogni caso...quando ci ritrovammo in Italia, dopo il ritorno, Anto non volle mai parlare di quella notte, e ancora non so come fu la sua esperienza. Io mi tengo il mio stormo di volatili silenziosi e roteanti.

L'indomani ci spostammo qualche chilometro a ovest, fino ad un villaggio con una spiaggia piu' bella. Puerto Escondido si chiamava. Anni dopo seppi che qualcuno ci fece un film. Dopo un paio di giorni di mare noi quattro ci rimettemmo in viaggio per Salina Cruz e la frontiera col Guatemala, diretti al lago Atitlán, per naufragarvi (altra altra storia...).
Nell' auto con noi c'era un pappagallino giallo, nemmeno in gabbia: svolazzava dalle spalle dell'autista al cruscotto al lunotto, e in duecento chilometri riusci' a non farsi mai risucchiare da uno dei finestrini aperti.

Comunque ebbe ragione Pippo: meglio la marijuana. Resina di Cannabis Sativa, naturale e non dannosa.

Guardate me

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