Friday 2 April 2010

Domani finiro' il mio cinquantesimo anno di vita. Il che mi ricorda il giorno prima di compierne diciotto. Ecco com'ero...

Domani avro' diciotto anni e sono insoddisfatto come solo un diciassettenne brufoloso e fondamentalmente vergine puo' esserlo. Aprile e' gia' primavera qui nel sud, l'aria di sera e' tiepida. Cosa faro'? Non avro' mai piu' diciotto anni. Da domani posso guidare votare e firmarmi le giustificazioni da solo - per soli tre mesi, ma e' una soddisfazione. Cosa faccio? Seduto sotto i
ficus ciclopici di piazza Santa Maria di Gesu' guardo pezzi di cielo, le auto che passano e la gente che entra ed esce dalla pasticceria Privitera. All'altro capo della piazza via Cibele sale verso nord, fra i palazzi a destra e i Salesiani a sinistra, una fetta dello stesso cielo nel mezzo, e sotto in fondo, dove la prospettiva si perde, una macchia bianca: la neve intorno al cratere centrale. Sopra, un pennacchio di fumo piegato verso oriente, come sempre.
Mi torna in mente una frase letta su un libro sugli indiani d'America, un rito di passaggio: "Sali sulla cima di una montagna e piangendo aspetta una visione". Che stupidaggine sublime. Ma fra poche ore avro' diciotto anni, e niente mi sembra piu' adatto all'occasione. Si. Faro' cosi'. Anzi, lo faccio subito.
Vado a casa, riempio uno zainetto, prendo la corriera fino al Rifugio Sapienza. In due ore sono li'. E da li' salgo a piedi, incrociando turisti diurni che ridiscendono mentre il sole tocca l'orizzonte ad ovest. Dietro di me e molto piu' in basso la citta' e la pianura sono gia' macchie scure costellate di briciole di luce. Sopra, il cono del cratere e' grigio e rosa, ancora illuminato dagli ultimi raggi del sole. La salita e' facile ma lunga, il pendio dolce.
Quando arrivo sull'altipiano a quota 2900 e' notte. Mi fermo qui. Al cratere - il quale si erge come un mostro piegato su se' stesso e mezzo addormentato al centro dell'altopiano - ci saliro' domani. Stendo il saccoletto in un angolo della veranda del rifugio ancora chiuso, fuori stagione, al riparo dal vento, mi siedo come un indiano (penso), e rimango li' a guardare in basso le luci di meta' della Sicilia che svaniscono lontane.
Passo la notte cosi', pensando alla mia vita che sembrava non dovesse arrivare mai a diciotto anni e ora improvvisamente li ha trovati. Penso a quando avro' quarant'anni, nel 2000. Penso alla ragazza che mi piace in quel momento, capelli neri e lunghi. Penso a tutto tranne che a cose importanti o che possano garantirmi una visione indiana. Le stelle riflettono le luci in basso, ma sono molte di piu'. Meta' del panorama e' vuoto, nero, come il nulla: il mare Ionio inghiottito da se stesso, la luce fioca di qualche paranza lontanissima galleggia nel vuoto. E' gia' domani, sono gia' adulto. Sono uguale a prima. Sono sempre uguale a me stesso. Forse non e' una visione, ma a questo punto della mia vita e' gia' abbastanza per qualificarsi come rivelazione.
Sotto di me l'Etna brontola in toni bassi, sento solo le vibrazioni nella pietra su cui sono seduto. Solo come mai prima, guardo l'orizzonte ad oriente che ancora non c'e'. Mi chiedo cosa ci sia per me in quella direzione. Con un sospiro che mi ricordo anche se forse non ci fu, mi dico che un giorno ci andro'.
Quando fa luce salgo al cratere, giro intorno al fumo e alla puzza di zolfo, guardo brevemente nell'abisso ma non mi fermo. Continuo verso nord e ridiscendo. Ho un esame di maturita' da fare. E un sacco di posti dove andare.