Thursday 5 February 2009

archivio (56) Sogno

Stanotte ho sognato che camminavo lungo via Lago di Nicito, scendendo verso Piazza Santa Maria di Gesu'. Quando passo accanto ad uno dei ficus millenari che ci sono nella piazza un boa nero scivola dal ramo sopra e mi attacca. Constrictor! penso nel sogno, mentre gia' le spire mi avvolgono e mi sollevano da terra. Mi balena in mente Karaghiosis alle prese col boadillo... Inspiro, gonfio il petto e l'addome per non farmi stritolare subito, mentre con gli occhi cerco la testa: se riesco ad affondagli le mani e gli avambracci fra le mascelle potrei riuscire a fargli mollare la presa prima che mi uccida...
...poi apro gli occhi e c'e' la piccola spalmata su di me che mi coccola e allo stesso tempo mi urla all'orecchio: 'Papa' svegliati, it's time for work!'... turning.gif

Orazio il tuffatore

Catania divide la sua costa in colori forti: a sud della citta' la plaia, la spiaggia si estende bianca e lucente in un arco gentile per dozzine di chilometri fino ai contrafforti rocciosi del siracusano. 
A nord della citta' invece, dal lato della montagna, il lato dell'Etna, chilometri di rocce laviche nere scolpite dal mare seguono il percorso della storia e del mito. Porto Ulisse, i faraglioni di Polifemo, la casa del nespolo, le fortezze normanne, le citta' chiamate come la ninfa Aci si susseguono fra i fichidindia e i cespugli di cappero che macchiano la roccia nera. La "scogliera", che d'estate si riempie delle migliaia di persone che non sopportano la sabbia nel costume. 
Il re incontrastato della scogliera era 'Arazio. Nessuno sapeva chi fosse veramente o quale fosse il suo cognome. Fisico asciutto, bassino, muscoli come corde bagnate, perennemente superabbronzato, capelli imbionditi dal sole, 'Arazio passava la vita a prendere il sole sulla scogliera. A Febbraio lo si trovava gia' li', in uno dei suoi posti preferiti, difendendosi dall'aria fredda con un fuoco acceso con i pezzi di legno gettati dal mare invernale sugli scogli, per i quali l'inglese ha una parola bellissima, driftwood. L'asciugamano rosso sbiadito e la scatola grande di Nivea, 'Arazio era sempre al mare, da solo, ogni giorno di sole dell'anno. 
'Arazio parlava solo il catanese. Non aveva studiato ne' aveva velleita' culturali di alcun tipo. Pero' sorrideva sempre ed era gentile con tutti. 'Arazio non si muoveva troppo dal suo asciugamano, e quando lo faceva sembrava una lucertola al sole, lento e ponderato. 
'Arazio era il tuffatore per antonomasia. Strabiliava tutti con la sua capacita' e abilita' di tuffarsi da qualunque punta della scogliera, a prescindere dall'altezza e dalla profondita' dell'acqua sotto. 
All'epoca, con un paio di miei compagni di ginnasio e qualche altro amico cominciavamo ad andare al mare ad Aprile, quando il sole era abbastanza caldo da scaldare la lava solidificata della scogliera, anche se l'acqua era ancora fredda. Prendevamo il 32 dal centro e in mezz'ora arrivavamo al Selene, tratto di scogliera libera cosi' chiamato dal ristorante omonimo affacciato sul blu del golfo, venti metri sopra il mare. Sapevamo nuotare, essendo cresciuti alla plaia, ma ci tuffavamo solo a piedi in avanti oppure a bomba, e mai da piu' di un paio di metri di altezza, magari anche turandoci il naso. Facevamo un sacco di confusione e spruzzi, e ci divertivamo moltissimo. 
Per qualche motivo rimasto ignoto, 'Arazio, dopo qualche tempo passato ad osservare - appoggiato su un gomito - i nostri miseri tentativi, decise di insegnare a noi pischelli a tuffarci. Comunicazione era un problema: il suo catanese era stretto e il nostro italiano ginnasiale: eppure bene o male ci riuscimmo. 
"Coordinazione costante" erano il suo mantra, nonche' le uniche parole in lingua che conoscesse. Nel corso di un'estate calda, tenedoci praticamente per mano, ci insegno' a non avere paura, e ad entrare in acqua sempre perfettamente. In pochi lo seguimmo sempre piu' in alto sugli scogli, mentre altri, soddisfatti di avere imparato la tecnica di base, rimasero in basso. 'Arazio conosceva tutti i posti giusti per tuffarsi su e giu' per la scogliera, e ci dava appuntamento per il giorno dopo "sotto la tavenetta" oppure "alla nave di pietra", dove passavamo la giornata a studiare la sua tecnica e a tentare - poveramente - di imitarla. Ma lo seguimmo a tutte le altezze di scoglio, anche quelle che quando la folla di bagnanti come gabbiani sulle rocce lo vedeva salirci, si ammutoliva, si sedevano eretti sugli asciugamani, inforcavano occhiali da sole per vedere bene o allungavano le mani nelle borse per prendere le macchine fotografiche. 
'Arazio saliva agilmente ma lentamente sullo spuntone o sulla cima di roccia nera piu' alta che ci fosse in giro. Passava gran tempo a trovare la posizione di appiglio per le dita dei piedi, fondamentale per superare gli scogli sotto e le lame di lava che spuntavano ovunque dagli scogli. Perche' la lava nera si alliscia coll'azione del mare giu' dove le onde incessantemente la lambiscono, ma sopra, a dieci o quindici metri di altezza, dove gli spruzzi arrivano solo con le mareggiate di scirocco invernali, la lava e' una grattugia: si mangia suole e pelle di piedi solo a camminarci sopra. E 'Arazio aveva una predilizione per rocce non a picco. Rocce cioe' dove occorreva tuffarsi spingendosi molto in avanti per evitare di cadere sulla lava sottostante. 
Una volta trovata la posizione, 'Arazio stava per parecchi minuti immobile, eretto, braccia piegate ai gomiti e mani davanti al petto, come in preghiera, guardando le onde che pigramente arrivavano dal largo e si perdevano nella cala sotto, molto sotto di lui. 
Poi, come una molla, si lanciava verso il sole, braccia improvvisamente aperte, un riflesso color cuoio nuovo contro il blu del cielo...arrivato all'apice della spinta il torace e la testa si piegavano come un coltello a serramanico verso il basso, le braccia si chiudevano in avanti, e le gambe seguivano la direzione imposta dalla gravita' rialzandosi verticalmente dietro ed in alto, il tuffo carpiato perfetto da venti metri di altezza, il corpo ancora librato in aria, sospeso come il fiato di tutti i presenti. E poi giu' giu, a picco, coordinazione costante, contro lo sfondo di roccia nera, talloni uniti, braccia e mani pronte a rompere il pelo dell'acqua, per un tempo che non sembrava non finire mai, fino a sparire con piccolo spruzzo ed un piccolo splash nel verde-blu del mare sotto, entrando in acqua - orrore supremo - esattamente nel metro e mezzo di mare disponibile fra due scogli affioranti. 
Solo allora gli astanti respiravano. Quando riemergeva, applausi e voci lo accompagnavano al suo asciugamano sbiadito, dove si stendeva ad asciugarsi, un pezzo di sorriso all'angolo della bocca e una innata modestia che gli impediva di riconoscere le emozioni che dispensava. 
Le storie su di lui erano tante: che era un ex-calciatore, che fosse del rione San Cristoforo, covo di amici e di donne dagli occhi di bragia, che vivesse mantenuto da una donna...nessuno di noi volle mai sapere davvero chi fosse o cosa facesse: era 'Arazio il tuffatore, leggenda della scogliera, pelle di serpente e sorriso costante. 
Per quanto ne sappia, e' ancora li' che si spalma di nivea ed insegna ai ragazzini come non farsi male nel passaggio fra la roccia, il cielo e il mare. 

archivio (55) Sera a Saigon

Lasciate che vi racconti della mia cena da solo a Saigon. Lo so che non e' ancora notte da voi, ma qui si, e io mi sento ispirato (/espirato). 
Un amica recentemente mi sciveva ti immagino sul mekong, seduto a gambe incrociate in una canoa, in maniche di camicia arrotolate, il fucile sulle gionocchia... Quasi giusto. A parte il fucile, che e' una cosa solo da Africa ormai. Ma qui e ora sono in citta', e che citta'. Quando ho finito di lavorare - da solo, in camera d'albergo - erano ormai le nove e mezza di sera. Non sono qui da solo: ci sono colleghi nello stesso albergo. Ma americani, australiani, indiani, inglesi e cinesi di Hong Kong hanno tutti una cosa in comune, culturalmente angli che non sono altri: cenano alle sette di sera. Spesso lo faccio anche io, per non essere antisocial, ma oggi proprio non ne avevo voglia. Quindi ho saltato il pranzo, e solo quando ho finito tutto quello che dovevo fare sono uscito. Saigon e' come Hanoi ma piu' americana. Sempre il fiume di motorini c'e' per strada. Sul marciapiede ho alzato una mano e si e' fermato un VinaTaxi. Gli ho dato il bigliettino del Pacharan e mi ci sono fatto riportare. Venti minuti forse, traffico ormai leggero, tre euro - cosi' sono i taxi in quasi tutto il mondo: moltissimi, disponibili, e non cari. Ma lasciamo perdere i pippotti...sono arrivato che erano le dieci, e sceso dal taxi mi sono trovato davanti la porta del night club accanto, e il fila sulla porta cinque zoccole in minigonna, ovviamente messe li' per attirare il pubblico...meno male che avevo troppa fame, ergo le ho ignorate. Il ristorante e' la porta accanto. Ignoro le zoccole ed entro nel ristorante spagnolo di Saigon. E' su tre piani, ad angolo in una piazza. Sotto il bar, sopra il ristorante vero e proprio (con un altro bar), e piu' sopra ancora terrazza. Pareti bianche, archi che ricordano l'Alhambra, echi di al-andalus. O sono io che dalla fame vaneggio, piu' probabile. Una ragazza mi accompagna al primo piano. 
- sei solo?
- si
- siediti qui, vedi la piazza e puoi fumare 
- e tu come lo sai che fumo? 
- hai fumato l'altra sera quando eri qui col tuo collega
(sorridendo alla mia faccia incredula - non me la ricordo assolutamente e sono venuto solo una volta prima)
- vuoi lo stesso vino?
(recuperando, maschera da KT su)
- si grazie 
Se ne va, vestita da Viet Cong in pigiama nero, sottile e flessuosa. Appoggio le sigarette sul tavolo, il portacenere c'e' gia'. Torna in dieci secondi con il menu'. Visto che sono gia' le dieci non voglio fare perdere tempo alla cucina, ordino subito. Una ciotola di olive cunzate (condite con olio, peperoncino, pezzi di cetriolini ed altre cose yummy), insalata di erba verde scura con su adagiate due fettone di meraviglioso, fantastico, orgasmevole queso de cabra, a cui si dovrebbe elevare un'ode. Poi stufato di puerco con ceci e altre cose buone. La ragazza sparisce di nuovo. 
Guardo la piazza. Sotto la finestra - che non e' una finestra, e' una vetrina, come quelle dei negozi, solo che invece di guardar dentro si guarda fuori - c'e' un semaforo, dozzine di motorini fermi al rosso. Mi hanno detto che a dicembre scorso hanno introdotto la legge sul casco, ed infatti tutti ne hanno uno: coloratissimi, a fiori, a forma di coccinella a pois, rosa, azzurri, gialli. Un bimbo, in piedi davanti al padre che guida, ne ha uno con un bellissimo paio di corna da diavoletto. Luminose, rosse. Penso che sia una figata. Al centro della piazza taxi parcheggiati - a Saigon i taxi sono di tutti i colori e forme, dall'altro lato della piazza i quattro piani in stile francese del Grand Hyatt, anche lui bianco.
La ragazza torna col vino. Semplice Vina Sol Torres, bianco. Nei paesi tropicali non ce la faccio a bere il rosso - troppo caldo. Mi mette anche il secchiello col ghiaccio per tenerlo fresco. Poi arrivano il pane e le olive, una baguette a fette calda calda. Mmmm.... fra me e me mugolo di piacere olfattivo e gustativo. Mangio, e bevo. Penso alla giornata e al Vietnam a come mi piacerebbe vivere qui, fra questa gente che al contrario dei cinesi con faccia torva o inscrutabile, sorride sempre. Poi arriva l'insalata (mi sono abituato a questa cosa che l'insalata la mangiano prima della pietanza). Il queso di cabra e' rustico come deve esserlo marieddu, e profumato come deve esserlo chi gli sta dietro. Al sapore e' come una crema densa con sentori di miele ma allo stesso tempo tagliente...non le so descrivere queste cose, ci vorrebbe la veronellite, che non ho. Col pane raccolgo l'olio - vero - e lentamente mi sento meglio. Al bancone del bar, dall'altro lato della sala, oltre gli archi, quattro turisti australiani vestiti da turisti - pantaloncini, magliette, sandali - bevono e si fanno fotografie con in testa i cappelli di paglia a forma di cono tradizionali, che devono avere comprato come souvenir. Li ignoro. 
La ragazza Viet Cong appare dal niente ogni volta che il bicchiere e' vuoto, non dice niente, lo riempie, e sparisce. Per rispetto a cotanta professionalita', ogni volta che ripete la procedura io appoggio la forchetta e smetto di mangiare, e quando ha finito le sorrido. 
Lo stufato di puerco non e' per fortuna tanto, ma i ceci sono buoni e con l'aiuto del pane anche questo e' finito in poco tempo. Fuori il traffico diminuisce. Due motorini si scontrano e finiscono a terra, ma andavano entrambi a due all'ora, quindi si rialzano, si scotolano, e ognuno per la sua strada. 
Ho finito e mi sento benissimo. Per puliziarmi 'a ucca, come si dice, chiedo un piatto di frutta. Arriva pulita, affettata e impilata. Il mango e' buono, l'anguria pure, la mela anche. Il dragonfuit non tanto, ma mangio tutto lo stesso. La solitudine non rovina la cena, per furtuna, se no in questi viaggi non mangerei mai. 
Si sono fatte le undici, e dietro di me stanno chiudendo la cucina. Chiedo il conto - roba da poco, anche col vino - pago, lascio la mancia alla Viet Cong (non lo faccio mai in Oriente, dove non se l'aspettano) e me ne vado. Esco sulla strada e per fortuna le zoccole non ci sono piu'. Sul bordo del marciapiede alzo una mano, e un taxi si ferma subito. Saluto l'autista, gli do' il bigliettino dell' albergo dove sto, poi mi appoggio allo schienale e chiudo gli occhi. In Italia sono le sei del pomeriggio, ma KT, nel Far Side of the World ora vuole solo dormire. Devo ricordarmi di dire a SonoEsa del queso de cabra...
..tutto questo scrivere mi ha messo fame, e sono le 18:15 a Saigon. Non ho pranzato, quindi esco e vado a cena qui vicino. Mi hanno detto che c'e' un ristorante Ceco che fa carne alla brace come si deve...

archivio (54) Cinitalia

L'unica liberta' che i cinesi moderni non hanno e' quella di scegliersi il governo. Non che in Italia sia molto diverso, al massimo possono scegliersi un partito. Tutte le altre liberta' personali che noi prendiamo per garantite ci sono anche in Cina, e da anni ormai. Ne cito solo alcune cosi' la finiamo con questa farsa, e facciamo invece raccolte di firme per le cose importanti che ci riguardano direttamente, come i vergognosi lager in Puglia per i lavoratori immigrati, per i quali nessuno naivemente si agita o raccoglie firme, e nessuno si dichiara d'accordo. 

In questo momento, un cinese medio, uomo o donna, di qualunque estrazione sociale, istruito o no, puo' liberamente scegliere, solo ed esclusivamente sulla base di preferenze personali, e ovviamente di quanti soldi abbia, una, alcune o tutte le scelte seguenti:
- dove vivere
- se e cosa studiare, e dove
- che lavoro fare: operaio, impiegato, imprenditore, commerciante, statale. 
- da chi farsi raccomandare per favori, promozioni, carriera
- che taxi o autobus o metropolitana prendere per spostarsi
- cosa mangiare, quando, e cosa scegliere. E la scelta e' infinita.
- cosa bere, e lo fanno in quantita', in compagnia e con gusto.
- se, dove e con chi sposarsi. Chi invitare, che vestiti indossare, e se fare il servizio fotografico vestiti entrambi stile belle epoque o in stile giapponese in kimono, entrambi al momento di moda. 
- quando divorziare
- se e quando risposarsi
- quando fare un figlio, o non farlo
- da quale medico o in quale ospedale farsi curare. 
- dove e quando andare in vacanza, compreso all'estero
- che regali comprare e a chi, e in quale ricorrenza
- che vestiti, accessori, orologi, profumi comprarsi ed indossare o usare. 
- che telefonino comprare, quale network scegliere, e quanto pagarlo
- dove andare per parrucchiere, sauna, massaggi
- che automobile comprarsi, comprese BMW, Merc e Lexus. 
- dove andare il venerdi' sera e tutte le altre sere
- dove andare la domenica, compreso in chiesa o allo stadio
- che amici/ amiche avere, e chi evitare
- dove andare al bar
- dove andare a giocare a carte o a majong
- cosa leggere fra tutta la roba stampata disponibile, comprese migliaia di traduzioni, ufficiali e no, di testi stranieri.
- che canale televisivo guardare fra le dozzine disponibili (OK, non la BBC o la CNN. Ma la televisione di stato fa propaganda a chi comanda, esattamente come da noi, quindi si regolano su cosa credere, proprio come noi) 
- quale forum, chat room, o blog seguire (e le notizie sui giornali del governo che controlla internet sono esagerazioni - ci sono 500 milioni e piu' di persone che usano internet in Cina - lo farebbero forse se non ci fosse niente? Googlate 'circumventor')
- quale mostra d'arte andare a vedere, e che tipo di arte comprarsi per decorare la casa
- a quale conferenza, seminario, congresso o altra riunione professionale, domestica o internazionale, partecipare. 
- cosa fotografare e quando, a parte le zone militari
- quando scioperare
- quando cambiare lavoro (sia la scelta che le opportunita' sono senza fine)
- che pensione privata scegliere, e quando mettersi in pensione
- chi lasciare l'eredita'
- che domestica assumere, se filippina o indonesiana.
- quanto pagarla in nero
- quanto pagare di tasse, e quanto cercare di evadere
- quando e' il caso di lamentarsi per la corruzione dei governanti locali, e quando e' il caso di sfruttarla.
Ce ne sarebbe di piu' ma non e' che possa perdere troppo tempo con queste favole della Cina orco dell'era moderna.

archivio (53) Sativa

Prefettura di Dali, Yunnan occidentale. 

Cresce lungo i bordi delle strade, nei cortili delle case, nella terra fra le risaie, sotto i noci e perfino fra le terrazze di mais. E' ovunque, endemica, selvatica, cannabis indica, non meno di quattro mesi prima che faccia i fiori. Una volta mi sarebbe venuto da piangere, ora mi limito a guardarmi in giro, che gran posto. 
E' da una settimana che sono in giro per queste valli. Villaggi a mezza costa all'ombra dei pini, muri dipinti da poco di bianco e decorati a murali tradizionali di queste genti, un misto di Han e Dai, spruzzato da altre razze, qui da chissa' quando. Le strade bianche lungo le pendici della valle sono frequentate da asini, vacche, capre, e le donne che se ne occupano. Gli uomini sono andati a lavorare in citta', i bambini sono a scuola. 
A fondovalle la diga di terra, i larghi ideogrammi fatti di sassi imbiancati che le danno il nome messi sul pendio dal lato asciutto coperto di erba che sembra un prato inclinato, la diga dicevo, spinge un lago azzurro su per la valle, ed accanto, non cosi' lontano da non sentirne il rumore, l'autostrada e' nera con le macchie verdi dei cartelli che guidano il traffico. L'intera valle e' coltivata, ed e' bellissima: le risaie sotto la diga si estendono verso il sole di mezzogiorno, le pendici ornate da fasce di terrazze a mais, fagioli, pomodori e perfino patate. Villaggi e case qui e li, come masserie nostre, quadrilateri come fortini, casa magazzini e stalle uniti da muri, i tetti grigi di ardesia hanno un accenno di riccioletto alle estremita' della trave di volta. 
E ovunque cresce l'erba. Come i fiori. Devo tornare in stagione...

...e' arrivato l'aereo e hanno messo un tappeto rosso, piu' c'e' la limo sotto la scaletta ad aspettare chissa' chi. Certo, ormai le BMW serie 7 ce le hanno cani e porci in Cina, difficile dire chi possa essere. Poi onestamente, chissenefrega? Speriamo che si sbrighino, che l'aereo serve a me per tornare a Kunming, e da li poi ad Hanoi...la strada che tanto mi piace e' ormai un concetto solo mentale, fatto di posti ed aeroporti, ma le stradine della valle di Xiangyun, la bresaola di asino, il sole alto ma non caldo su queste montagne ne fanno un'idea che ancora mi va bene, e mi dispiace non poter dividere con altri meglio di cosi'.

In memoriam

Se n'e' andato, e io non sapevo nemmeno che stesse male. 'Da pochi mesi', mi dice una voce che conosco ma che non riesco ad abbinare ad un viso al telefono, dalla Sicilia, stamattina prestissimo. Ero gia' sveglio, tentando di riassorbire il jetlag delle ultime settimane. 
'Non ne sapevo niente'. 
'Lo sai come sono in famiglia', aggiunge la voce che esce dal telefono. Se lo so. Gente riservata, che ha sempre tentato di non dare nell'occhio. E di non raccontare molto delle faccende proprie, neanche agli amici. 

Quinto di sette fratelli e sorelle, la mia eta'. 'Ai polmoni', dice la voce. 'Il funerale domani, a casa'. Non c'e' niente altro da dire, ci salutiamo, chiudiamo. Riprendo il libro che stavo leggendo, e mi risdraio sul sofa. Dietro di me, dalla finestra, la luce dell'alba schiarisce il cielo oltre il profilo dei grattacieli di Hong Kong. 

Il libro e' uno sconosciuto romanzo ambientato fra gli Anglo-Indiani poco prima dell'indipendenza. Molto bello. Decido di non pensare e mi rimetto a leggere - tutti dormono ancora. Leggo tre o quattro pagine prima di rendermi conto che non sto assorbendo niente. 

Suppongo che sia un'altro dei riti di passaggio della vita, quando uno muore, e per la prima volta ti rendi conto che non e' qualcuno piu' vecchio di te, ma uno dei tuoi contemporanei. Uno con il quale sei cresciuto, hai condiviso e fatto cose assieme. Una persona a cui tieni. E ora non c'e' piu, e nessuno vedra' mai piu' il suo sorriso sotto i baffi, il suo passo silenzioso, i quasi riccioli senza forma, la sua figura alta e magra e sempre uguale a se stessa, come impervia al passare del tempo. 

Era il 1979, forse le due del pomeriggio, ed io ero bloccato dentro i cancelli del liceo, assieme ad un cretino di LC, mio compagno di classe, il quale non so cosa avesse fatto il giorno prima durante una manifestazione del Fronte. Ed oggi siamo li', ancora al liceo dopo che se ne sono andati tutti, a pensare a cosa fare mentre dall'altro lato della strada una bella squadra di fascisti con bandiere arrotolate attorno a manici d'ascia aspettano che lui esca per fargli un discorso. E io, come al solito in quegli anni, nel mezzo, per curiosita' piu' che altro. I tipi non osano attraversare la strada e venirselo a prendere dentro la scuola - sanno che prima o poi dovra' uscire - ma non hanno nemmeno intenzione di andarsene. Finalmente il preside chiama i carabinieri, i quali vengono a prenderselo e lo portano a casa in sicurezza con la loro auto. La delusione nei volti dall'altro lato della strada e' grande, ma contano di rifarsi sull'amico rimasto: io. Mentre penso che se lasciassi i libri a scuola potrei anche riuscire a distanziarli a piedi - ma forse no, c'e' sicuramente qualche calciatore nel gruppo, una 127 bianca frena davanti al cancello. Si apre lo sportello, una voce dice 'sali!' e io salgo, anzi mi ci tuffo dentro. L'accelerazione richiude lo sportello, una nuvoletta e uno stridio di gomma bruciata e' tutto quello che rimane ai fascisti - non gli e' andata bene oggi. Mi giro, mi lascio cadere sul sedile e sbotto in un sospirone di sollievo. Poi lo guardo e gli faccio 'E tu chi sei?'
'Piacere mio. Enrico. Tu giochi a basket con mia sorella Anna'

Quella fu la prima volta che lo incontrai, ventinove anni fa. La mia memoria nuota fra ricordi che affiorano come gli scogli fuori dalla caletta al mare fra i bracci di lava dove sorge casa sua. Mi ricordo come si appassiono' subito al windsurf, e il tempo che ci passava. Ricordo le competizioni di tuffi, a chi si tuffava dallo scoglio piu' alto, o da quello piu' difficile. Che io sappia, solo noi due siamo stati tanto temerari - o incoscienti - da tuffarci dalla terrazza di casa sua, le dita dei piedi precariamente aggrappate all'orlo, la balaustra dietro la schiena, mirando ai tre metri di larghezza della caletta e ignorando gli scogli neri di lava da entrambi i lati. Cose da ragazzi. 

La Sicilia gli stava stretta. Ci fu una storia d'amore che fini' male, se ne ando' a lavorare nella piattaforme petrolifere. Prima in Libia, poi in Siberia. Tornava ogni tanto, di solito d'estate. Aveva un Guzzi Le Mans 850 rosso, e lui fu l'unica persona con cui facevamo ogni tanto scambio di motociclette. Voglio dire, la moto non si scambia connessuno - e' come una donna. Non si presta. Ma per qualche motivo non era un problema con Enrico. Quando aveva una ragazza da portare in giro si prendeva la mia California II, parcheggiata nel cortile di casa - tanto io passavo l'estate al mare a casa sua - con la quale era molto piu' facile e comodo scarrozzare ragazze in giro, e mi lasciava le chiavi della sua, con la quale io andavo in giro nelle notti d'estate. Sul Le Mans bastava aprire un po' il gas in quarta per fiondarlo da 70 a 150 in tre respiri e una marcia a salire, nelle ossa quel rombo che faceva scattare gli allarmi delle auto parcheggiate. 

Nell'inverno del 1988 trovammo una settimana libera, e partimmo assieme per competere nel Moto Guzzi Winter Trophy. Era una cosa semplicissima: bisognava passare da nove localita' le cui iniziali formassero le parole 'MOTO GUZZI'; fotografare la moto con la targa visibile sotto il cartello stradale con il nome della localita', e mandare una cartolina a Mandello del Lario da ognuna delle localita' stesse. Chiunque avesse fatto il maggior chilometraggio avrebbe vinto. Fu una gran settimana: risalimmo la calabria, passammo dalla Campania, arrivammo in Abruzzo, poi in Molise, scendemmo in Puglia, Lucania e poi di nuovo Calabria. Facemmo le foto, dormivamo in tenda (ed era dicembre), ci fermavamo qua e la' per mangiare o per guardare il panorama - ma mai piu' di dieci minuti perche' avevamo i giorni contati - fu un tour de force, forse tremila chilometri, e ci divertimmo moltissimo. La Moto Guzzi ci mando' due orologi dedicati al Winter Trophy, di cui entrambi eravamo segretamente orgogliosi. 

Un giorno torno' dall'oriente, dove aveva cambiato settore - dal petrolio ai pastifici - con una moglie vietnamita. Era carina, mi ricordo, e in famiglia, abituati a queste cose (storia lunga), la accolsero bene. Ma lei non si trovo' bene lontana da casa, e presto se ne torno'. Enrico fu filosofo, non si scompose. Nel frattempo pero' me ne ero andato io dall'Italia. Ci tenevamo in contatto tramite Anna: E' a Grenoble - di nuovo in Russia - in Saudi Arabia. La volta successiva che io tornai in Italia lui era a Milano, dove stava finendo un lavoro. Mi telefono': Mi aiuti a portare giu' la Guzzi? Presi il volo Catania-Milano con il giubbotto, i guanti e il salvacollo in tasca, il casco come bagaglio a mano. Mi venne a prendere all'aeroporto, ci fermammo a cenare da un cinese, poi ci mettemmo in autostrada. 150 fissi, Cambiavamo posto ogni tre o quattro ore, uno guidava, l'altro dormiva appoggiato alla schiena davanti, il rombo e il ritmo del grosso bicilindrico che davano una sensazione di sicurezza, come un cullare. Fu una fiondata unica fino a Catania, una notte e mezza giornata senza fermarsi se non per benzina e sigarette. Quando arrivammo Anna ci aspettava con le canne e il vino nuovo della campagna. 

Mi ricordo il tempo e il sudore per costruire un paddock per i cavalli, in campagna dal fratello. La polvere, il caldo d'agosto, il legname, i buchi per terra, i mucchietti di chiodi lucidi fra l'erba gialla. 
Mi ricordo la sua ragazza di quel periodo, Giusi, entrare urlando nella stanza della televisione una sera tardi, mentre giocavamo a briscola in cinque. 'Venite presto, Enrico sta male, e' diventato tutto rosso, sembra un peperone, e' caldissimo, le lenzuola gli bruciano la pelle...'. Attonimento generale, poi l'altra Giusi, gia' medico a quel tempo marcio' nella camera da letto ordinando a tutti di rimanere seduti e di non muoversi. Per un po' ci fu un viavai dalla camera alla cucina, bacinelle di acqua fresca, pomate e creme, mentre noi giocavamo fra alzate di sopracciglia e sguardi dubbiosi. Quando torno' le ridevano gli occhi. 'Tutto a posto, non c'e' di che preoccuparsi. Una semplice irritazione dell'epidermide, come un'allergia. Ho detto a Giusi di lasciarlo in pace per qualche giorno e sara' come nuovo...' Fra gli sguardi attoniti di tutti uno dei fratelli chiese: 'Come sarebbe a dire?
Semplice...scopare troppo con questo caldo puo' causare eruzioni cutanee e irritazioni generalizzate della pelle, che e' quello che e' successo a vostro fratello. Se Giusi riesce a controllarsi non c'e' problema
Ridemmo per molto tempo di questa storia. Non Giusi, la quale per il rimanere dell'estate fu soprannominata 'la vespa'. 

Eravamo assieme quando scoprimmo il cibo degli dei, qualche pagina piu' su. E molte altre occasioni che ora non voglio o non riesco a ricordare. 

Enrico parti' poi per l'Africa occidentale, e qualche tempo dopo porto' a casa un'altra moglie, questa volta dal Senegal, o forse dalla Sierra Leone. La storia e' molto piu' complicata di cosi', mi sembra che una delegazione di fratelli sia andata a trattare con la di lei famiglia per suggellare il contratto di matrimonio - non sono sicuro, io ero a Londra a quel tempo. Certo e' che la moglie era - e' - bella e altera, come la famiglia in cui si era sposata. Con lei ebbe uno splendido maschietto, un furbone di bambino, uguale a suo padre nel sorriso e nel farsi volere bene. Credo ora abbia cosa, forse sette anni, otto? Spero abbastanza per ricordarsi di suo padre quando lui stesso sara' un uomo. 

E le cose che non si ricorda, ci sara' chi gliele raccontera'. 

Enrico, 1960 - 2008. In memoriam