Wednesday 4 February 2009

Caffe'

Sono le sette di mattina e sono in piedi in cucina, il gomito sinistro appoggiato al muro, un piede incrociato sull'altro. Aspetto che la caffettiera si sbrighi, guardo giu' dalla finestra il traffico mattutino su Electric Road, il cervello ancora spento e addormentato. 

Con un fruscio arriva la mia piccola gia' vestita per scuola. Passa sotto l'ascella e mi da' un grande abbraccio attorno alla pancia, stringendomi ad occhi chiusi e sorridendo, come fa lei sempre. 
Abbasso la testa per darle un bacio sui capelli, e arriccio il naso. 

Piccola, cosa e' questo odore?
Lei fa un passo indietro, alza la testa, assume un'espressione afflitta.
La mamma mi ha comprato lo shampoo al pineapple. Come si dice pineapple?
- Uhm...ananas? 
- Ecco si. Ananas. E anche il conditioner - il balsamo - e' di pineapple. E siccome non ne ho altri devo lavarmi i capelli con questo per forza. 
- Dai, non e' tanto male...

Mi interrompe, la voce piu' alta di un'ottava:
Papa'! ma tu non sai che il body wash che ho e' al mango!
- Mango. Giusto. Uhm...e quindi...? 
- Papa'!! E quindi vuol dire che odoro come una Macedonia di Frutta!! Grrrrr!!
- Oh. I see... Capisco. Uhm... Guarda, troveremo sicuramente una soluzione. Nel frattempo, quando ti fai la doccia vai a prendere il mio sapone e usa quello.
- Oh posso? Davvero? Grazie papa'. Bacio, devo andare adesso o perdo l'autobus...
- Ciao maced...ehm.. *smuak*

Mi guarda con i fulmini negli occhi ma sorride, e scappa via.

archivio (52) Quarta sponda

L'hotel e' in Baladiya Street, di fronte alla sede locale delle Nazioni Unite. Naturalmente, secondo la mappa del Touring Club Italiano (che si trova online) la strada si chiamava via Generale Emilio De Bono, e di fronte c'era il comando militare della colonia. 
E' ancora presto per farsi un'idea precisa - sono arrivato solo ieri sera, e stamattina sono uscito per comprare le sigarette. Ma la sensazione di essere in Sicilia e' forte. Le strade strette, le case a due o tre piani, bianche, le porte aperte sul marciapiede, poca gente in giro, macchine parcheggiate ai due lati della strada. Polvere, marciapiedi sconnessi, cicche di sigarette per terra. La brezza del mattino e' fresca e porta l'odore del porto, non molto lontano. Non sono stato fuori molto, ho girato intorno all'isolato e sono tornato per un caffe'. Il quale e' terribile, ma come dicono gli inglesi non e' il caso di lamentarsi. Ci sono cornetti nella vetrina calda, urne di succo d'arancia orgogliosamente quasi vuote, mele e banane, una scatola solitaria di cereali, e - per fortuna - un barattolo di Nutella, la quale, con il cornetto, mi salva la mattinata e perfino il caffe' sembra bevibile. 
Dalla finestra si vede un minareto, ma non ho sentito nessuna chiamata alla preghiera. Forse stavo ancora dormendo. 
Mah. Vedremo come si sviluppa la situazione. Ho visto due donne, una all'aeroporto ed una per strada: coperte da capo a piedi ma non il viso. Una aveva gli occhi viola. 
Meglio che la smetta e che mi prepari. Doccia, barba, fra un'ora passano a prendermi. 
La quarta sponda.

Le quattro del pomeriggio e con Jeffrey usciamo per fare una passeggiata in questa citta' che non conosciamo. L'albergo e' poco fuori dal centro, di fronte al distretto militare. Giriamo a sinistra in via De Bono e scendiamo verso la cattedrale. I marciapiedi sono a mattonelle di cemento, i cordoli di granito grigio. L'asfalto della strada e' liscio ed antico. A sinistra vecchi edifici a tre o quattro piani, probabilmente governativi, a destra il muro di cinta della caserma. Poco dopo giriamo a sinistra e siamo in piazza della cattedrale. A destra il doppio arco in stile Impero del palazzo dell'INPS, a sinistra il palazzo delle Poste, in cima ad una decina di gradini bianchi lunghi quanto la facciata, caldi dal sole. Attraversiamo la strada per andare all'ombra, ed entriamo nella frescura dei portici di Corso Vittorio Emanuele. Il caldo del pomeriggio di agosto tiene quasi tutti i negozi chiusi - apriranno verso le cinque. Il colonnato dei portici, ed il soffitto a cassettoni in stucco e' molto elegante, ma scrostato ed ingrigito dagli anni e dall'incuria. Attraversiamo un paio di traverse - via La Spezia, via Savona, via Genova, e proseguiamo sotto i portici. Poca gente, uomini in occhiali da sole che parlano al telefono. Poco dopo sbuchiamo nel sole di Piazza Castello. A destra, il porto, chiuso dal molo di ponente, qualche nave ormeggiata, il mare blu. Attraversiamo la strada su strisce pedonali quasi cancellate, evitando il traffico che non si ferma. A sinistra si perde verso ovest la prospettiva di Corso Sicilia, con i suoi edifici in stile moderno, ed altri portici da entrambi i lati. Di fronte, ciclopico, il Castello. Bastioni color ocra nel sole, la muraglia arriva quasi fino al mare e sparisce alla vista dietro l'angolo, costeggiando il porto. In cima, all'angolo con la porta per la citta' vecchia, il bassorilievo di san Giorgio, che io credevo messo li' dai Cavalieri di Malta verso il 1525 e che invece fu messo da Mussolini, continua ad uccidere il drago. 

Giriamo sotto i bastioni dal lato del mare, e proseguiamo. Due colonne quadrate con in cima una caravella di bronzo ed una figura a cavallo non meglio identificata fanno guardia al mare. 

Il cibo degli dei

[Circa 1988]
Cosa mangiano gli dei quindi?
 Questo pensiero mi gira in testa ininterrottamente, costretto a ruotare come un tuppetto dentro la forma del casco. Davanti, la ruota anteriore si piega a destra poi a sinistra poi di nuovo a destra, portandosi dietro manubrio, sella e G., seduta dietro di me. La conversazione e' impossibile coi caschi, ma non serve: la moto danza la strada al rombo del bicilindrico e noi danziamo con lei, le pieghe si susseguono una dopo l'altra sull'asfalto liscio. Piu' avanti, con un guizzo rosso, il Le Mans II di Enrico scompare dietro la prossima curva. 
E' gia' scuro nella valle. Boschi su entrambi i versanti, e la strada - un serpente grigio stretto e veloce - segue a mezzacosta il tracciato del torrente a tratti visibile a fondovalle. E' tardi, ma dobbiamo arrivare a Olimpia e da li' a Patras: il traghetto per Brindisi sara' domani mattina presto. 
E' facile perdersi appresso a pensieri sugli dei in Argolide. Tutta la mattina fra vecchie pietre: le mura di Tirinto, immagini di Schliemann col frock coat nero a code fra blocchi di pietra. Poco piu' in la' , in testa alla valle, Micene con i due leoni rampanti a rilievo sull'architrave della porta. Ercole passava di qua spesso, figlio naturale di Zeus. Questo pantheon locale di dei che si comportano in tutto e per tutto come esseri umani mi e' sempre piaciuto. Litigano, piangono, amano, si tradiscono, si invidiano...proprio come noi. Ma cosa mangeranno mai? A me la storiella dell' ambrosia mi e' sempre sembrata una fesseria. Questi erano gente come noi, questi dei. Invidiosi, gelosi, spesso pieni di risentimento per gli umani. Cosa mi rappresenta quindi quest'ambrosia se non un glorificato miele, e per giunta con un nome milanese? No, no, mangiavano sicuramente altro. Ma cosa? 

La valle gira a nord ed un paesino appare piu' avanti, un gruppo di case a cavallo della strada. Certo, c'e' la teoria che mangiassero cioccolato, gli dei. Mi piace come idea. Ma il cioccolato arrivo' da noi dopo Colombo, come le patate e il mais - gli dei non lo potevano conoscere. 

E' la fame che mi guida i pensieri. Dopo Micene ci siamo messi subito sulla strada, con giusto un σουβλάκι nello stomaco. La strada attraversa tutto il Peloponneso da est a ovest, una statale che si arrotola su se stessa mentre sale e scende. Non abbiamo incontrato quasi nessuno. Ora e' quasi notte, e abbiamo fame. Enrico rallenta all'entrata del paese, il rimbombo degli scarichi del Guzzone quando chiude il gas rimbalza dai muri delle prime case. Faccio lo stesso - abbiamo il motore uguale - e la musica si abbassa e finisce con quest'ultimo duetto. 
Il posto e' piccolo. Meta' delle case a monte della strada, meta' a valle. Muri bianchi e tegole rosse, antichi uomini in nero sui due marciapiedi. C'e' una piazzetta in mezzo al paese, e li' parcheggiamo. Quattro alberi, panchine, tavolini e sedie di fronte ad un ouzeri, vista sulla valle. Scendere dalla moto dopo ore in sella, sbottonar giubbotti e toglier caschi non e' cosa veloce. G & G (hanno lo stesso nome) spariscono alla ricerca di un bagno, Enrico e io ci sediamo ad un tavolino, stendiamo le gambe, accendiamo. E' un bel posto, certo un poco fuori mano. 

Un greco greco (pelle, capelli, baffi, camicia bianca, pantaloni neri) arriva al volo e ci mette davanti due bicchierini di ouzo e un vassoietto di mezedes. Ma prima la sigaretta, per rallentare il flusso di adrenalina e uscire dal ritmo del motore. 
G & G tornano e scendono sugli antipasti come avvoltoie. I peperoni arrostiti e le melanzane spariscono in un lampo, cosi' come le olive. Il tempo che Enri ed io finiamo di fumare, sul vassoietto ci sono due pezzetti di formaggio. Piegandoci in avanti sulle sedie ne prendiamo uno a testa, e ce lo mettiamo in bocca. 

L'illuminazione non e' istantanea, ma mi si scioglie sulla lingua, saporita e affilata, profumata ed intensamente morbida, come una donna. So cosa mangiano gli dei: questo pecorino. Incontro gli occhi di Enri e ci capiamo - ci alziamo all'unisono senza una parola, lasciando G & G attonite, attraversiamo la strada ed entriamo nell' ouzeri. 

Ci vuole un po' a farci capire. Il banco e' di legno, tagliato da un tronco solo. Ci sono tavolini e uomini che giocano a carte, ma noi siamo concentrati sul greco greco dietro il banco. Vogliamo ancora di quel formaggio, ma lui capisce male. Produce un pezzo di feta su un piatto. Scuotiamo la testa come disperati, il sapore ancora sulla lingua, visioni dell'Olimpo attraverso le papille. Siamo entrambi mangiatori di formaggio per cultura e tradizione, ma un pecorino cosi', mai. Il greco greco si gratta la testa - non ci capiamo. Cinque minuti frustrantissimi, fin quando un vassoio per qualcun altro appare dalla cucina. Puntiamo col dito all'unisono: quello!
Ahhh! Kefalotiri!! dice il greco greco. I presenti gli fanno l'eco, annuendo con le carte in mano: Kefalotiri! 
Kefalotiri. Ora sappiamo il nome del cibo degli dei. Ne compriamo una forma intera ciascuno e mentre lo arrotolano in carta oleata e carta marrone ne mangiamo un'altra fettona divisa in due li' in piedi al banco, G & G dimenticate al tavolino. 

Quando ripartiamo, il kefalotiri - almeno due chili ciascuno - e' conservato gelosamente nel bauletto posteriore del mio Cali II, ed Enri questa volta mi segue, vocalmente preoccupato che possa fermarmi e mangiarmelo tutto da solo mentre lui ignaro va avanti. Che lo farei anche se non avessimo un traghetto da prendere ed una notte sulla strada. Gli dei sono con noi, ma il kefalotiri non arrivera' a nemmeno a Brindisi. 

Imparare la religione

'Hello? hello...?'
'Pronto? Si, ti sento...'
'Good. Com'e' l'India?'
'Caldo, polvere e spiritualita'. A parte questo tutto bene'
'All right. Quando torni a casa?'
'Martedi', come deciso. Nessun cambiamento'
'Bene. Ah, senti...'
'Cosa?'
'Ho iscritto la piccola ad un Bible School estivo'
'.....hai fatto cosa?'
'Mi hai sentito. La sua amica Jennifer le ha chiesto di andare con lei'
'Un corso di Bibbia? Per bambini?'
'Si, quattro mattine. E' organizzato dalla chiesa Battista di Hong Kong'
'WHAT! I battisti? Ma non lo sai che sono vaccari cristiani fondamentalisti, cowboys delle Scritture? Vanno in giro a dare colpi di Bibbia in testa a chiunque non creda al loro Dio, e...'
'Ah ma che esagerato! E' una cosa per bambini. Lo sai che Silvia non e' mai stata esposta a nessuna chiesa...non l'abbiamo nemmeno battezzata! 
'Esatto! Pensavo fossimo d'accordo sull'evitare che le bambine vengano a contatto con religioni organizzate ed altre mafie mentre sono ancora giovani ed impressionabili...e tu me la mandi dai Battisti? Tornera' a casa cantando inni, convinta che Dio sia amico suo personale'
'Ma guarda che la tua reazione e' del tutto esagerata. Lo sai che ha studiato religioni comparate in quarta. Hanno fatto Induismo, Buddismo, e Islam. Questa e' l'occasione per lei per saperne un po' di piu' sul Cristianesimo. Fa parte della sua educazione'
'Si, si, in principio sono d'accordo. E' sulla scelta di setta cristiana a cui esporla che dissento! Tu sei English: per voi la religione e' una cosa leggera, un' attivita' che si fa la domenica in alternativa al giardinaggio. Avresti potuto mandarla a St John's, Chiesa Anglicana, innocua e leggera....ma i Battisti? Sono pericolosi ed intransigenti! Vanno in giro con la Bibbia nella fondina, come pistole. Sono Talibano-cristiani!'
'Well, e' troppo tardi ora. E' gia' iscritta. Ma le ho detto che se non le piacera' non dovra' continuare ad andarci'.
'.....'
'Cosa?'
'Niente. Speriamo che non ce la rovinino'
'Ma dai. Tua figlia e' troppo intelligente (non come te, aggiungerei) per farsi rovinare da quattro giorni di giocare e cantare'
'Speriamo. Che altro succede a casa...?'

(Qualche settimana dopo)

'Dring....ring...ring.
'Hello! Chi parla?'
'Ciao Ciccia. Sono papa''
'PAPA' PAPA' CIAOOO!!! Quando torni a casa?'
'Domani sera'
'Com'e' il Vietnam? Hai mangiato i polpi?'
'Piove, e i polpi sono tutti chiusi a casa loro sotto gli scogli con le signore polpe, se hanno un minimo di cervello....come sta andando il tuo Bible Camp?'
'Bene! Ho imparato a cantare Amazing Grace. La vuoi sentire? Ascolta...
"Amazing Grace, how sweet the sound
That saved a wretch like me....
I once was lost but now am found,
Was blind, but now, I see..."

(pensando) 'Oh dear , oh dear...oh minchia...'
'Papa!'
'Si, err...canti bene. Ma questo lo sapevamo gia'...ehm..ti sta piacendo questo Camp?'
'Si si si. Ascolta papa', domenica c'e' lo show! Stiamo preparando uno show per il service di domenica. Vieni? Vieni a vedere?'
'Certo che vengo, Ciccia (non sia mai che ti lascio in preda a questi...questi...ARGH)'
'Oh bene. Allora andiamo tutti. Ti aspetto domani sera a casa. Arriverai in tempo per cena? 
'Sicuramente. Appena arrivo all'aeroporto telefono'
'Si si si...papa'...posso aprire la tua bottiglia del vino?'
'Ora?? Cosa devi fare col vino?'
'Ma no silly papa'! Domani, quando sarai a casa con noi!'
'Ah! Ehm...certo! Ormai hai otto anni devi imparare ad aprire le bottiglie di vino per tuo papa'
'OK. Ciao mate'

.......

'OK, e' qui'
Scendiamo dal taxi. Il palazzo e' sulle colline sopra Aberdeen, uno dei tanti blocchi di appartamenti che hanno coperto il sud dell' isola. 
'La chiesa e' al settimo piano. Hanno preso tutto il piano'
'E figurati, avranno soldi che piovono dall'America'
'Ascolta, non mi farai fare brutte figure come al solito tuo, right? Siamo qui solo per oggi per lo show di Silvia. Dopodiche' non ci dobbiamo tornare piu'.
'Oh non ti preoccupare. Saro' un modello di compostezza ed educazione. Non prendero' nessuno ad ombrellate in testa, nemmeno se tenteranno di colpirmi per primi con la parola di dio'
'.....you....horrid disrespectful monster...'
'Dai dai, scherzo. Ecco dai, prendimi il braccio e andiamo su'.

Sull'ascensore noto con piacere che la sorella adolescente di Silvia - e' voluta venire lei stessa a vedere cosa succede - indossa un paio di jeans con buchi e strappi, Converse nere, e una maglietta nera con il teschio e le tibie dei pirati in verde quasi fosforescente. Approvo con la testa, e ci facciamo l'occhiolino in segreto. 
L'ascensore si apre sull'atrio. C'e' gia' una folla, la maggioranza cinesi, qualche americano. Famiglie, ovviamente. Una donna ci intercetta subito, sorriso in cinemascope e targhetta col nome sulla camicia.
"Hello and welcome! Io sono Cindy, benvenuti nella nostra chiesa! Voi siete la famiglia di...'
'Di Silvia. Buongiorno. Bella chiesa!'
'Vero? Siamo molto orgogliosi della nostra congregazione. Il servizio cominicera' fra pochi minuti: prego, da questa parte....ecco, queste sedie sono per voi...per i genitori dei bambini che hanno partecipato al Camp...accomodatevi. Dopo il servizio ci saranno caffe' e muffins nell'altra stanza...Spero di vedervi tornare presto'. E sparisce con in mano cartella e fogli vari. 

Ci sediamo. E' una grande stanza, ottenuta unendo almeno tre appartamenti. Di fronte a noi c'e' un podio con pianoforte, batteria e microfoni, con dei giovani che fanno prove, ai due lati altre file di sedie per la congregazione abituale. La gente comincia ad entrare. Con tipico americanismo molti vengono verso di noi. A presentarsi, con mio grande orrore.
Ora, io in queste cose sono diventato terribilmente inglese. Gia' non ero uno molto socievole prima, ora mi imbarazzo seriamente a dovere parlare con gente che non conosco, non voglio conoscere e probabilmente non incontrero' piu'. Non lo voglio fare. Ma faccio uno sforzo e rispondo a monosillabi. 
'Hello! I am Bill (oppure Hank, oppure Dave, oppure Betty). How you doing? Good to see you here! (pompando nel frattempo mano e braccio come la pompa d'acqua manuale che i loro padri usavano per lavarsi nell'aia)
"Hello! Welcome! God is with you! God is strong here!' 
Non posso fare a meno di pensare a Renzo Arbore "Il Papocchio": Il signore e' con voi' 'Si, si, questo signore e' con noi...'
Cinque interminabili minuti di perfetti sconosciuti che si comportano come se fossimo stati a scuola assieme. Uomini e donne, quasi tutti americani, lo stesso sorriso fisso, la stessa stretta di mano. Sorridiamo in risposta, monosillabi. This is very embarassing.
'Ehm. Hello. Hi. Piacere...ehm.' 

Finalmente il servizio comincia. In musica, ovviamente. I Battisti hanno una tradizione musicale midwestern, nonostante le origini in Olanda nel diciassettesimo secolo. La musica e' classic rock, ma il gruppo di fedeli che canta non hanno voce. Oh well. Schermi appeso al soffitto mostrano le parole, esattamente come un karaoke. La congragazione non e' gran che come cantori, ma d'altronde questo e' un appartamento ad Aberdeen, non Triple Rock Church del reverendo Cleovis Jones in downtown Chicago. La musica dura almeno venti minuti. Una ragazza che canta ha uno stud sotto il labbro inferiore e l'anello al dito del piede, ma nemmeno lei ha voce. 
Dopodiche' un tipo americano in giacca e jeans sale sul palco, e qui cominicia la farsa, come i predicatori televisivi. 
'Hi Everybody! Awesome! God is with us! Yeah man..!' ....il sermone (perche' di questo si tratta) suona come un'asta di bovini, con il pastor che chiama i prezzi
'Because our GOD is powerful!'
(coro)'Yeah man!'
'Our GOD is awesome!'
'Yeah man...'

E cosi' via, con l'occasionale citazione dall'antico testamento. Patetico, realmente. Me ne sto seduto, le mani incrociate sul manico dell'ombrello, e guardo la congregazione, il soffitto, penso ai fatti miei. Come fu come non fu, il sermone finisce e tocca finalmente ai bambini entrare e presentare quello che hanno preparato. 

Ed e' una grande delusione. Le canzoni vanno bene, anche se l'unica cosa che gli fanno fare e' muovere le braccia e le mani. Ma sono canzoni del cavolo, piu' adatte ad un gruppo di bambini di quattro anni che a bambini di otto/nove anni. Suppongo che per i Battisti, contrari a battezzare chiunque non sia gia' adulto, i bambini siano tutti uguali. Ma in confronto alle produzioni cui Silvia ha gia' partecipato questa fa proprio pena. Perfino i giovani che la dirigono, e che l'hanno ovviamente preparata non si ricordano le loro linee..
Finisce, ed un altro pastore (questo appena arrivato dall'America, pare), passa cinque minuti a ricordare a tutti che qualunque cosa facciano non e' abbastanza buona per soddisfare dio, e che dio e' sempre irraggiungibile, e che per quanto tentino sono sempre peccatori. 
Un sussurro nell'orecchio: 'Fire and Brimstone'. Ed e' vero. Pietra focaia e fuoco, dio severo e punitivo, religione da maestro severo con bacchetta. Ho la tentazione di mandarlo vocalmente a sgravare mucche, me mi trattengo. In ogni caso probabilmente lo sa gia' fare. Non devono esserci stati molti altri passatempi nel posto dove e' cresciuto. 

Passano i sacchetti di velluto per le offerte. Ci metto un po' di soldi dentro. La donna mi dice 'ma abbiamo gia' pagato per il Bible Camp'
'That's OK' rispondo 'Questo e' per la musica'
Alla fine e' finita. Ci alziamo, evitiamo i gruppetti e le socializzazioni che gia' si stanno formando, decliniamo educatamente le offerte di caffe' e dolci, recuperiamo Silvia nel corridoio. Qualcuno ferma la grande e le chiede se e' nuova alla chiesa. Rosa afferra il medaglione che ha al collo e dice 'Io una religione ce l'ho gia': Wicca'. Ignorando il tipo rimasto a bocca aperta, si fa largo fra la folla di fedeli e piratescamente abborda un ascensore che scende. Entriamo tutti, le porte sussurrano chiudendosi. Siamo salvi. 

'Ciccia, cosa c'era scritto sui distintivi che alcune bambine avevano sulle magliette'? 
'Ah, sono pezzi della Bibbia, tipo 'il nostro dio e' awesome' oppure 'il nostro dio e' forte'
'E tu come mai non ce li hai'?
'PAPA! Io sono venuta solo perche' c'era Jennifer! L'anno prossimo andiamo al mare a Phu Quoc invece? 
Mi appoggio alla parete dell'ascensore e mi rilasso per la prima volta da giorni. Non me l'hanno rovinata. 

archivio (50) Jacaranda

Quando si tocca la grandezza? E che forma ha? E come la si riconosce come tale? Non so le risposte, ne' mi sono mai posto le domande, ma qui c'e' una memoria di tre mesi fa...la metto qui, che' non si perda. 

Delhi in ottobre e' deliziosa, il caldo e' appena appena e c'e' una brezza che seppure satura di benzina non fa rimpiangere la sensazione crematoria di giugno. E muove le foglie degli alberi assieme alla polvere. 
Sto visitando un ospedale, per lavoro. Questo e' una vecchia costruzione di mattoni del tempo del Raj. Una targa di marmo sbiadita all'ingresso ricorda la posa della prima pietra e il nome della moglie del Vicere' che lo fece. Poi una lunga lista di nomi dei notabili partecipanti, sia coloniali che locali. E' tutt'oggi un'ospedale non profit: il 50% dei pazienti (intoccabili, poveri, stagionali) ricevono cure gratis, usando i soldi dell'altro 50% (caste alte, classe media, ricchi) che pagano. In India queste cose sono comuni. 

Il tipo che mi accompagna mi snocciola fatti di pazienti, di medici e di altre persone connesse. Giriamo da un'ala all'altra, da un piano all'altro. Vedo corsie e camere private, uffici e sale operatorie. Tutto equipaggiato, tutto pulito, un alveare silenzioso di attivita' fra spesse mura di mattoni rossi. Ma non mi impressiono: queste cose si mettono su anche solo per imbrogliare lo straniero in visite come questa. E' gia' successo. A me interessa solo essere sicuro che quando il nostro finanziamento finira' loro avranno sviluppato un sistema amministrativo ed operativo tale che il cash flow sara' positivo, cosi' che potranno continuare a provvedere i servizi a chi ne ha bisogno, e trovare crediti sul mercato per altri investimenti. Gli chiedo di farmi vedere i numeri, le cifre, i bilanci. Voglio tutti i budget dal 2001 ad oggi. Lui sorride, sotto la pelle scura di dravidiano trapiantato al nord. E' contento di come vadano le cose, ma ha bisogno di Excel. E cosi', in un ufficio dai soffitti alti a pannelli, finestre socchiuse e ventilatori che girano pigri nel silenzio, me lo dimostra. 

Dopo avere scartabellato per un bel po' decidiamo di andare a fumare. Scendiamo nel cortile al centro delle due ali dell'ospedale, fumiamo seduti su un muretto di pietra attorno al tronco di una vecchia jacaranda. Poi risaliamo per finire il lavoro. In cima alle scale, sulla balconata interna del primo piano, noto per la prima volta una vetrinetta nel muro. Il vetro e' pulito, illuminato. Dentro c'e' una mensola con una foto sbiadita color seppia, un biglietto stampato ed uno, giallo, scritto a mano. Mi avvicino, curioso, mi curvo per vedere bene. Nella foto ci sono tante persone, ma al centro, inconfondibile con bastone in mano c'e' il mahatma Gandhi sullo sfondo di un alberello che forse e' la stessa jacaranda. Infatti. Il biglietto stampato ricorda la visita all'ospedale nel marzo del 1931, un anno dopo la Marcia del Sale. Poi, adagiato su un pezzo di velluto, c'e' il biglietto scritto a mano, ingiallito dal tempo. Anzi non e' un biglietto: e' una pagina del registro dei visitatori. Qui del tutto senza volerlo il mio cuore perde un battito. Passa un angelo. O qualcosa del genere. Decifro il corsivo in inglese. Quattro righe: "E' stato un piacere per me visitare l'ospedale..." e la firma, M.K. Gandhi. 

Socchiudo gli occhi mentre leggo. So che si chiamava Mohandas Karamchand, e insieme al ricordo di queste cose mi affiora un brivido. Raddrizzo la schiena e raggiungo il tipo che mi aspetta. Non mi ero mai sentito cosi' vicino alla grandezza prima d'ora, o forse, ma solo forse, qualcosa mi ha toccato dentro. 

Scalando il Kinabalu

(January 2007)

- Allora? Mi racconti com'e' andata?
- Papa'...ma proprio ora?
- Perche'? Cosa stai facendo?
- Ma non vedi? I'm reading!
- Ah vero. Non avevo notato il libro...mettilo giu' e raccontami lo stesso
- Uffff all right...Ma sei un papa' terribile, non mi fai mai leggere in pace...
- Ahh ma quello che tu non sai e' che quando io avevo tredici anni passavo anche io tutto il mio tempo a leggere, e i miei genitori mi disturbavano continuamente...fai questo, fai quello...ora tocca a te...
Lei ride, la mia grande. Tredici anni, una ragazza gia', anche se lei non ne fa mostra e nasconde quanto sia gia' grande. Occhi azzurri e capelli biondi come la madre, pelle che si abbronza subito come la mia, testa sempre nel mondo dei libri, o dei sogni, anche questo come me alla sua eta'.
- Allora? Questa gita scolastica nel Borneo?
Well non e' proprio nel Borneo, lo sai, Sabah fa parte della Malesia.
- Ma e' sempre nell'isola del Borneo, con tagliatori di teste, daiachi e Sandokan...
- Sandokan e' un porto...e comunque la gita scolastica era sulle montagne, il mare non l'abbiamo visto. 
Mi siedo ai piedi del suo letto. Lei tira su le gambe gia' lunghe, per farmi spazio. Fra pochissimo avra' bisogno di un letto piu' lungo, ergo di una stanza piu' grande, ergo dovremo cambiare casa..(ma questa e' un'altra storia).
- Comincia dall'inizio, dai. 
- Lo sai, mi hai accompagnato al treno per l'aeroporto. Eravamo sedici con due teachers. Abbiamo preso l'aereo e siamo arrivati subito a Kota Kinabalu...
- Come subito? 
- Uhm...quattro ore?
- Aha. C'era qualcun altro della tua classe? 
- No... ma eravamo tutti dello stesso anno. E non mi interrompere sempre...
- Sorry. Continua...
- Ci hanno portato con l'autobus al parco del Monte Kinabalu, ed abbiamo passato il resto del giorno ad esplorare la giungla intorno...c'era il canopy walk che e' stato veramente cool
- Non parlare in inglese con me. Il cosa??
- Erano ponti di corde fra le cime degli alberi tropicali...si saliva su un albero da una scaletta di legno fino in cima, poi si va da una cima all'altra camminando sulle corde, poi si ridiscende...c'erano un sacco di uccelli colorati, non si vedeva il suolo e sembrava di camminare in una nuvola verde...
- Ah. Wow. Bello. E poi?
- E poi niente, siamo andati a dormire. La cena pero' e' stata buona. 
- Cosa vi hanno dato? spaghetti scotti? 
- No no, era cibo malese, poi c'era anche curry e un po' di cinese. Poi l'indomani mattina abbiamo lasciato le valige li', abbiamo fatto gli zaini per la salita alla cima del monte Kinabalu e siamo partiti a piedi per il rifugio di alta quota...c'e' voluto tutto il giorno... Quello mi e' piaciuto, il panorama era bello, un sacco di fiori, abbiamo visto la Rafflesia...
- Davvero? Ed e' grande come dicono?
- E' enorme. E puzza assai.
- Oh well, meno male. Altrimenti figurati quanti ne sarebbero rimaste a quest'ora, con tutti voi turisti in giro...
- Poi Christine che e' in 9G si e' seduta vicino ad un cespuglio per riposarsi e quando si e' rialzata aveva due piccole sanguisughe attaccate alla gamba. Ha fatto un casino! Saltava, strillava...avresti dovuto vedere che scena che ha fatto...
- Be, dai, una sanguisuga? Per forza...
- Ma erano piccole papa', piccolissime! grandi quanto un pezzo di spaghetto...Non capisco proprio perche' ha fatto tutto quel casino...poi e' arrivato Mr Ford e gliele ha tolte con l'accendino...
- Ah, esperto il tuo professore!
- Si lui l'ha fatta altre volte quesa gita. Pero' si vedeva che anche lui rideva...
- E poi?
- E poi siamo arrivati a Laban Rata che e' a 3300 metri. C'era il camino acceso! Come nei film...ci hanno dato letti a castello. C'era freddo e io mi sono accorta di avere dimenticato il maglione pesante a casa...
- Ah si...se ne e' accorta anche tua madre, dopo che sei partita...
- Oh.
Oh e' giusto.
- E?
- E cosa? Non ti ho aiutata io a fare lo zaino? E di chi e' la colpa allora? Vedi che ho ancora le orecchie rosse?....Meno male che non c'eri...
- (mette una mano davanti alla bocca e ride, come acqua che scorre)
- E insomma, l'altra teacher aveva un maglione spare e me l'ha dato...ci siamo alzati alle due di notte per cominciare la scalata alla cima...
- Perche' cosi' presto??
- Per arrivare il cima prima dell'alba... all'alba e' bello, si vede tutto il Borneo ma dopo poco si annuvola e non si vede piu' niente.
- Ah. E siete saliti tutti?
- Siamo partiti tutti, ma solo in sette siamo arrivati in cima. Gli altri non ce l'hanno fatta e sono tornati indietro. 
- Ma come? Non era una salita facile?
- Facile nel senso che non c'era bisogno di scalare come gli alpinisti, ma e' difficile, e' sempre umido, c'e' freddo, e' buio e si scivola. In certi punti hanno messo corde per aiutare la gente a salire...e poi non c'e' oxygen...
- Ossigeno. Certo, i tuoi compagni di scuola hongkonghesi nati e cresciuti a livello del mare si saranno trovati in difficolta' a quell'altezza...quanto e' alta la cima? 
- 4100 metri. Quindi siamo saliti. Ci fermavamo per riposare ogni dieci minuti. C'era anche altra gente che saliva...tutti vecchi pero'.
- Come vecchi? 
You know, grandi, non ragazzi come noi. Un gruppo di inglesi, poi c'erano turisti giapponesi, coreani, australiani...
- E tu? Ce l'hai fatta? Sei arrivata in cima? E le scarpe andavano bene?
- Io non ero stanca, ma ero bagnata! Pioveva tutto il tempo e mi e' entrata acqua dal cappuccio...pero' le scarpe sono super, nemmeno una goccia d'acqua, avevo i piedi caldi...insomma, poi eravamo vicini alla cima ed era quasi l'alba, ma i miei compagni si fermavano ogni due minuti respirando come ippopotami. 
- E tu?
- Io ero un poco stanca, ma non molto. Pero' ho pensato "Non mi faro' battere dal sole!".
- E allora?
- E allora mi sono messa a correre e sono arrivata in cima in tempo, un minuto prima del sole!
- Ma dai! A correre? E gli altri? 
- Si si a correre...se no non sarei arrivata in tempo!....Gli altri sono arrivati anche loro, dopo un po'. Abbiamo fatto foto e poi siamo ridiscesi...
- E il professore cosa ti ha detto?
- (arroscisce) Mi ha detto 'brava'.
- E i maschietti nel gruppo? 
- ...Non hanno detto niente...
- Ma tu gliel'hai spiegato che sei nata e cresciuta a 2400 metri di quota?
- Ehm...no.
- No?
- No... 
smile.gif 

archivio (49) Posting Under Influence III

L'Osteria del Grillo. 

Avviso: scrivo sotto l'influenza dell'alcool. Meglio, sotto l'influenza di una bottiglia di Regaleali (e se non sapete cosa sia, poveri). Quindi, sono PUI*. 

L'Osteria del Grillo e' strana. Intanto nel conto c'e' scritto "ristorante la Terrazza". Pero' sopra l'ingresso c'e' il nome del Grillo. Penso che al Grillo piacerebbe il posto: e' un ristorante veronese tipico. Le pareti, imbiancate a calce, sono coperte di mensole ripiene di bottiglie, tutte vuote. Principalmente Masi, roba tipo amarone. Ce ne sono centinaia, coprono tutte le pareti. Poi stampe medioevali di Verona, poster moderni sulla vinificazione a Verona, cassette di legno di vino veronese. C'e' una bottiglia di Ferrari qui e li', e vicino all'ingresso una catasta di bottiglie (vuote) di Gaja. Forse si sono confusi. 

Il cibo e' decente, visto il posto. Stasera ho chiesto un piatto di affettati (cosa difficile da trovare) e mi hanno portato un piatto da pesce pieno di crudo, salame e (gaudio!) capicollo piccante, appena affettato, sottile e buonissimo. Mi sono sbafato il tutto in pochi minuti (a mia discolpa diro' che non avevo pranzato, ne' fatto colazione. Ma la colazione non la faccio mai...) afferrando l'affettato col pane e riempiendomene la bocca con gran gusto. Dopodiche', un piatto di ravioli all'aragosta, specialita' oriunda locale per accompagnare il Regaleali. Il pane era fresco, e non ho avuto bisogno di chiedere perche' ne arrivasse altro. Cosi' come per il vino: appena il bicchiere era vuoto arrivava una delle cameriere a riempirlo. Servizio perfetto, per un posto cosi' piccolo. 

Le cameriere del Grillo. In inglese c'e' un'espressione per definire donne cosi': achingly beautiful, che si puo' tradurre contanto belle da far male. Ce ne sono quattro, per un posto con forse dieci tavoli. Non hanno zone assegnate: ad una ad una ti servono tutte, chi il vino e chi il pane. Quella che piace a me e' la piu' grande, un caschetto nero su un sorriso da far venire fame anche a stomaco pieno. Ma serieta': sono tutte e quattro bellissime. Da noi sarebbero in televisione, altro che ristorante. E sorridono, e sono gentili. E ti riconoscono dopo mesi. Un piacere, mangiare dal Grillo e guardarle che lavorano. 

OK, lo ammetto. Credo di avere raggiunto l'eta' in cui le ragazze giovani le noto ani_biggrin.gif certo, non sono come alcune persone piu' mature che ho l' onore di conoscere, ma sono molto carine. E meglio che non dica piu' niente. Certo che non le cambierei. Non ancora, almeno. 
Il caffe' lo fanno con una macchina espressa Faema E61, circa 1965, acciaio e cromo. Questa si' che me la porterei a casa.
Conto decente: forse 20 euro, compreso il vino e una fettona di tiramisu' fatto li' stesso. La cameriera a caschetto: mi era sembrato che avessi fame, quindi ti ho portato una fetta grande. Sono contenta che l'hai mangiata tutta!.

Prima di andarmente sono andato in cucina (KT e' noto per prendere di queste iniziative). Il cuoco e' di Danang. Gli ho chiesto di Verona. Mi ha detto che il proprietario originale era un veronese, morto da qualche anno. Gli eredi hanno mantenuto la tradizione. 

Osteria del Grillo, Phom Vien Tuang 32, Hanoi, Vietnam. 

* Posting Under Influence (of alcohol)

archivio (48) I have beheld

Com'era...? "ho visto cose che voi umani..." oggi mi e' capitato, fortissimo. L'inglese antico ha una espressione apposta, quando uno vede qualcosa a lungo immaginata, oppure mai immaginata: I have beheld. Ha una maggiore gravitas rispetto ad I have seen, il semplice 'ho visto'. 
Insomma, "ho visto" non basta, ma che altro c'e' in italiano? Ho ammirato? No. non da' l'idea di come e quanto la vista ti prenda e ti (mi) lasci a bocca aperta. Forse un'opera d'arte puo' dare l'idea. Ma questa cosa, questo posto, questo colossale testamento al lavoro manuale io non sapevo nemmeno che esistesse, cosi' come fino a venti anni fa non lo sapevano nemmeno gli stessi cinesi. Poi un fotografo passo' da questo posto, scatto', e la voce si sparse. Dimenticate la Grande Muraglia: vale la pena di venire in Cina solo per questo. 

Yuang Yuan si chiama il posto. Le terrazze di Yuang Yuan. Cercate con Google immagini "Yuang Yuan terraces". Da' solo una pallida idea, non e' come vederle apparire una mattina come un tardo sogno, curve armoniose di acqua con dentro il cielo che scompaiono in lontananza fra le nebbie che si alzano dalla valle del Fiume Rosso, invisibile duemila metri piu' in basso e venti chilometri piu' in la'. Io non riesco a spiegare, nemmeno ci provo oggi. Forse quando la mia mente avra' afferrato un po' la loro l'immensita', e i forse (dicono) settecento anni di lavoro degli Hani che le hanno prodotte. E non hanno nemmeno finito: ci stavano ancora lavorando stamattina. 

Vorrei, davvero, che foste stati tutti lassu' con me oggi, per provare il senso del meraviglioso. Questa immagine di Yao Sun-tong non da' l'idea, per niente. Mostra solo di cosa vaneggio. (PUI mode off)

archivio (47) Shenyang

Shenyang, provincia del Liaoning, Cina del nord.

Posto da lupi, e non sono molto lontano dal vero. Febbraio in Manciuria e' una cosa seria. Ci sara' un metro di neve fuori, la temperatura e' meno dieci, i doppi vetri alla finestra sono completamente 
frosted. L'aeroporto e' chiuso per invasione di orsi siberiani da oltreconfine, e per la neve. Le persone importanti che dovevano arrivare oggi dal Giappone (che e' proprio qui di fronte) non sono potute arrivare. I VIP, li chiamano qui, sapendo che vuol dire very important person. Non ho il cuore di dir loro che in questo settore - le ONG internazionali, quelli di noi che hanno l'Africa che ci segue come un'ombra - un VIP e' e sara' sempre una Ventilated, Improved Pit latrine - ovvero una latrina a pozzetto migliorata e ventilata. O forse e' la stessa cosa. 

La frustrazione e' ben nascosta nelle facce dei miei colleghi cinesi - a cena scherzavano e ridevano, ma si capiva la tensione. Questi giapponesi vogliono, fortissimamente vogliono investire cifre significative in aiuti per l'ospedale di qui. Capita spesso, mi dicono. Il direttore dell'ospedale e' un cinese anomalo: ha viaggiato, ha vissuto in Nippon, ha amici in Italia dove va spesso (proprio bendata, la fortuna). In primavera aspetta la visita di un vinaio piemontese che vorrebbe mettere vigne sulle colline - meglio tardi che mai, i francesi stanno producendo vino in Cina da anni ("Chateau du Yiling") - non e' gran che, ancora, ma meglio delle schifezze australiane che hanno rimpiazzato i vini italiani nei negozi dell'Oriente. 

I Giapponesi dicevo. Si vedono spesso in Manciuria. Sono spesso ultrasettantenni, hanno i modi dignitosi tipici del loro paese, vestiti dall'ottimo taglio, e si inchinano a tutti. C'e' un grande senso di colpa in quella generazione di giapponesi, tutti giovani soldati nei tardi anni 30, quando violentarono la Cina come mai si era visto, e questa provincia la chiamavano 'Area di Risorse Settentrionale'. Cosa vengono a fare? A espiare, semplicemente. Parlano poco, trovano quella che loro considerano una degna causa, come un ospedale oculistico di cui la loro tv ha parlato bene, e lasciano pacchi di dollari o di yen, inchinandosi profondamente, molto piu' profondamente di quel che l'etichetta richiede. Poi fuggono, scuotendo leggermente la testa come per liberarla da ricordi che piu' di sessanta anni hanno trasformato in incubi per la coscienza e per l'onore. Chissa perche' proprio un ospedale per ciechi? Forse ricordano gli occhi di coloro che uccisero. 

Le previsioni sono buone per domani, l'aeroporto dovrebbe riaprire. Arrivera' anche un americano, un pezzo grosso del Lions International, per vedere come possono spendere meglio le loro donazioni, parecchi milioni di dollari ogni anno. Ho la presentazione pronta, i fatti e le cifre in mente, gli argomenti e l'evidenza a portata di mano. E avro' circa quindici minuti per convincere questo tipo a starci a sentire su come spendere i soldi del Lions, invece di buttarli via in finta carita' che aiuta i giochi di potere interni all'apparato cinese e rovina la capacita' dei locali di aiutarsi da soli. Il tipo non sa niente di tutto questo: crede che stiano facendo del bene. E io che devo frantumargli le illusioni, e ricostruirgliele, in quindici minuti. Domani. 

Fiumi

Quando ero ragazzino la mamma era fissata col Reader's Digest, sia la rivista che i libri condensati. Roba da storcere il naso per varie ragioni, ma ehi, duecento romanzi in 50 libri? A 14 anni li avevo gia' finiti. Ogni tanto pero' il RD mandava offerte per libri e dischi. Mi ricordo cazzate serissime, come un cofanetto intitolato 'La magia di Mantovani' che nemmeno la mamma, buonanima, ascolto' mai. 

Ogni tanto c'era una perla. La mia era questo librone pieno di foto intitolato 'I Grandi Fiumi'. Per uno che viaggiava sui libri come me e come molti di voi questo volume era un posto dove fuggire e fare grandi viaggi risalendo (o scendendo) le acque. Mi ricordo i fiumi, molte delle foto, i nomi. Sono passati cosa, trent'anni? Questo libro non l'ho mai dimenticato, e ogni volta che sono riuscito a vedere uno dei fiumi che avevo conosciuto fra le pagine mi e' sempre presa un'emozione speciale, tutta mia, che non ho nemmeno provato a dividere con chi era con me, tanto, o essi sul fiume ci vivevano ('ah si, io sono nato li' sull'altra riva') oppure per loro il Fiume e' solo un fiume.

Questa cosa mi e' successa, fortissima, la prima volta che ho visto il Nilo Azzurro dallo spuntone di Ghindaberet. Una valle gialla, profondissima, a strati orizzontali di rocce rosse e ocra, e sul fondo il nastro d'acqua, blu nella stagione secca mentre sospese in aria ma dentro la valle, le nuvole del suo microclima. Una volta in fondo passai mezz'ora seduto sul ponte, a gambe penzoloni, a guardare l'immensita' di acqua rocce e cielo, prima che il tigrino di guardia mi facesse segno con l'AK di levarmi dai piedi che un ferenji seduto a non fare niente sul ponte lo rendeva nervoso. 

E poi ancora col Mekong, in alto nel suo corso forse mille chilometri dalla foce, veloce e fangoso, e ciclopico, nella sua valle fra i monti dello Yunnan. Chiesi di fermare la macchina e feci la stessa cosa, seduto sul bordo, la cenere della sigaretta che si perdeva nei mulinelli del vento, l'acqua livida, gonfia del suolo del Tibet ruggiva nella sua corsa verso il mare lontanissimo. C'e' qualcosa nei grandi fiumi che colpisce: penso a quel poco che so delle civilta' che ne hanno abitato le sponde, delle guerre che ci sono state per controllarne il commercio, delle specie endemiche che qualche volta ancora vi sopravvivono, che mi colpisce la fantasia e mi fa fermare e sentirmi come in un tempio, al cospetto di un dio.

Stanotte a Wuhan. Citta' capoluogo di regione, sei milioni di persone in citta' e sessanta milioni nella regione. Overnight train 2160 per arrivare qui. Ma questi numeri ormai non mi fanno ne' caldo ne' freddo, sono troppo grandi, li ignoro. Fuori dalla finestra invece, anche se non lo vedo perche' e' notte, ma lo sento c'e' il grande fiume, lo Yangtze.

Caffe'.

Sei di mattina. Fuori dalla finestra il monsone copre le colline di Victoria e la pioggia bagna i vetri. Sono seduto al PC mentre aspetto il caffe'. La figlia_piccola_di_KT arriva a piedi nudi, la camicia da notte svolazzante attorno alle caviglie, e in un balzo e' seduta su di me, braccia al collo, capelli sugli occhi. Odora di notte e di sonno. 
- Piccola...(bacio)...cosa fai in giro a quest'ora?
- Papa', devo preparare la borsa...
- Ma e' ancora prestissimo...e poi non e' l'ultimo giorno di scuola oggi? A cosa ti serve la borsa?
- Ma non la borsa di scuola, papa'. La borsa per lo sleepover.
- Ah (cadendo dalle nuvole ma recuperando subito)...vai a dormire da una tua amica stasera?
- Si. Dopo la scuola vado a casa di Bob. 
- ....Bob...? Chi e' Bob?
- Ma papa'...tu lo sai chi e' Bob.
- No, non lo so, e non credo che una young lady di sei anni debba andare a dormire a casa di un bambino che IO non conosco...
- Ma si che lo sai chi e' Bob!!!
- Non lo so. Chi e'?
- La mia amica Elspeth. Io la chiamo Bob
- Ah! Oh! Elspeth. Bob. Ahahahah bella questa...
- Papa' (guardandomi negli occhi)
- Ahahah... Bob...cosa?
- La tua caffettiera sta facendo rumore di ippopotamo...
- Argh! Presto! Facciamo chi arriva primo a spegnere il gas!...
(stampede)
(sipario)

archivio (46) Rewind: 1992

[Rewind - 1992]

Il prete esiliato.

Apro il cofano. Un'ondata di odore di olio caldo mi investe la faccia. Strizzo gli occhi, lo sguardo si adatta alla penombra che circonda il motore. Vedo l'aria tremolare per il calore intorno alla massa metallica. Bestemmio in siciliano, ripetutamente. Ghirma e' ancora seduto in macchina, si affaccia al finestrino:
"Quello non era inglese"
"No, era la mia lingua"
"Cosa vuol dire?"
"Ti assicuro che non lo vuoi sapere"
"Ah ah ah"
I supporti superiori del radiatore - i due pezzi tubolari di acciaio che lo tengono fermo - si sono spezzati di netto: moncherini metallici che penzolano, il radiatore ancora in piedi sul suo supporto inferiore, ma so che se lo toccassi dondolerebbe. Naturalmente non lo tocco: e' rovente. Vado ad appoggiarmi al finestrino di Ghirma, mi accendo una sigaretta. Lui mi guarda impassibile.
"E' serio?"
"Si puo' riparare, ma dobbiamo aspettare che si raffreddi"
"Li' c'e' un albero, mettiamoci all'ombra"
Guardo nella direzione che mi indica. Un po' piu' avanti, a lato della pista c'e' una acacia umbrellifera, una di quelle rachitiche che si vedono nei documentari di Piero Angela: tronco contorto, fogliame rado di forma appiattita.
Salgo, metto in moto, e piano piano, in prima, mi sposto all'ombra. Ombra per finta, ombra rada. D'altronde l'acacia non ha foglie: ha spine.
Beviamo acqua dalle bottiglie di plastica, calda come piscio. Ci rilassiamo nell'attesa. Ghirma dice:
"Non sapevo neanche che quella strada che abbiamo preso esistesse. Siamo quasi arrivati a Bako, e abbiamo risparmiato due giorni"
"L'ho trovata in un vecchio libro"
La Guida dell'Arica Orientale Italiana 1938 del Touring Club che ho portato con me dall'Italia anni addietro si e' rivelata preziosa ancora una volta: le strade sono uguali, i posti sono gli stessi, le cose descritte non sono cambiate. Questa e' Africa, e il tempo passa lentamente, se una strada esisteva sessanta anni fa c'e' ancora, a meno che non sia nel deserto.
"Bella strada, anche, lungo quella valle, il fiume, gli alberi..."
"Si" dico "Ma abbiamo spaccato i supporti del radiatore sulle pietre del fiume"
"Non ti preoccupare" mi dice Ghirma "hai detto che si puo' aggiustare, no?"
Sorrido alla sua filosofia "Si. Ho quello che mi serve"
"Certo che l' ufficio avrebbe potuto darci una macchina nuova"
"Ah...ehm..ecco...l'ho scelta io..."
"Aha! voi ferengi, voi stranieri e la vostra passione per le cose vecchie!"
"Non e' vecchia!!! come ti permetti!....ha solo dodici anni...non vedi che bella? bianca di fuori, rossa dentro, cruscotto metallico, cabina squadrata, sei cilindri, quattromila diesel, quattro marce, ridotte...e' una meraviglia..." Mi lascio andare a descrivere le bellezze del vecchio LandCruiser, che non si sarebbe rotto se avessi guidato piu' lentamente...ma volevo arrivare prima di notte a Bako, e ho spinto. Bang.

Ghirma mi guarda con gli occhi scuri, le cornee velate di giallo, e ride. Ha cinquant'anni, la pancia, il doppio mento, e' grasso, respira con difficolta'. E' il miglior specialista Ismailita di interventi di emergenza. Lavora per una ONG inglese, come me. Stiamo andando a Bako, capoluogo delle province sudoccidentali di Ismailia. Tre giorni prima il governo Ismailita ha dichiarato "situazione di emergenza" nel sudovest, e ha chiesto l'aiuto delle ONG per rimediare ai danni causati dalla siccita': non piove da tre anni e mezzo in questa parte di Africa. 
E si vede: usciti dalla valle attraverso cui la scorciatoia ci aveva condotti siamo sbucati nel niente. Le montagne di Ismailia sono come una mano aperta appoggiata sulla mappa dell'Africa...la strada ci ha condotti fra due dita della mano fino a giu' nei bassopiani desertici. Stamattina ci siamo lasciati le montagne alle spalle e ci siamo inoltrati nella pianura. Non si muove niente, a parte il tremolio dell'aria calda. Non c'e' una nuvola, il sole e' una presenza opprimente che pesa con la sua brillantezza sulla strada, sulla macchina e sui cespugli polverosi. 

Un paio di ore prima abbiamo passato l'incrocio che sulla mia mappa e' detto "delle quaranta fontane", e ci siamo riimmessi sulla pista principale. Certo, sempre pista e'..l'asfalto e' finito trecento chilometri fa...avevo chiesto a Ghirma "dove sono queste fontane?"
"Quali fontane?"
"Qui sulla mappa dice cosi'"
"E' la traduzione dalla lingua Amende in Italiano?"
"Credo...visto che la mia gente e gli Amende erano alleati nel 1938...ma le fontane dove sono?"
"Non ci sono. Questo non e' territorio Amende, e' terra dei Garra"
"Non capisco"
"In Garrash la frase che in Amende vuol dire "quaranta fontane" significa "quaranta elefanti"
"Ahhhh!!!! ora ci siamo...cartografi e linguaggi.....ma gli elefanti dove sono?"
"Ci saranno stati all'epoca...oggi si sono spinti a sud, dove c'e' ancora acqua tutto l'anno"

Viaggiare con Ghirma e' un piacere: sa quattro lingue a parte l'inglese, ha studiato igiene e medicina preventiva alla John Hopkins, ed e' tornato nella sua terra invece di starsene in America e diventare ricco, ed e' un compagno di viaggio ideale: non si lamenta mai, conosce tutto e tutti, e sembra abbia piacere della mia compagnia.
Faccio un pisolino sul sedile reclinato. Fuori c'e' troppo caldo, almeno in macchina c'e' ombra. E poi fuori e' pieno di spine di acacia e ci sono gli scorpioni. Meglio no. Ghirma mi sveglia dopo un poco: 
"Andiamo?"
Scendiamo, apro il cofano: il motore e' sempre caldo, ma non rovente. Col filo di ferro grosso e pezzi di camera d'aria faccio una legatura ai due lati del radiatore, ricollego i supporti alle staffe. Uso due rametti di acacia infilati nel filo di ferro come torchietti, stringo il tutto, provo, scuoto: non si muove. Controllo i manicotti di gomma dove passa l'acqua: intatti. L'acqua c'e'. Rimetto in moto con un rombo soddisfacente. Sorridiamo, Ghirma e io: possiamo andare. Abbiamo un lavoro da fare.

La fase preliminare di uno studio sull' impatto ambientale della siccita' consiste nel raccogliere dati, nel sentire opinioni, e nell' osservare direttamente la situazione. 
I dati sono ovviamente i piu' importanti. Quali dati? be', potete immaginarlo: precipitazioni, quantita' di pioggia per centimetro quadrato, popolazione totale, altre risorse idriche, risorse alimentari, andamento dei mercati di animali domestici, prezzi, solo per citarne alcuni. In posti come questo, dove di dati certi ce ne sono pochi, e dove l' infrastruttura per raccogliere e conservati dati non c'e proprio o non funziona, l'analisi qualitativa diventa importante: andare a vedere, parlare con la gente, rendersi conto di cosa stia succedendo. 

Uno dei posti dove andare segnato sulla mia lista e' la Missione Cattolica di Denka, sulla strada per Bako, e ormai dovremmo essere vicini. Infatti una stradina si diparte a sinistra, si perde all'orizzonte. Non ci sono cartelli, ma ci sono tracce di automobili, e sulla mia mappa non c'e' altra strada per raggiungere Denka. Dopo una mezz'ora la strada scende in una depressione nella pianura: c'e' un po' di verde stento, qualche mucca, una dozzina di capre, una ventina di capanne, e la missione, recintata di filo spinato (per tenere fuori le vacche, non la gente). Attraversiamo lentamente il villaggio, un paio di facce si sporgono dalle porte per vedere chi e', ma perdono subito interesse. Il caldo e' totale. Lo zabagná sente il motore, apre il cancello, entriamo. Parcheggio davanti alla residenza, una casa bassa in muratura, con veranda circondata da bouganvillea. Si vede che qui c'e' acqua perenne, si sente il ronzare della pompa che tira acqua dal pozzo. 
Con Ghirma ci spolveriamo la polvere di dosso (si fa sempre questa cosa), ed entriamo nella veranda. Sorpresa: una nuovissima mountain bike e' appoggiata al muretto. Sedie e tavolino di vimini, ben tenuti. Si apre la porta a zanzariera, un ragazzo esce e ci viene incontro. E' un ragazzo locale: ha la faccia molto scura., le cicatrici tribali sulle tempie e i labbroni tipici dei dei Garra. Ma com'e' vestito: ha una maglietta "Hard Rock Cafe' - Berlin", pantaloncini da ciclista aderenti fucsia, Nike Air ai piedi. Avra' tredici o quattordici anni. Ci guarda con espressione antipatica.
"Che volete"
"Parlare con Padre Schmidt. C'e'?"
"E' via"
"Quando tornera'?"
"Non lo so"
Con Ghirma ci guardiamo in faccia. Questo non e' modo di fare degli Africani, e neanche dei missionari.
"Lo aspetteremo"
Ci sediamo sulla veranda. Il ragazzo si gira ancheggiando, prende la mountain bike e sparisce dentro la casa.
Con Ghirma conversiamo in Amende. Me la cavo abbastanza dopo tutti questi anni.
"Pessima accoglienza" dico.
"Padre Schmidt non lo conosco" mi dice. "Anni fa era il segretario del Cardinale, sembrava avviato ad una carriera nella diplomazia della tua chiesa"
"Non mi insultare, Ghirma, ti ho detto che non e' la mia chiesa. E poi?"
"E poi lascio' la capitale e non se ne seppe piu' niente per molto tempo. Qualche tempo fa seppi che era qui come missionario"
"Mah. Aspettiamo"
Il sole si abbassa, il pomeriggio avanza. Una donna antica e grinzosa si affaccia da una delle baracche della missione, ci guarda. Dopo pochi minuti ci porta un vassoio con due bicchieri di te' dolce. Le sorrido, la ringrazio in Garrash (non so dire altro). Le sue grinze scompaiono, gli occhi le luccicano per un istante, si inchina, scappa via.
Dopo un'ora arriva una macchina. Parcheggia accanto alla nostra. Ne scende un omaccione vestito da cacciatore bianco, sahariana e pantaloncini al ginocchio. Avanza pesantemente verso la casa dove siamo noi, entra in veranda. Ci alziamo.
"Padre Schmidt, buona sera. Mi chiamo KT, lavoro per la ONG tale. Questo e' il mio collega, Dr. Ghirma"
"Piacere. Non vi aspettavo"
"Siamo di passaggio, andiamo a Bako per investigare l'emergenza"
"Emergenza? qui e' sempre emergenza..."
Improvvisamente si apre la porta interna, il ragazzo e' sulla soglia. Non dice niente, gli trema leggermente il labbro. Padre Schmidt lo guarda in silenzio per un istante, poi gli abbaia qualcosa in Garrash. Il ragazzo apre la bocca, la richiude. Si volta e scompare dentro la casa, la casa che e' ovviamente quella di Padre Schmidt.
Padre Schmidt cambia tono, si rivolge a noi bruscamente.
"Invece di spendere i soldi per le emergenze che non esistono dovreste chiedere a me che vivo qui da anni di cosa ci sia bisogno"
Assumo un tono ragionevole. Ghirma, furbo, lascia la discussione ai ferengi.
"Beh, e' per questo che siamo qui, padre. Vorremmo la sua opinione sulla situazione"
"Allora dite al vostro capo che ho bisogno di soldi per costruire chiese"
"Chiese?" chiedo, leggermente sorpreso.
"Certo, chiese!" urla lui "A mezza giornata da qui si sono installati i Protestanti americani: hanno una clinica prefabbricata, energia solare e hanno costruito una grande chiesa: i Garra ci vanno a frotte!" 
"Ci andranno per la clinica" dico io
"Certo! Ma i protestanti li curano solo se i Garra si convertono! E a quelli che si convertono danno cibo e coperte e medicine!"
"Padre...lei capisce che noi non siamo la Caritas...non possiamo spendere i soldi dei nostri sostenitori per costruire chiese"
Mi guarda furibondo, occhi porcini, faccia paonazza, capelli color carota grigi per la polvere. Io continuo, imperterrito:
"Ma per pozzi, per irrigazione, per medicine, per scuole, per derrate alimentari se c'e' un'emergenza...tutto questo e altro si puo' fare"
"La fede! cosa sono tutte queste cose se manca la fede! A che servono i beni della terra se lo spirito e' deviato dagli eretici protestanti! Chiese! Ne ho costruite dieci in tutti questi anni e non bastano! Le chiese, la casa di Dio, non beni terreni. I Garra hanno bisogno di fede...sono come bambini innocenti..."
Ghirma alza di scatto la testa. Non sorride piu'.
"Come quello che ti tieni in casa, Padre Schmidt? con i vestiti alla moda e le scarpe costose che nessun altro ha? E' questa la fede di cui parli, Padre Schmidt?"
Il prete boccheggia, ansima. Ghirma continua: "Che esempio dai a questo villaggio ed al tuo gregge, Padre Schmidt? La mia nazione non ha bisogno di gente come te"
Ghirma e' calmo, ma furioso. Si volta e lascia la veranda. 
"Padre Schmidt, grazie per il te'" dico.
Gli passo accanto per andarmene. Odora di sudore, puzza di sudore. Carne grassa e pelle rossa. Mi fa leggermente schifo. Monto in macchina, dove Ghirma e' gia' seduto, metto in moto, faccio retromarcia sterzando al limite, sollevo nugoli di polvere. Andiamo via da questo posto malato.

archivio (45) Fast Forward: 1996

[fast forward: 1996]

Il deserto dei Karayu e' caldo e secco. Tutto e' giallo, la terra ed il cielo. Il Toyota LandCruiser e' nuovo, bianco, e ronza come un alveare infuriato lungo la pista per Mokale. Finestrini aperti, Pietro mi passa la canna. Guido col gomito sul finestrino spalancato, fazzoletto sulla bocca, occhiali.
"Dimmi di nuovo perche' stiamo andando a Mokale"
Pietro e' stravaccato sul sedile, scarpa sul cruscotto, braccio penzolante fuori. Siamo in macchina da due giorni.
"Ti ricordi Don Baldo?"
"Quello per cui lavoravi tu anni fa? certo. Non voleva che venissimo a trovarti..." Scuoto la testa. 
"Ha mandato due volontari nuovi dai preti di Mokale per fare un progetto di irrigazione"
"E tu cosa c'entri?"
"Mokale e' nella diocesi di Monsignore"
"Ho capito. Andiamo a dare un'occhiata a questo progetto di Don Baldo"
"Esatto" 
Mokale e' un buco polveroso di paese alla frontiera fra Ismailia a le tribu' nomadi del sudest. Un centinaio di case, una piazza per il mercato, un benzinaio e quattro bar di zoccole con stanze sul retro.

Rallento molto prima di entrare in paese. Anche senza la trazione integrale inserita il LandCruiser alza piu' polvere di cinquanta cammelli, non vogliamo farci notare...in vista della missione rallento, giro in una traversa, mi fermo fra due baracche di fango. Un pugno di galline scheletriche starnazza via. Apro lo sportello, scendo. Ahhhhh...stiracchio le gambe.
Pietro si siede al mio posto. Mi passa le sigarette e l'accendino.
"A dopo"
"ti ho salutato"
Riparte, va dai preti. Io vado in paese.
Passo la mattinata girando i quattro bar, poi al mercato, una piazza polverosa dove quando arrivano si accucciano a terra ed aprono i sacchi, poi vado a parlare con il direttore della scuola elementare del governo, e per finire vado fare una chiacchierata con il capo della polizia. Me lo porto a pranzo: zil zil tips, pezzi di filetto arrostito sul fuoco con peperoncino, cipolle e salsa piccante di awasé, la "polvere del diavolo". Il tipo della polizia lo conosco, qualche anno addietro abbiamo avuto a che fare in un altro posto. Il cameriere gli riempie il bicchiere di birra locale, e a me pure.

Per finire vado al mercato dei cammelli, a parlare coi Karayu. Qui devo stare attento, I Karayu sono nomadi, non riconoscono alcuna autorita' tranne i loro capi tribali. E come se non bastasse sono tutti molto piu' alti di me, ed ognuno ha un coltellaccio di mezzo metro alla cintura...trovo gli anziani sotto un albero, a masticare chat, i kalashnikov appoggiati al tronco. 
Aspetto che mi notino. Mi accendo una sigaretta, in disparte. Finalmente uno di loro gira la testa nella mia direzione, con un dito mi fa cenno. Mi siedo sotto l'albero, mi presento, offro sigarette. Voglio sapere dell'acqua per i cammelli, dei pozzi stagionali e dei loro movimenti. L'anziano mi parla a lungo, in un misto di italiano ed inglese ed Ismailita. 

Piu' tardi aspetto Pietro seduto dietro la baracca del benzinaio, fumando. Tanto il benzinaio ha solo fusti di diesel, e quello non si accende neppure se ci butti la sigaretta dentro.
Sento arrivare il LandCruiser, mi alzo, mi spolvero i pantaloni a manate. Salgo in macchina, andiamo.

"Allora?" chiedo
"Padre Geremia sta bene, ti manda i saluti"
"Mangiato bene?"
"Altroche'. Aveva il vino novello dall' Italia"
"Di quest'anno? Che culo maledetto che hai"
"sai la chiesa.."
"E io che ho mangiato uno zil zil piu' duro della suola..."
"La prossima volta ci parli tu con i preti e i volontari".
"Scordatelo. Preferisco parlare con le zoccole" 
"Don Baldo ha chiesto un finanziamento di emergenza all'ufficio Emergenze della Commissione Europea per combattere la siccita' qui a Mokale e provincia. 150.000 euro per sei mesi"
"Per fare cosa?"
"I volontari mi hanno spiegato il loro piano: scavare pozzi per l'acqua potabile ed insegnare ai Karayu come risparmiare l'acqua, usando la struttura della scuola elementare per i corsi"
"Quanti pozzi?"
"Quattro"
"Secondo il capo della security un pozzo qui costa 8.000 euro. Sono andato al mercato: la pompa elettrica la danno per 3.000, uno scavapozzi con esperienza prende 2 euro al giorno"
"Quindi sarebbero 32,000"
"Il Direttore della scuola mi ha detto che gli hanno chiesto la scuola per una mattinata, gli hanno offerto venti euro per usare la classe e cinquanta per la traduzione ai Karayu"
"Una mattinata?...Don Baldo non si smentisce.."
"I Karayu quest'anno se lo aspettavano che non sarebbe piovuto. Tre mesi fa hanno spostato tutte le cammelle ed i cammellini nella valle del Beyb, a cinque giorni da qui, dove c'e' acqua ed erba. Sono venuti in pochi, solo per vendere capre e comprare il te'". Non sanno niente del progetto di insegnargli come usare l'acqua"
"Quindi 32.000, piu' settanta alla scuola...mettiamoci il dieci per cento di amministrazione per l'ufficio di Don Baldo in Italia.."
"Il fondo emergenze della Comunita' gli dara massimo 8% per amministrazione"
"Con il costo dei volontari, sei mesi di progetto...se gli costa 50.000 e' tanto".
"E lui ha chiesto 150.000"
"Non si smentisce mai"
"Col cazzo che Monsignore gli dara' il permesso di lavorare nella sua diocesi"
"Il tuo Monsignore ha le palle, peccato che sia un monaco"
"Questo progetto e' bello e affondato"
"Sai cosa ha detto il padrone del bar? sono anni che ogni tanto arriva qualcuno e scava un pozzo...tempo sei mesi e' pieno di sabbia"
"Missionari e cooperanti del cazzo"
"Fai una canna, va"
La polvere sembra una coda gialla dietro il LandCruiser. Andiamo a casa

archivio (44) La monaca portasfortuna

"E' tradizione. Il re di Ismailia ed i nobili usavano tenere grandi bachetti per i loro seguaci, e c'era un protocollo: Il re e la sua famiglia mangiavano per primi dai grandi vassoi di portata, poi i nobili e la corte, i maggiorenti, i loro servi e cosi' via...quello che avanzava nei vassoi veniva portato alla fine fuori e dato ai mendicanti. Le suore, ma anche i padri non fanno altro che perpetuare la tradizione"
Ci dirigiamo fuori di citta'. C'e' un posto di blocco. Soldati Ismailiti con fucili automatici russi a tracolla, una sbarra di legno messa di traverso in mezzo alla strada. Pietro rallenta, si ferma, si sporge dal finestrino. 

[traduttore automatico=on]
"Ehi Sergente! Dio ti guardi. Andiamo a Bendia"
"Straniero! che macchina carica che hai! Fammi vedere."
Il tipo gira attorno alla macchina, appoggia il naso ai vetri per guardare dentro.
"A cosa ti serve il filo spinato?"
"Per non fare entrare le vacche nel vivaio"
"Ah! Ma e' tardi per andare ora, fra poco sara' buio"
"Vuoi una Marlboro, sergente?"
"Ah! sigarette americane!"
[traduttore=off]

I soldati si affollano attorno al finestrino per partecipare alla distribuzione. Pietro lascia il pacchetto al sergente. La sbarra si alza, andiamo.

Il convento dei frati e' fuori citta'. Una traversa sterrata conduce ad un altro muro. Stessa scena, ma questa volta invece di aprire il cancello, l'ometto di turno esce con in mano il sacchettino della posta e lo da' a Pietro.
"Sembra che non ci sia nessuno" dico.
"Ci sono, ci sono. Sono a cena"
Al volontario friulano si illuminano gli occhi.
"Le cene dei padri! Una volta ebbi occasione di cenare qui: antipasti, pasta, due secondi, pane caldo, vino del mio paese..."
"Il vino del tuo paese lo mandano qui perche' nessuno lo vuole. Taci"
"Non ti permettere terun! Il vino friulano..."
Per i successivi quindici minuti c'e' l'inferno in macchina.

La strada e' asfaltata, e si snoda sull'altopiano verso ovest. Sterminati campi di sorgo rosso si stendono fino all'orizzonte. Di fronte, la linea blu di un gradino piu' alto dell'altopiano si scurisce mentre il sole gli si nasconde dietro.
La macchina sbanda, sculetta. 
"Abbiamo bucato"
Ci fermiamo a cambiare la gomma. I ragazzi sono esperti, si vede che succede spesso. Uno tira fuori la chiave a croce e allenta i bulloni, l'altro infila il martinetto idraulico sotto l'asse e in pochi minuti il lavoro e' fatto.
Seguo Pietro, che si e' allontanato per pisciare. Ma io lo conosco...lo raggiungo e mi passa la canna. Mentre respiro il fumo resinoso e aromatico mi dice:
"te lo avevo detto che Suor Clara porta sfortuna"
"'O caca, scemo"
"Ah si? e com'e' che abbiamo bucato la gomma posteriore sinistra, giusto sotto di lei? la gomma e' nuova..."
Ripartiamo. Fino a questo momento la strada era deserta. Capanne di fango e paglia si intravedono in lontananza, perse fra i campi. Improvvisamente Pietro bestemmia (poi si gira e guarda la suora con espressione contrita), sterza, frena e si butta fuori strada. Non faccio in tempo a chiedere che dalla curva di fronte a noi, come un mostro preistorico esce un gigantesco autoarticolato largo quanto la carreggiata, scarico. Con un rombo ed una nuvola di polvere ci passa accanto e scompare verso la citta. Stiamo fermi.
"Se ce n'e' uno ce ne saranno altri"
Infatti. Almeno quindici, in convoglio, ci passano accanto senza rallentare, facendo tremare il LandRover con lo spostamento d'aria (avete presente il LandRover? ci vuole un po' a farlo tremare...).
"Il convoglio settimanale aiuti alimentari che torna dal Ghimbi"
"Dicci di questi aiuti alimentari"
"Nella regione del Ghimbi combattono da dieci anni, il governo contro i ribelli marxisti i quali vogliono l'indipendenza..."
"scusa, aspetta, ma non e' marxista il governo?"
"Si ma non c'entra, capisci, qui il criterio fondamentale non e' l'ideologia ma il gruppo etnico: i Ghimbini sono diversi dagli Amendi che sono al potere in Ismailia, e vogliono l'indipendenza. I sovietici armano il governo e l'occidente arma i Ghimbini"
"Ma non hai appena detto che i marxisti sono i Ghimbini?"
"Si ma non e' rilevante: combattono il governo filo-sovietico marxista, quindi per l'occidente va bene"
"E gli aiuti? quelli erano camion del governo, no?"
"Gli aiuti glieli diamo noi al governo"
"Noi chi?"
"Noi...l'occidente, l'America, l'Italia, la CEE..."
"Cioe' le armi no ma gli aiuti alimentari si"
"Esatto. E loro usano una parte degli aiuti alimentari per nutrire l'esercito, ed il resto per nutrire le popolazioni del Ghimbi"
"??..ma non sono i loro nemici?"
"Ah, ma sai com'e'con la guerriglia: come per i partigiani, se la popolazione locale non ti appoggia non duri niente..quindi il governo ha spostato centinaia di migliaia di persone dalle montagne del Ghimbi giu' in pianura col pretesto di facilitare la distribuzione del cibo, in realta' per togliere il supporto popolare ai ribelli". 
"E noi -l'occidente cioe' - non facciamo niente?"
"E cosa dovremmo fare? sono cazzi interni degli Ismaeliti...naturalmente tutta questa gente che hanno spostato vivevano tutti di agricoltura, una volta allontanati dai loro campi non hanno piu'niente, e quel che e' peggio il raccolto abbandonato e' andato perso..."
"Quindi tu stai dicendo che noi stiamo aiutando il governo a nutrire gente che essi stessi hanno affamato..."
"Bravo KT! si vede che frequentare mia sorella ti fa bene..."
Anna dice:
"Cosa c'entra Don Baldo e voi in tutto questo?"
"Ah, noi non siamo direttamente coinvolti nella distribuzione degli aiuti alimentari...noi facciamo progetti di sviluppo agricoli a lungo termine, per esempio il mio vivaio per la riforestazione...domani vi ci portero'..."

Il sole lentamente svanisce dietro l'altipiano, il cielo scurisce. Passiamo da due paesini tipo West, due file di baracche di legno e fango con tetti fatti di ferro ondulato ai due lati della strada. Uomini e donne avvolti in coperte di cotone bianco stanno seduti su sggiole di paglia lungo la strada. Lampadine nude appese dentro le baracche mandano una fioca luce, abbastanza da rendere l'oscurita' tetra. In entrambi i paesini ci fermiamo alla missione, facilmente riconoscibile per la chiesetta accanto e per essere costruita in muratura. Pietro da' le lettere delle suore allo zabagná, il guardiano notturno, anch'esso avvolto in strati di cotone bianco, con bastone e lampada, e proseguiamo.

Dieci minuti prima di arrivare a Bendia, ormai notte fonda, buchiamo di nuovo. Stessa ruota, quella sotto sorella Clara.
"Ora capisco perche' vai in giro con due ruote di scorta sul tetto" dico a Pietro mentre alziamo la macchina.
"Speriamo bene, manca poco ormai."
La strada e' buia, non c'e' illuminazione. Un paio di fioche luci lontane indicano l'esistenza di case, ma a parte queste e'notte. Notte africana, notte di montagna. 
Alzo la testa, guardo il cielo sereno. Indescrivibile, milioni di stelle sul velluto nero della notte. Mi perdo a contemplarle...
"Stringi!!
"Scusa...guardavo il cielo"
"Bello vero? non ci si abitua mai..."
Ripartiamo e dopo pochi minuti arriviamo a Bendía. Non si vede niente, giriamo in una traversa, rombando fra le case, e quando arriviamo davanti ad un cancellaccio di ferro questo si sta gia' aprendo. Entriamo, parcheggiamo, Pietro spegne il motore. Il silenzio e' squarciato dall'abbaiare dei cani, compreso un cosaccio nero incatenato ad un albero vicino alla porta d'ingresso.
Una baracca di legno, quattro stanze e un soggiorno, una cucina. 
Pietro organizza: Anna, vai a sederti. I bagagli li porta dentro lo zabagná. KT aiuta Giancarlo a riparare le ruote, ci servono domani mattina, Giuseppe vai a vedere cosa c'e' da mangiare, io vado a controllare i cavalli" 

archivio (43) Il bugiardo II

(Il bugiardo - 2)
Facciamo passare un altro mese, giusto il tempo per organizzarmi le ferie e per vedere se Pietro si fa sentire. Niente. Un pomeriggio vado a casa di Pietro. Sua sorella, chiamiamola Anna, mi dice:
"Telefoniamo a Don Baldo, vediamo se ci puo' facilitare il viaggio"
Chiamo io.
"Pronto, organizzazione di volontariato cattolica X"
"Buongiorno, mi chiamo KT, sono un amico di Pietro, volontario con voi in Ismailia. Potrei parlare con Don Baldo per favore?"
"Pronto!"
"Don Baldo, buongiorno. Sono un amico di Pietro e vorrei approfittare delle vacanze per andare a trovarlo"
"Ah. E cosa vuoi da noi?"
"Mah, non so. Pensavo che magari potreste indicarmi il modo migliore per raggiungere il villaggio di Pietro una volta che saro' arrivato in Ismailia, non so, facilitare la visita in qualche modo"
"Ma caro ragazzo, sei sicuro? Sai c'e' la guerra laggiu', non e' opportuno viaggiare per turismo"
"Don Baldo, mi prenderei ogni responsabilita', coprirei i miei costi, non vorrei certo pesare sull'organizzazione..."
"Mi dispiace tanto, ma te lo sconsiglio. Non posso certamente prendere questa responsabilita'"
"Oh. Va bene lo stesso, grazie Don Baldo"
"Prego" click.

Alzo gli occhi dall'apparecchio. Anna mi sta guardando.
"Hai sentito?"
"Ho capito"
Neanche un minuto e suona il telefono. E' Don Baldo.
"La sorella di Pietro? Piacere, signorina. Senta mi ha chiamato un certo KT, dice di essere amico di Pietro e che vorrebbe andare a trovarlo"
"Si, sono al corrente. Ha detto a mia madre che vi avrebbe chiamato per informarsi"
"Signorina, deve dissuaderlo dall'andarci. Pietro e' al sicuro, Dio protegge i miei ragazzi, ma le strade sono pericolose, la guerra civile, la carestia, i banditi...conto su di lei"
"Certo, certo, Don Baldo. Senz'altro. Parlero' a KT"

Facciamo i biglietti per Ismailia lo stesso giorno. La sera stessa prendo un giorno di ferie, intasco i nostri passaporti, inforco la mia Guzzi California II nera e cromo e mi fiondo a Roma per i visti d'ingresso. Ottocento chilometri, sette ore. La mattina dopo al consolato sono deliziati. Non molti turisti vanno a Ismailia. I visti sono pronti in giornata. L'autostrada del sole e' un nastro dei Rolling Stones che si srotola sotto di me. 

Dopo una settimana partiamo, senza potere avvertire Pietro.
Atterriamo nella capitale di Ismailia di prima mattina. Sull'aereo un gruppo di ingegneri yugoslavi, due suore e molti Ismailiti.

[nota] Ismailia esiste solo in letteratura, nei libri di Evelyn Waugh. Ma la nazione esiste davvero. Ho cambiato i nomi ai posti, alle persone e mischiero' qualche data per non correre il rischio che alcuno venga riconosciuto: molti che nominero' sono ancora li [fine nota]

Nessuno ci aspetta, nessuno ci conosce. Anna e' alta quanto me, bionda grano con gli occhi azzurri. Siciliana purissima come tutta la sua famiglia da novecento anni. Normanni, arrivati in Sicilia con Ruggero d'Altavilla nel 1100 per buttare fuori gli Arabi. Pietro e' uguale a lei.
Ma non siamo del tutto impreparati: ho con me un libro. Guida all'Africa Orientale Italiana Edito dal Touring Club, 1938. Certo, qualche cosa sara' cambiata, penso, ma non tutto. Siamo in Africa. Inoltre, non esistono guide recenti per Ismailia. Il paese e' sotto dittatura militare da quindici anni, Il Partito Dei Lavoratori Ismailiti controlla tutto. L'aeroporto e' tappezzato di murales in stile messicano inneggianti alla lotta del proletariato contro il capitalismo, ritratti di Lenin e Marx ovunque. Mi avvicino ad uno. Dipinto crudemente su un pezzo di ferro, copia del ritratto con barbona familiare a tutti noi (cioe', quasi tutti noi...) Il vecchio Karl e' stranamente giallo in faccia, sembra che abbia l'epatite.....evidentemente fare la pelle bianca deve essere venuto difficile all'artista Usciamo dall'aeroporto, troviamo un taxi. Ci facciamo portare in un alberghetto amico suo. Povero e spoglio, ma pulito, come del resto si rivelera' tutto il paese.
L'indomani andiamo all'ambasciata. La signorina del consolato e' italiana, parla con accento toscano, ma in faccia e' africana. Le spieghiamo dove vogliamo andare e perche'. 
"Ah, ma non c'e' bisogno. Pietro e gli altri volontari cattolici (con Anna ci scambiamo un'occhiata: 'cattolici'?) scendono in citta' ogni quattro settimane per prendere il gas e le provviste. Dovrebbero arrivare fra due giorni. Di solito stanno all'hotel di Joseph".
Ringraziamo, ci spostiamo da Joseph. C'e' un bar con la macchina espresso del 1960, tutta cromata, stanze pulite e personale gentile. Tutti ci guardano tutto il tempo, siamo gli unici stranieri in giro....e abbiamo preso due stanze separate. Gli dobbiamo sembrare strani per forza...

Venerdi' sera siamo seduti al bar, bevendo acqua minerale. Aspettiamo. Siamo in un angolo buio. Poca gente, Ismaeliti a gruppetti di due o tre e qualche consigliere militare sovietico bevono Johnnie Walker etichetta rossa. Si aprono le porte ed entrano tre bianchi, scarponi impolverati, fazzoletti al collo e giubbotti di pelle. Ismailia e' paese di montagna, di notte fa fresco. Uno loro e' Pietro. Non si guarda neanche intorno, va direttamente al banco, gira da dietro, da' uno scappellotto amichevole al barista che sorride, e in italiano dice:
"spostati tu, che il caffe' non lo sai fare!"
E procede a farsi il caffe' da solo.
Anna accanto a me alza la voce e dice:
"Garcooon, due caffe' ristretti per favore"
Pietro sembra colpito da una fucilata. Barcolla, diventa immobile. Si gira verso la voce. Sua sorella si alza, gli va incontro, con me dietro.
Vi risparmio gli abbracci e i baci e tutto.
Piu' tardi siamo seduti tutti in una camera, parliamo. Quasi un anno da raccontarci.
"Don Baldo e' uno stronzo" dice Pietro. Gli altri due volontari, un friulano uguale sputato a Giancarlo Giannini e un torinese nuovo arrivato poche settimane prima di noi annuiscono in silenzio.
"Prende un sacco di soldi dal governo per fare progetti di sviluppo e a noi ci arrivera' forse la meta'"
"Ma la posta?"
"Quale posta?" urla Pietro. Io SCRIVO OGNI MESE E VOI STRONZI NON MI RISPONDETE MAI!
Sua sorella lo guarda fisso, senza parlare. Lui si calma di colpo.
"Guarda che non avevamo notizie da mesi. Perche' pensi che siamo venuti?"
Pietro ci pensa su, si rabbuia in volto.
"Quel maledetto"
"Cosa?"
"Su al paese non c'e' l'ufficio postale. Le lettere le diamo ai frati della missione nel paese vicino per postarle qui in citta'. Loro si possono muovere, non come noi che siamo confinati".
"E allora la guerra, i banditi..."
"Ma quale guerra! la guerra e' a quattro giorni di macchina da qui, e non ne sappiamo niente, non l'abbiamo mai vista"
Rinunciamo a capire, tiriamo tardi parlando di amici e di casa. L'indomani ci sara' da andare in giro a fare spese.

Passiamo il sabato a comprare rotoli di filo spinato per proteggere la riforestazione dalle vacche. Giriamo con una vecchia Land Rover bianca e blu dell'organizzazione. Sul cofano, dipinto a mano, un asso di bastoni delle carte napoletane.
"Molto cattolico, l'asso di mazze" dico.
"Ah, era gia' cosi' quando ce l'hanno data. Il disegno l'ha fatto uno che era qui due anni fa" 
Poi le bombole del gas, cibo, altre provviste. 
Quando abbiamo tutto Pietro dice:
"Adesso la posta"
Andiamo prima dalle suore. Stanno su in collina. Un alto muro protegge e ripara. Pietro si ferma davanti al cancello, suona. Un ometto si affaccia alla porticina, guarda, sparisce di nuovo. Il cancello si apre lentamente. Pietro ingrana la marcia e si avventa sul vialetto. Anna, seduta davanti, dice:
"Guarda che roba"
Il giardino ai due lati del vialetto e' un immenso rosaio. Rose rosse, gialle e bianche dal lungo stelo. Ismailiti si aggirano fra i filari, prunano, annaffiano, giardineggiano.
Parcheggiamo davanti all'ingresso della villa. Pietro si volta e mi dice:
"Fai parlare me e non contraddirmi"
Gli strizzo l'occhio.
Una suora bianca col velo celeste si affaccia sorridente.
"Pietro! buongiorno! Venite, venite, il caffe' e' pronto"
Scendiamo, ci guardiamo attorno. Che pace. decine di uccelli svolazzano fra le rose e gli alberi del giardino, non si sente la strada. 
Presentazioni.
"Sorella Gentilina, questa e' mia sorella...mio cugino...il nostro nuovo volontario Giancarlo"
"Venite, entrate, il caffe' e' pronto"
Entriamo. Parquet lucidissimo a terra, arredamento semplice e moderno, un lungo corridoio ci porta fino ad un largo soggiorno, poltrone e divanetti di pelle anni sessanta come nuovi, tavolini di legno pregiato. Ai muri, marie e san giuseppi.
Arrivano altre due suore, tutte italiane. Sono qui da anni ed anni, hanno cliniche e scuole sparse per il paese, questa e' la 'casa' principale. La superiora non c'e', e' in giro. Ma Suor Gentilina ha in mano la situazione. Una serva Ismailita porta il vassoio col caffe, un'altra scatole di biscotti. Tazzine di porcellana, cucchiaini da servizio, il caffe' fa schifo, pare acqua dei piatti. Beviamo lo stesso, anche se Anna ha la faccia di quella che sta per sentirsi male.
'Suor Gentilina, non possiamo trattenerci, dobbiamo ancora passare dai Padri"
"Pietro, c'e' suor Clara che deve andare su al villaggio. Glielo dareste un passaggio?"
Pietro annuisce, sorride. Immediatamente un fruscio di attivita': chi corre di qui e chi corre di la'. Siamo soli per qualche minuto.
Pietro ha i denti stretti.
"Ma sucaminchiadieva" 
"Cosa? il posto in macchina l'abbiamo"
"Suor Clara porta sfortuna"
"Ma dai"
"Porta sfortuna ti dico! lo sanno tutti!"
Suor Clara e' poco piu' di una novizia, Ismailita. Piccola, minuta, si siede nell'angolo dietro della macchina, rosario in mano e mantello sull'abito. Non dice niente.
Prima di andarcene Suor Gentilina da' a Pietro due pacchetti di lettere legate con lo spago.
"Per le missioni di Barro e Waka, ti vengono per strada"
"Suor Gentilina, sa che molte delle nostre lettere che avevamo dato ai Padri non sono mai arrivate?"
Lei alza lo sguardo al di sopra degli occhiali, occhi di ghiaccio. Pietro le si avvicina.
"Lettere tue?" Pietro annuisce.
"Tu lo sai, vero, che Don Baldo contribuisce alle spese della missione dei Padri"
"Ah. Non lo sapevo. Grazie".
"Buon viaggio, Pietro. E' stato un piacere conoscere tua sorella e vostro cugino
Come al solito. Pensano di avere capito, e sbagliano lo stesso. Ma cos'e', non si puo' essere amici con una donna?
Andiamo. Pietro si avventa giu' per il vialetto, il cancello fa appena in tempo ad aprirsi, siamo per strada rombando. Fuori, lungo i muri, fra i cespugli, un sacco di gente. Poveri, vestiti di stracci, bambini cenciosi al collo, amputati in stampelle di legno senza protesi, tutti seduti all'ombra.
"Cosa fanno qui questa gente?"
"Le suore distribuiscono gli avanzi del pranzo il sabato e la domenica.Questa e' la fila"
"Gli avanzi del pranzo?"

(continua)

archivio (42) Il bugiardo I

1983: Il bugiardo

Don Baldo e' prete, anche se officia poco. E' un personaggio importante in Italia: dirige una importante ONG di ispirazione ed espirazione cattolica. Ed e' anche un bugiardo. Mente per convenienza, per calcolo, per furbizia. Insomma, mente per soldi.

Sono anni grassi per le ONG, gli anni ottanta: la DC e il PSI si sono infatti divisi i paesi poveri in "zone d'influenza", e una legge apposita (una specie di manuale cencelli degli aiuti) ha reso disponibili grandi quantita' di soldi. Soldi nostri cioe', soldi di chi paga le tasse. 
Le ONG di ispirazione democristiana lavoreranno in certi paesi africani, mentre quelle laiche e socialiste faranno progetti altrove. Tutti sono contenti: I soldi che lo stato destina alla cooperazione tramite ONG sono proporzionatamente divisi, e - quel che e' meglio - sono praticamente a fondo perduto: non si devono restituire, ne' ci sono controlli seri su come vengano usati. La ONG di Don Baldo e' fra quelle piu' quotate a Piazza del Gesu', Don Baldo ha il santo protettore a Montecitorio. 

Nel 1983 io non so quasi niente di tutte queste cose. Ho ventitre' anni, vivo gia' da solo, ho un lavoro, una moto e una ragazza (notare l'ordine), gioco a basket la domenica e leggo libri o vado al mare il resto del tempo. Ma ho degli amici a cui sono affezionato. Uno di questi, chiamiamolo Pietro, si laurea in agraria e sceglie di fare il servizio civile invece del militare. Si iscrive alle liste, lo assegnano (o forse sceglie, non ricordo piu') alla ONG diretta da Don Baldo. Contratto da volontario, cento dollari al mese per vivere, spese pagate, due anni di fila in Africa.

La sera prima della partenza, tutti gli amici riuniti nella casa al mare. Francesca, capelli rossi e occhi verdi da strega gli fa l'oroscopo cinese, i-king: getta i bastoncini sul tavolo, consulta il Libro dei Mutamenti. "Cambiamento duraturo al di la' del mare" e' la sua interpretazione. 
Pietro parte. Don Baldo lo manda subito ad un corso di preparazione teorica sul volontariato. In Germania. Pietro obietta: "il tedesco non lo capisco"
"non ti preoccupare, il corso e' in inglese, e' organizzato dalla CEE"
Pietro va. Il corso e' in tedesco, la CEE non lo organizza ma paga organizzatori e ONG partecipanti. Pietro scopre che Don Baldo manda tutti i suoi volontari a quello stesso corso. Scopre anche che ci sono corsi in altre lingue in altri posti, ma che questo paga di piu' per ogni volontario e costa di meno come alloggio. 
Pietro tutto sommato e' italiano: gli sembra normale. Tenta di non dormire, e quando torna dal corso Don Baldo lo mette sull'aereo per Ismailia. Dieci ore. Don Baldo telefona alla madre di Pietro: 
"E' arrivato ad Ismailia, grazie a Dio, si, si sta benissimo, telefonera' presto dal nostro ufficio"

Pietro telefona dopo quattro settimane: Non c'e' il telefono nel villaggio di Ismailia dove vive con altri due volontari in una baracca di legno: deve guidare mezza giornata per arrivare al telefono pubblico piu' vicino, di quelli con la manovella da far girare mentre si parla. La guerra civile imperversa in Ismailia: Don Baldo proibisce ai suoi volontari di guidare fuori dal paese, quindi il telefono e' irraggiungibile. Ma sta bene, a parte un piccolo attacco di dissenteria: e' contento, sta gia' lavorando ad un progetto di riforestazione. Sua madre si preoccupa:
"Dissenteria? cosa ha detto il dottore?"
"Ehm..non c'e' il dottore qui. Ma sto bene, abbiamo scatole intere di Bimixin"
"Il Bimixin e' solo un tappo, mica ti cura la diarrea"
"Bevo acqua e sale mamma, non preoccuparti"

Preoccupatissima, la madre di Pietro chiama Don Baldo.
"Signora, per l'amor del cielo. Abbiamo dottori italiani abilissimi in Ismailia. Le assicuro che Pietro e' in ottime mani".

Passa un mese, arriva finalmente una lettera di Pietro. La dissenteria gli e' passata, un medico dell'esercito Ismailiano la cui compagnia e' passata dal villaggio per reclutare fra i ragazzi locali gli ha venduto degli antibiotici. Ora sta imparando la lingua, lavora. Hanno visto la cometa di Halley, che dall'Italia non e' stata visibile. 
Uno degli altri due altri volontari e' stato richiamato in Italia da Don Baldo perche' si era innamorato di una ragazza locale, voleva sposarla. OK, la ragazza era anlfabeta e faceva la cameriera al bar locale in cambio di vitto ed una stanza col letto sul retro, ma pare che fosse buona e bella. Il volontario, diciotto anni di montanaro della provincia di Sondrio e' ripartito piangendo. La ragazza e' rimasta a lavorare al bar. Qualche mese dopo, quando il ventre comincera' a notarsi, il padrone la buttera' fuori.

Dopo sei mesi Pietro scrive ancora. Sta bene, si e' comprato un cavallo, gira per la riforestazione a cavallo, risparmia benzina e arriva dove non si guida. Inoltre gli Ismailiti, ardenti cavalieri, lo rispettano di piu', gli offrono da bere. Poi non scrive piu'. Don Baldo al telefono assicura che va tutto bene, la guerra civile ha interrotto la posta.
"Ma allora sono in zona di guerra? non dovrebbero essere evacuati?"
"No no, e' una guerriglia signora mia, scaramucce, a piu' di cinquecento chilometri, loro non hanno problemi, Dio li guarda".
Madre e sorella di Pietro si guardano in faccia. E la posta allora chi l'ha interrotta?

Con la sorella di Pietro camminiamo assieme da quando avevamo quindici anni, da quando la vidi per la prima volta e le scrissi una lettera d'amore. Lei la lesse, due dita sulle labbra a nascondere il sorriso, poi alzo' lo sguardo e mi disse: "La risposta e' no. Ma andiamo a mangiarci un gelato, dai". Da allora camminiamo assieme, anche se molti pensano che stiamo assieme. Lei ha un cervello di prima classe. Mi dice"
"Don Baldo dice minchiate, sta prendendo in giro mia madre"
Capisco quello che vuole dire. 
"Io ho le ferie e in Africa ci sono sempre voluto andare"
Mi guarda negli occhi, ha deciso. Andiamo a cercare Pietro.
(1 - continua) 

archivio (41) La Moka da 24 tazze

La moka da 24 tazze. Sul fuoco. Una cosa enorme, questa caffettiera. Potrebbe essere usata facilmente come arma impropria: una caffettierata in testa e buonanotte ai suonatori. Ha una storia questa moka. Era il 1988. Pietro e io stavamo andando a Giggiga (Dijjiga) a cercare un pezzo di ricambio per il Landcruiser. La solita storia: qualche anima buona in Germania aveva donato la macchina (il Toyota Landcruiser) all'associazione di volontariato con cui lavorava Pietro. Ma non aveva pensato che la macchina ha bisogno di manutenzione e pezzi di ricambio, specialmente quando la si usa per lavoro in Africa. All'epoca in Etiopia c'era ancora il regime di Haile Mariam Mengistu, detto 'Black Label', e le importazioni di pezzi di ricambio erano gravate dal 120% di tassa. Una cosa micidiale: un sacco di macchine ferme. Meno male che il Landcruiser, a differenza dei vari altri (come li chiamano ora) SUV non si rompe facilmente. Anzi, per romperla occorre impegnarcisi. Ma ogni tanto un pezzo ci vuole, o magari quattro - per esempio gli ammortizzatori.

E insomma, sentimmo dire che al mercato somalo di Giggiga si trovava di tutto, contrabbandato a dorso di cammello attraverso il deserto dalla Somalia, dove il governo era collassato e l'anarchia imperava. Partimmo una mattina presto da Addis Abeba, previsti due giorni di viaggio. Lasciamo perdere la notte passata ospiti delle infermiere irlandesi distaccate presso la missione di Matahara, tanto non mi credereste: non successe niente. 

L'indomani scendemmo dall'altopiano dell'Hararghe e ci inoltrammo sulla strada che porta a Giggiga per poi raggiungere Zeila e il mare. All'epoca si andava veloci: non c'era traffico sulle piste, se non qualche camion: nonostante il sole, giubbotti di pelle e fazzoletti attorno al collo da tirare rapidamente su attorno al naso quando si incrociava la nuvolona di polvere che gli altri veicoli creavano sulla pista. Uno guida, uno fa le canne. Non e' difficile come puo' sembrare, fare le canne sulla pista - se la pista e' buona, e se chi guida e' bravo. Entrambi i casi coincidevano, quindi andavamo veloci e leggeri, facendo piani e progetti e idee. Dopo avere negoziato con successo un posto di blocco dell'esercito ('dovete venire a parlare col capitano. parcheggiate'. 'Ma dai sergente, siamo in ritardo...'. 'No no, il capitano vuole che tutti coloro che passano si fermino a bere con lui'. 'E cosa beve il capitano? whisky?'. 'Ahaha che ferengi scherzoso che sei. In questo buco di culo di posto? C'e' solo ouzo...')

Arrivammo a Giggiga, cittadina di case basse e bianche quasi dispersa nel bassopiano. Qualche rado albero, portici coloniali sulla strada polverosa. Dietro la piazza, il mercato. Che non e' altro che una distesa sabbiosa dove centinaia di persone convenivano sia dal sud che dal nord, questi coi muli, quelli coi cammelli, a comprare e vendere. Mucchi di roba alla rinfusa, tettoie di canniccio senza ombra, sacchi di dura e di teff, mucchietti di pomodori stantii, cipolle e berbere', polvere, polvere polvere. Trovammo gli ammortizzatori in mezzo ad una catasta di ferraglia e pezzi di ricambio, scavando fra i vecchi pezzi Land Rover, i ricambi per i camion Mercedes e Fiat 682 N3, parabrezza per il Nissan Pajero (una minchiata, il Nissan: non lo comprate mai). Ammortizzatori nuovi, ancora nelle scatole, con gommini e tutto. 

Mi stancai presto di negoziare il prezzo, e lasciai Pietro a discutere col somalo, capelli afro e pettine a forchetta sull'orecchio. Girando per il mercato trovai un ventilatore, di quelli da tavolo, giapponese, usato ma in buone condizioni ...questo lo compro subito e glielo regaliamo alle irlandesi a Matahara..almeno dissipera' i fumi di progesterone in quel posto..., e un poco piu' in la, seminascosta sotto una montagna di pelli di pecora, la caffettiera. Bialetti, alluminio, enorme. 24 tazze minimo, perfetta, nemmeno ammaccata, manico non bruciato. La presi, la svitai: guarnizione in ottimo stato, serbatoio per l'acqua un poco polveroso ma non ammuffito. Wow. La comprai subito dal somalo, non persi nemmeno tempo a contrattare: voleva poco, lui era un servo del Profeta, e loro bevono te'...

archivio (40) La prima e ultima volta

(24 May 2005)

Yuck. 
Dopo tre giorni su e giu' per le montagne della Cordigliera Annamese finalmente un telefono. Comporre il numero 1269, password vnn1269. Connesso col modem, a 28.8 lumachesco. Ma tant'e'. 
Posta, alta posta, forum. 

Mi sento un po' di schifo stasera. E' stata la cena. In questi giorni fra i Hmong della provincia di Phu To ho mangiato accettabilmente, spesso seduto a gambe incrociate su un pavimento di bambu', caldo appiccicoso all'ombra dei tetti di palme. Maiale, manzo, verdure locali al vapore. Io ormai mangio tutto, e il vino di riso lo tollero, anche se e' ora di pranzo - tanto qui bevono sempre. Ma a quanto pare ai locali e' piaciuta questa cosa che uso i bastoncini e non rifiuto niente. E' da due giorni che mi ripetono appena torniamo in citta' ti portiamo a mangiare una cosa tradizionale nostra. Questi i vietnamiti, non i Hmong. 
Ora io non e' che mi scomponga per il cibo. In qusti anni in giro ho mangiato di tutto. Zebu' crudo, struzzo e gnu in Africa. Vermi, serpenti e scorpioni fritti in Cina. Vegetali bolliti a morte in Inghilterra. Eppure stasera, finalmente di ritorno nel capoluogo provinciale, la polvere della pista nel naso e nelle orecchie, mi hanno detto Alle sette si va a cena. Ti portiamo al ristorante dove cucinano il cane.

Sapevo di questa cosa che hanno i vietnamiti per la carne di cane. Speravo di evitarlo. E invece no, ospite e tutto quanto. Il locale e' un posto squallido, soffitto alto di plastica marrone, pareti spoglie, luci al neon e tavoli di formica. Siamo forse dieci. La collega nuova di Hanoi, donna indubbiamente intellettuale, cittadina e sofisticata mi fa Se non lo vuoi ti ordiniamo qualche altra cosa... Ma c'e' il segretario del Partito, il direttore dell'ufficio sanita', altra gente con cui sono stato in giro in questi giorni. Non posso sottrarmi. O meglio potrei, ma ci perderei la faccia. Faccio un patto con me stesso. 

La carne in se' e' cosi' cosi'. Sapore forte, ma mai buona come un castrato arrosto. La portano cotta a spiedini (Oh. E' la coda del cane a fette quella?), affettata al vapore (Ma era grasso questo cane. Certo non e' uno di quelli che abbiamo rischiato di investire attraversando i villaggi..), fatta a salsicce (!). E il fegato - di cane - con le cipolle, ovviamente. Magari sono stati i maledetti francesi a insegnarglielo. Per nascondere il sapore producono una salsina di gamberi, un'altra di pesce (Col cane? Salsa di gamberi? Sara' stato un pescecane...). Ridono, i folli, alle minchiate che dico per non pensare all'animale vivo, giocherellone, amichevole, scodinzolante. Mangiarsi il cane? Ma veramente avete le priorita' sottosopra voi ragazzi. Col porco che c'e' qui vi mangiate il cane? Ma nemmeno i cinesi, se possono evitare....
Per annaffiare, vino di riso. Il segretario del Partito tira fuori una fialetta di vetro dalla tasca, e vuota il contenuto nella bottiglia. Il liquido incolore diventa di un bel giallo piscio. Riempie bicchierini in giro, brindisi. Sa vagamente di limone. Yuck. E' bile d'orso. Buona per tutti i malanni. E meno male che sei un medico con laurea a Parigi, scemo di guerra, NON gli dico ma ci vado vicino, pensando all'orso della foresta chiuso in gabbia per anni con una ferita aperta nel ventre da dove ogni qualche giorno gli siringano via la bile per questi qui. 

Assaggio tutto, anzi mangio proprio. E bevo. Tutti contenti. Gli americani e gli inglesi non le mangiano queste cose, mi dicono tutti felici. E certo, penso io. Me lo vedo l'inglese che si mangia il cane. Come si mangiasse uno della famiglia, chesso', il cugino. Non riesco a togliermi dalla mente gli occhioni liquidi, orecchie e lingua penzolanti, il pelo lungo e la voglia di giocare con me che l'ultimo cane che ho avuto aveva. 

Finito, ultimo brindisi, saluti, si va. Per questa volta, e solo per questa. Datemi le uova delle formiche della foresta anche ogni giorno, come il mese scorso fra i Kachin. Ma il cane, mai piu'. E la prossima volta che tornero' qui - perche' devo - ve lo diro', cosa ne penso delle vostre preziose tradizioni. Mangiarsi il cane come se fosse una cosa speciale. Barbarico, da carestia infinita. Puah.